Stefano Rizzato, La Stampa 23/12/2013, 23 dicembre 2013
COSÌ LA FRANCIA HA CREDUTO NEL MIO CUORE
«È un giorno che aspettavamo da anni: quello in cui un uomo può vivere con un cuore artificiale». Firmato François Hollande, «con le mie felicitazioni e la nostra gratitudine».
Così, con una lettera pubblicata in evidenza sul sito dell’Eliseo, il Presidente ha mandato le sue congratulazioni a Alain Carpentier e i suoi, creatori del primo cuore artificiale permanente.
È da questi dettagli che si riconosce quando un Paese davvero crede nell’innovazione e nella ricerca. «Quella lettera è il segno della volontà generale che ha accompagnato la nostra scommessa», sostiene Marcello Conviti. Tra i destinatari della gratitudine presidenziale c’è anche lui, un manager italiano nato 61 anni fa a Scansano, in provincia di Grosseto. Dal 2009 è direttore generale di Carmat, l’azienda nata per dare corpo al progetto del cuore artificiale.
«È stata un’enorme sorpresa – commenta – e la dimostrazione di quanto il nostro progetto sia patrimonio del Paese intero». Alle spalle Conviti ha una laurea in Scienze dell’informazione all’Università di Pisa e un master all’Università di Torino. La sua carriera è iniziata nel 1978, con brevi esperienze in Ibm e Fiat. «Di fatto – spiega – mi occupo da sempre di biomedicale, ho trascorso 12 anni a Sorin. Tra gli Anni 80 e 90, in Italia, era stato messo in piedi un consorzio per creare un cuore artificiale: si chiamava Icaros, non andò in porto».
Tutto il contrario di quanto è successo con Carpentier e il suo lavoro, che hanno attraversato trent’anni prima di arrivare al traguardo storico di mercoledì. «Lo Stato francese – racconta Conviti – ci ha investito 33 milioni senza che nascessero polemiche o gelosie. E anche il mercato, quando nel 2010 ci siamo quotati in Borsa, ha mostrato di credere nell’idea». A mettere le ali al cuore artificiale francese è stato insomma il matrimonio tra pubblico e privato. Il mix ideale per spingere la ricerca. Quello che nel nostro Paese si fatica così tanto a realizzare.
«Perché in Francia sì e in Italia no? Difficile rispondere», dice Conviti, con cautela. Poi spiega, in modo più diretto: «Non lavoro più in Italia dal 2000 e, vista da lontano, la situazione sembra essersi ancor più degradata. Non mancano le competenze, ma per le risorse c’è ancora la cultura della pioggia: non si scontenta nessuno e finisce che le cose succedono solo se c’è l’aggancio giusto. In Francia si discute molto prima, ma quando si è deciso – come quando si fece sorgere la piramide del Louvre – non si torna più indietro. Per nessun motivo». Tra i circa 110 dipendenti di Carmat, Conviti è oggi l’unico italiano.
Non è proprio un caso: «Lo staff è quasi tutto di francesi e si respira molto l’orgoglio nazionale, che d’altra parte anima lo stesso Carpentier, di guidare la ricerca mondiale in questo settore. La mia italianità? La metto in pratica proprio nel riuscire a far lavorare insieme esperti di grande personalità, nel puntare sulla leadership e meno sulle gerarchie».