Giovanna Grassi, Corriere della Sera 23/12/2013, 23 dicembre 2013
SONJA: FELICE DEL NOME KINSKI MA NON PARLATEMI DEL NONNO
«Non mi sono mai posta il problema se il cognome Kinski, che riporta a mio nonno Klaus e a mia madre Nastassja, fosse difficile da portare: l’ho scelto per la mia carriera di attrice perché sono orgogliosa di mia madre, mentre non voglio parlare di mio nonno», spiega Sonja, figlia del produttore Ibrahim Moussa e dell’attrice entrata nella storia del cinema a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 con film quali Tess di Polanski, Un sogno lungo un giorno di Coppola e Paris,Texas di Wenders. La famiglia per lei è stata importante, e proprio per questo vuole tenere lontana la questione sui rapporti complicati tra la madre e il nonno.
È impressionante la somiglianza di Sonja con Nastassja nel fim Diamond on Vinyl, di J.R. Hughto, nel quale la giovane attrice è protagonista . «Ne sono felice» spiega Sonja, anche se giura: «Lei era e resta molto più bella di me».
Un rapporto, quello con sua madre, che appare davvero speciale.
«Vero, lei è una presenza unica al mondo, sempre attenta ai figli. Quando eravamo piccoli ci accompagnava a scuola ogni mattina. Anche quando vivevamo a Roma, in quel traffico spaventoso».
Lei ora vive a Los Angeles, è stata una scelta oppure è legato al fatto che, dopo l’unione di Nastassja con Quincy Jones e la nascita nel 1993 di sua sorella Kenya, sua madre si era trasferita in California?
«Mi piace Los Angeles anche se in molte cose mi sento europea. La mia famiglia, quella dei Kinski, è andata a braccetto con il cinema del Vecchio Continente e non con Hollywood».
Di Sonja il regista Hughto racconta: «Le ho dato il copione a un’audizione e le ho chiesto di tornare il giorno dopo. Quando ci siamo rivisti aveva capito perfettamente l’aspetto generazionale e il tormento e l’inquietudine che cercavo nel suo personaggio».
Sonja, quando ha deciso di diventare attrice, seguendo le orme dei Kinski?
«Non certo da adolescente e non mi considero una modella. Mia madre mi ha dato un’educazione artistica, dalla fotografia alla pittura. Il cinema per me è arte figurativa. E Diamond on Vinyl ha risposto a tante mie esigenze».
A quali, per esempio?
«Affronta la crisi e la ricerca di identità di una giovane donna che per una serie di circostanze conosce un musicista, l’uomo di una sua amica, che in qualche modo, come lei, è un voyeur. Infatti registra segretamente i dialoghi delle sue relazioni, le notti di passione».
Lei nel film prova repulsione ma è anche affascinata dal voyeurismo di Henry…
«Perché il bisogno segreto di Henry di spiare gli altri in fondo si sposa con la sua passione di fermare sulla pellicola volti, emozioni, paesaggi e di catturare il tempo. Anche alcuni film recenti trattano il tema di chi vive incontri speciali, come Her di Jonze».
Anche suo nonno, Klaus Kinski, spesso sceglieva film dai contenuti visuali e psicologici estremi…
«Vero, ma io non l’ho mai conosciuto. Voglio essere sempre autentica. Devo a mia madre una visione positiva del mondo e la determinazione di scegliere le storie che sento vicine alla mia personalità».
Da spettatrice, quali film va a vedere?
«I più svariati, dal passato, e parlo delle opere di Fellini (Ibrahim Moussa ha prodotto diversi film di Federico, Sonja nei suoi anni romani è cresciuta in una villa a fianco di quella di Franco Zeffirelli, ndr), ai film indipendenti americani di Jarmusch, di Soderbergh» .
Ma avrà pure delle passioni cinematografiche.
«Ho un mito, Robert De Niro. Toro scatenato e tutti i suoi film sono lezioni di cinema. E mi piacerebbe lavorare per Paul Thomas Anderson, Spike Jonze e Martin Scorsese perché la loro capacità narrativa e tecnica è straordinaria».
La sua generazione è cresciuta più con la musica che con il cinema. Ne conviene?
«Direi con entrambi e la musica ha un grosso peso nel film di Hughto perche Henry è un musicista. Quincy Jones mi ha aiutata a crearmi una cultura musicale ricca ed eclettica».
Torniamo alla sua famiglia: è vero che lei una volta ha detto che a casa vostra il nome di Klaus Kinski non si pronuncia?
«Nessuno in casa ama sentirsi porre domande solo perché si chiama Kinski o Jones. È una speculazione che non accetto. E poi non parlo di mio nonno, ho il massimo rispetto per mia madre».
Molti pensano che i film indipendenti americani siano i migliori…
«Anche la mamma quando è tornata sul set lo ha fatto per piccoli film, umanamente interessanti. E poi, i registi indipendenti non parlano solo di box office e costi, ma conoscono, come Hughto, oltre al cinema di Klaus Kinski e Herzog, anche quello di autori come Vinterberg, i fratelli Dardenne e Lars von Trier».
Giovanna Grassi