G. B. Olivero, La Gazzetta dello Sport 24/12/2013, 24 dicembre 2013
VIDAL: «CON ME È SEMPRE NATALE»
Quando guardano un adulto, i bambini cercano in lui qualcosa di se stessi: un particolare, un atteggiamento, una smorfia. E se lo trovano, il feeling è istantaneo e duraturo. La differenza di età viene cancellata in un attimo, il rapporto diventa paritario. Arturo Vidal ha tante cose che piacciono ai bambini: la cresta, il pallone sempre tra i piedi, le scivolate, il cuoricino quando esulta. Ma ce n’è soprattutto una che li incanta: il sorriso. Non sprezzante o sarcastico, di sfida o di scherno, di circostanza o di superiorità. Ma un sorriso sincero, genuino, onesto, spensierato: come quello dei bambini. Eppure quel sorriso ha una storia piena di lacrime, una storia che per la prima volta Arturo decide di raccontare: «Da bambino io ho sofferto molto. Ero sempre triste: papà ci aveva abbandonato quando avevo cinque anni e mi mancava, non c’era tanto da mangiare, i problemi erano molti. E sul mio viso c’era sempre il broncio. Un giorno decisi che non potevo andare avanti così e da quel momento iniziai a sorridere. Credo sia importante. È il mio modo di vivere: il sorriso ti aiuta sempre».
Arturo, perché suo padre se ne andò?
«Non lo so. Non gliel’ho mai chiesto. In Cile è difficile andare avanti se non ci sono soldi. La percentuale di divorzi è alta. Comunque siamo in ottimi rapporti».
Lei è il secondo di sei fratelli (tre maschi e tre femmine): ha dovuto fare quasi il papà?
«Ho fatto il possibile per aiutarli, ero contento di farlo. E adesso a turno vengono a trovarmi a Torino: c’è sempre qualcuno a casa mia».
Quanto è stata importante sua madre Jaquelin?
«È stata determinante. Ci ha insegnato tutto, ci ha spiegato cosa è giusto e cosa è sbagliato. È buffo che il mio soprannome sia “Guerriero”: per me lei è “Guerriera” da sempre».
Lo ricorda il primo pallone?
«Certo. E ricordo la prima squadra: il Rodelindo Roman. Il sogno è iniziato lì».
È ancora legato ai luoghi della sua infanzia?
«Moltissimo. Quando torno in Cile vado sempre a San Joaquin, il sobborgo di Santiago dove sono nato».
Com’era il Natale in Cile?
«C’era una tradizione coinvolgente per i bambini. Verso le 23.30 del 24 dicembre ci si riuniva in un campo, mettendoci in cerchio. Poi, subito dopo la mezzanotte, si tornava a casa dove qualcuno aveva nel frattempo piazzato i regali sotto l’albero. Era un’emozione fortissima».
Lei quest’anno ha fatto l’albero di Natale molto presto: era già addobbato a fine novembre.
«Abbiamo anticipato per far divertire Alonso, il nostro primo figlio. Quest’anno il Natale lo passeremo a Torino. Maria Teresa aspetta una bambina, è meglio che non faccia viaggi lunghi. La bambina nascerà a Torino e si chiamerà Elisabetta».
Cosa prova quando indossa la maglia del Cile?
«Orgoglio. E’ un onore per me rappresentare il mio Paese. Ho un grande senso di appartenenza e soprattutto vivendo all’estero ogni volta che gioco con il Cile l’emozione è grande».
Qual è il più forte giocatore cileno della storia, lei o Zamorano?
«Questo non lo so, me lo dica lei. E’ una grande gioia essere già tra i primi, spero di essere considerato io il numero uno a fine carriera».
Quello in Brasile sarà il vostro Mondiale?
«E’ il Mondiale della nostra vita. Il Cile è una squadra bellissima, forte: tutti dovranno stare attenti a noi».
Da ragazzo difensore centrale, poi centrocampista, in realtà un jolly: è anche per questo che tutti vogliono Vidal?
«Mi piace sapermela cavare in ogni zona del campo. Era così fin da ragazzo e sicuramente è una qualità apprezzata dagli allenatori. E magari servirà a me per essere un buon tecnico quando avrò smesso di giocare».
Conte ha detto più volte: «Se vado in guerra mi porto Vidal». Com’è cresciuto il suo rapporto con il tecnico?
«Ho sentito la sua fiducia fin dall’inizio. Mi ha sempre aiutato, mi ha insegnato tante cose, mi ha dato tranquillità. Per me Conte è come un padre».
Quando lei tornò in ritardo dal Cile, il tecnico la escluse dalla partita con la Fiorentina. Fece bene?
«Sì: avevo commesso un errore. Conte prese la decisione giusta».
Lei potrebbe andare in qualunque squadra del mondo, eppure ha appena firmato il rinnovo con la Juve. Perché?
«La Juve è una delle squadre più forti del mondo. E’ un onore rappresentarla. I tifosi bianconeri sono dappertutto, mi fanno venire i brividi con i cori per me. Sento molte cose speciali quando indosso la maglia della Juve. Già prima di arrivare qui, la pensavo in questo modo».
L’eliminazione in Champions è la delusione più grande della sua carriera?
«Sì. Abbiamo una squadra per vincere la coppa, non per uscire al primo turno. Lasciamo perdere l’ultima partita, ma noi abbiamo giocato male il girone. Non eravamo in forma nelle prime partite».
Vi siete parlati dopo la sconfitta con il Galatasaray?
«Sì, ma poi ognuno fa le proprie valutazioni da solo. Dopo quella partita io ero arrabbiato e deluso. Una squadra forte deve avere anche la testa a posto: la lezione ci servirà per il futuro».
L’Europa League adesso è una sofferenza o un’opportunità?
«La finale a Torino è un motivo in più per provare a vincerla. Per me l’Europa League sarà una rivincita: io sono ancora triste per l’eliminazione dalla Champions».
Cinque punti di vantaggio sulla Roma e lo scontro diretto in casa il 5 gennaio: è già il match-point?
«No, però è un set-point anche perché siamo alla fine del girone d’andata. La Roma sta facendo un grande campionato, quella di Torino sarà una partita molto importante per loro ma anche per noi».
Sarebbe stato meglio giocarla subito, senza dover aspettare due settimane, o addirittura qualche settimana fa?
«No, il momento è perfetto. Noi siamo pronti, sappiamo cosa fare, conosciamo la situazione».
A inizio gennaio, però, di solito non siete in forma.
«L’anno scorso abbiamo preso uno schiaffo fortissimo dalla Sampdoria, ma anche per questo motivo dovremo andare a mille».
Cacciatore di palloni: si riconosce in questa definizione?
«Mi sembra perfetta perché fin da ragazzo correvo dietro alla palla. E’ il mio modo di giocare».
Ma non si stanca mai di correre?
«No, ho sempre corso tanto. Anche in allenamento capita che Conte mi dia il fischietto e mi faccia guidare la squadra nelle sedute atletiche: mi piace molto questa responsabilità».
Ormai segna quasi con ritmi da attaccante.
«E se non ci riesco per due partite di fila mi arrabbio... Scherzi a parte, è bello fare gol, anche su rigore: mica facile segnare dal dischetto».
Si sta allenando sulle punizioni?
«Devo migliorare, ma tanto se c’è Andrea (Pirlo, ndr) tira sempre lui...».
C’è qualcosa che potrebbe portarla via dalla Juve?
«Adesso direi che è difficile. Io voglio vincere qualcosa di importante in Europa con questa maglia».
Lei si sarebbe inserito nella lista dei 23 candidati al Pallone d’oro?
«Sì. E nel 2014 punto a vincerlo».