Giorgio Cosmacini, la Repubblica 23/12/2013, 23 dicembre 2013
I GUARITORI– SE LA SCIENZA È SENZA CUORE SI FANNO LARGO I FALSI PROFETI
Medicina e ciarlataneria sono territori spesso contigui; talvolta càpita che l’una sconfini nell’altra. La medicina è basata su modalità comunicative utilizzate anche dalla ciarlataneria: essa, infatti, si fonda sul dialogo, sullo scambio verbale, su una efficiente ed efficace modalità applicativa di quella che oggi viene chiamata “scienza della comunicazione”. Tale applicazione al rapporto interpersonale consta di parole trasmettitrici di competenza e motivate da disponibilità; ma talora càpita che tali parole siano chiacchiere o ciarle.
Tre esempi storici, con varie sfumature, possono essere significativi al riguardo. Il grande malato non immaginario Molière, divorato dalla tisi, al Re Sole che gli domandava: «Che cosa vi consiglia il vostro medico?» rispondeva riassumendo la relazione interumana tra medico e paziente in due sole parole: «Sire, chiacchieriamo».
Il re di Spagna Filippo IV, volendo distinguere tra scienza vera (teologia) e scienza fittizia (medicina), annotava in margine a un suo documento, conservato nell’archivio storico di Simancas, questa frase: «Parlar di scienza è ciarlare».
Il medico Jean Paul Marat, prima d’essere (con Danton e Robespierre) il padre trinitario della rivoluzione francese, pubblicò sul proprio giornale, L’ami du peuple, dodici lettere intitolate Les charlatans modernes e dirette contro il “ciarlatanismo accademico”. A proposito di ciarlatanismo medico, ha scritto Roberto Satolli (“La salute consapevole”, Bari 1990, p.300): “Chissà se qualche lettore non faccia una divertente scoperta, trovando tracce o dosi consistenti di ciarlataneria anche in personaggi insospettabili, come medici famosi, primari d’ospedale e direttori d’istituto?”.
Sull’annosa questione del possibile intreccio fra ciarlataneria e medicina (o della ciarlataneria in medicina) si fece carico fin dal 1910, anno della sua fondazione su scala nazionale, l’Ordine dei medici. Ponendosi anzitutto quale coscienza sanitaria della nazione, l’Ordine neofondato aveva tra i suoi fini la lotta senza quartiere all’abusivismo e alla ciarlataneria, ovviamente al di fuori dei propri ranghi. Tale finalità ha conosciuto fino ad oggi, nell’arco di un secolo, alti e bassi, venendo a confrontarsi anche con fatti non esterni, ma interni alla categoria: negli anni Cinquanta il caso Bonifacio, negli anni Sessanta il caso Vieri, negli anni Novanta il caso Di Bella. Quest’ultimo caso è esploso nel 1997. Il professore Luigi Di Bella, già docente di fisiologia nelle Università di Parma e di Modena, non era il primo venuto: sapeva di scienza e tuttavia sottraeva la propria “multiterapia del cancro”, a base di somatostatina, alla regola aurea che esige per ogni trattamento medico il vaglio preliminare di una rigorosa sperimentazione scientifica e l’osservanza ineludibile del principio di precauzione.
La Cuf (Commissione unica per i farmaci) confermò che la “cura Di Bella” non aveva né credibilità scientifica, né utilità pratica. Tanto bastò per far scattare in molti incauti o sprovveduti opinionisti, e in larga parte dell’opinione pubblica, assalita da notizie condite d’imprecisione e d’iperemotività, il sospetto di una persecuzione di casta da parte della medicina ufficiale nei confronti dell’anziano guaritore — un omino mite per molti un sant’uomo — che prometteva ai malati di guarirli del loro male inguaribile. In più, la questione assunse una coloritura politica, partitica. Si assistette a una ondata emotiva cavalcata da destra a favore, in nome di una presunta “libertà di cura” e di un malinteso “diritto alla vita”, e da sinistra a sfavore, in nome della “responsabilità dei medici” e del loro rifiuto di ogni “ricatto verso i pazienti”.
Il disorientamento della classe medica, assillata da pazienti e da loro familiari in trepidante attesa, era grande e non mancavano autorevoli esponenti di gran nome che invece di dire parole chiare e distinte si barcamenavano in chiacchiere e in ciarle. A commento di tutto ciò, le riviste medicoscientifiche internazionali Lancet e Nature parlavano senza mezzi termini di “commedia all’italiana”. Personalmente ricordo che fra i non pochi commedianti, giunse a fare chiarezza la voce dell’allora neo-eletto presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, Aldo Pagni, portatore di una ritrovata vocazione ordinistica contro i guaritori con laurea atteggiati a profeti osteggiati e contro i medici atteggiati a soloni ma incapaci di una presa di posizione veramente scientifica e umana.
Per riuscire vittoriosa sulla ciarlataneria contemporanea, la medicina deve ritrovare rapporti di cura più affabili e modi di azione più affidabili. Il ciarlatano o sedicente guaritore non profitta soltanto della credulità e fragilità altrui; profitta anche della ragione saccente e della scienza distante. Fin che queste troveranno cittadinanza, la ciarlataneria, in medicina, vivrà.
(L’autore è uno storico della scienza, docente a contratto all’università San Raffaele)