Roberto Perrone, Corriere della Sera 23/12/2013, 23 dicembre 2013
I MENÙ DEL NATALE
È Natale, me ne accorgo dal freddo che fa e dal «tocco» che borbotta nella pentola. Il tocco è il blocco di carne attorno a cui si addensano la salsa di pomodoro e i sapori (le verdure). È il ragù nella versione ligure: a differenza del ragù classico la carne non raggiunge la pasta fresca, ma viene consumata separatamente, se c’è ancora spazio. Il Natale a tavola porta la tradizione. È la ridotta della memoria, in tutti i sensi, dal sentimento al palato. L’insalata russa, ad esempio, sicuramente al Nord, è un punto fermo della tavola natalizia. Eppure durante l’anno viene trattata come un piatto volgare e attaccata dai dietologi di ogni ordine e grado. È stato Carlo Cracco, con la sua versione caramellata (diventata anche protagonista del bellissimo film Io sono l’amore di Luca Guadagnino) a sdoganarla. Perché è questo il bello del pranzo di Natale. Se chiedi a un grande chef «moderno» cosa prepara a Natale, ti risponde come ha risposto a Sette Massimo Bottura, un paio d’anni fa: «Tortellini in panna e in brodo, crescentine, bolliti, arrosti, il mio sufflè, unica concessione all’innovazione perché non amo il panettone. Natale è come quando sei ragazzino e torni a casa da scuola, fai gol con una lattina vuota, entri a casa e qualsiasi cosa ti abbia preparato tua madre sarà meravigliosa».
Il segreto del Natale è la ripetizione: abbandonare l’insicurezza degli oggetti di cui ci circondiamo per ritrovare la sicurezza dei sapori. Perché i piatti della tradizione hanno una storia e la storia è qualcosa che nessuno può cancellare. La carbonata (con polenta), straccetti di carne cotti nel vino, della Val D’Aosta pare che derivi da una ricetta fiamminga. E così via. In Piemonte carne all’albese (magari con una spruzzata di tartufo) e gli agnolotti del plin con il sugo d’arrosto. In Liguria resiste la tacchina alla storiona, cucinata come se fosse un pesce, ricco di verdure. La cena della vigilia, da Nord a Sud, è tradizionalmente di pesce. A Genova c’è il Cappon Magro, un tempo fatto con i pesci di scarto, uno dei tanti piatti poveri diventati ricchi.
La Lombardia è grande e assortita: si va dai tortellini in brodo ai marubini, dai tortelli di zucca ai casoncelli (casonsei ). Innegabile il cappone ripieno con la mostarda. Il cappone, in compagnia di bollito e capitone attraversa tutta la grande pianura. In Trentino i canederli scendono dai rifugi e riconquistano un posto doveroso sulle tavole, in compagnia dello strudel, considerato «antico» (vedi insalata russa). Il Friuli Venezia Giulia è una meravigliosa terra di frontiera che assorbe influenze diverse che ritroviamo nel prosciutto di praga cotto in crosta con il kren, nello stinco di vitello e tortino di patate in tecia (casseruola di terracotta e di metallo). Questa è la stagione della grande Rosa di Gorizia, da fare in insalata con cicciole e polenta. Anche il Veneto è grande, si va dai bolliti al baccalà, dalla luganega con polenta al risotto al radicchio rosso.
Ah, l’Emilia Romagna, con la sua ricchezza di salumi, dal culatello alla mortadella, altro prodotto bistrattato che quando è fatto bene (e ce ne sono) è un grande salume, liscio o nelle variazioni (tartufo, pistacchio). E poi lasagne, tagliatelle, tortellini in brodo, zamponi e cotechini. In Toscana non mancheranno mai i crostini di fegatini e milza bagnati nel brodo (di cappone) e l’arrosto di uccellini e fegatelli. Cappelletti in brodo per l’appetito marchigiano, ma anche il classico fritto in cui l’oliva all’ascolana è protagonista. In Umbria il pranzo di Natale finisce immancabilmente con il Pampepato, per cui si usa anche la «n» (panpepato), ma il gusto non cambia. Abbacchio al forno con patate e cannelloni a Roma, con le broccoli e carciofi in pastella. Entriamo nell’area in cui il cardo fa sentire la sua voce. In Abruzzo con il brodo di cappone con cardo tagliato a dadini e il Parrozzo, celebrato da D’Annunzio come risposta al panettone. In Molise alla vigilia ecco il baccalà arracanato con frutta secca e pan grattato aglio e uvetta. Il cardo torna (in brodo in Puglia) con le cartellate, al vincotto e miele: la loro forma ricorderebbe l’aureola e le fasce in cui venne avvolto Gesù Bambino.
Dalla Basilicata del grande Vito Mollica arrivano in tavola la zuppa di spunzilli con baccalà, le lagane al sugo di gallo imbuttito e l’agnello da latte con peperoni in composta, dalla Calabria salsiccia e sopressata, dalla Sicilia sfincioni, pasta con le sarde le scacce (focacce) calde cotte in forno e ripiene di verdure, formaggi, carne. Culurgiones de casu e porcetto al mirto e seadas dalla Sardegna. Così il Natale diventa la festa che tutti vogliamo. Sorprese sotto l’albero, non a tavola.