Micaela Cappellini, Il Sole 24 Ore 23/12/2013, 23 dicembre 2013
CINA E VIETNAM, STELLE PER IL MADE IN ITALY
Dicembre tempo di bilanci. Siete un’impresa votata al commercio estero? Se nel 2013 avete puntato sulla Cina, sul Vietnam o sul Nordafrica, oggi sarete piacevolmente sorpresi di quante soddisfazioni in più, rispetto al previsto, vi abbiano saputo dare queste aree del pianeta. Mentre se avete scommesso sul Brasile, sulla Turchia o sull’India, probabilmente siete andati peggio di quanto vi aspettavate a inizio anno.
Le statistiche ufficiali sulla chiusura del 2013 non arriveranno che fra qualche mese. Così, agli esperti dell’internazionalizzazione Il Sole 24 Ore ha chiesto quali Paesi all’inizio dell’anno sembravano promettere bene per il commercio estero italiano, ma poi si sono rivelati un flop; e quali, invece, non sembravano offrire performance sorprendenti, ma nel corso dell’anno hanno riservato piacevoli sorprese.
A conti fatti, la migliore sorpresa del 2013 resta la Cina, che al di là delle Cassandre che la credono al ralenti continua a crescere di gran lena, «perché ha tutti i fondamentali giusti per farlo - spiega Roberto Giovannini, partner Kpmg –: la stabilità politica, la crescita demografica e l’autosufficienza energetica, che Pechino si procura grazie a uno shopping aggressivo all’estero». Gli fa eco Alessandro Terzulli, responsabile Analisi e ricerche economiche di Sace: «L’attrattività della Cina è dimostrata anche dal fatto che nei primi nove mesi del 2013 l’export italiano diretto qui è aumentato di oltre l’11 per cento. In Asia sorprendono in positivo anche le Filippine e il Vietnam: quest’ultimo ha visto un’impennata delle nostre esportazioni di ben il 37%». Hanoi è tra le gemme del 2013: «Il 60% della popolazione qui ha meno di 40 anni – ricorda Giovannini – e ha sempre più soldi in tasca, perché la Cina sta spostando qui parte della produzione».
In Nordafrica la perdurante instabilità politica non lasciava presagire nulla di buono, e invece le sorprese non sono mancate: «Il motore del risveglio dei consumi si è riacceso prima del previsto – spiega Giovannini – e unito al boom demografico ha contribuito a far crescere le importazioni».
I flop dell’anno? Secondo Giovannini, «la maglia nera va al Brasile, un Paese che ha avuto grandi opportunità e non le ha sapute sfruttare: una classe media a quota 50 milioni di persone, la preparazione di due eventi sportivi mondiali, i giacimenti di metano, l’export di energia elettrica. E invece si è perso dietro all’opacità del proprio sistema politico».
Per Terzulli «chi è mancato di più all’appello sono stati i Paesi europei extra-Ue, cresciuti molto meno delle aspettative, come la Turchia. Anche gli Usa in parte hanno deluso le attese: la loro ripresa economica ci ha fatto troppo ben sperare. La prima delusione, però, viene dall’export italiano in generale, che nei primi dieci mesi dell’anno è rimasto piatto (-0,2%). Un risultato inatteso per tutti e in parte dovuto alla mancanza di ripresa del commercio internazionale così come al rafforzamento dell’euro sul dollaro».
Di diversa opinione, quanto all’Italia, è Fabio Sdogati, professore di Economia internazionale al Mip Politecnico di Milano: «Il dato stagnante sul totale dell’export nasconde però che nel 2013 sono cresciute molto le vendite all’estero dei nostri prodotti elettrici, degli articoli in gomma e plastica e di una parte delle attività manifatturiere: significa che cresce proprio quell’Italia in grado di industrializzare il mondo». L’Italia, insomma, che può garantire lo sviluppo di lungo periodo dei Paesi emergenti e anche quello proprio, dando lavoro a laureati e specializzandosi in produzioni tecnologiche e ad alto valore aggiunto.
Anche Massimo D’Aiuto, amministratore delegato di Simest, non nasconde un certo ottimismo sui segnali di ripresa del nostro export: «Per noi il 2013 si chiuderà al di sopra delle attese: più di 50 i progetti, per un totale di oltre 110 milioni di euro di partecipazioni, il 15% in più rispetto alle previsioni di inizio anno. Oggi il nostro portafoglio complessivo, compreso il fondo di equity, si aggira intorno ai 600 milioni: nel 2007, cioè prima che iniziasse la crisi, ammontava a poco più della metà. Segno che l’internazionalizzazione è un percorso che procede a grandi passi». Tra i settori che stanno superando le aspettative, secondo D’Aiuto, ci sono «la meccanica e l’elettromeccanica, l’alimentare e anche la farmaceutica; meno bene il comparto dell’abbigliamento e quello dell’arredo».