Massimiliano Castellani, Avvenire 24/12/2013, 24 dicembre 2013
L’ALTRO SEEDORF
Se il mondo del calcio italiano somigliasse di più a Clarence Seedorf, non sarebbe mai in pericolo. Il 37enne centrocampista olandese, è da sempre un numero ’10’ in campo, ma soprattutto fuori, dove spera «di essere ricordato come esempio di positività e di umanità» . Un raro ambasciatore internazionale (parla sei lingue) prestato all’universo del football. Lo sa bene il patron del Milan Silvio Berlusconi che l’ha avuto a Milanello per un decennio e che per la prossima stagione lo considera già la prima scelta per la guida dei rossoneri, al posto di Max Allegri.
Ma alla vigilia di Natale, non è questo il tema nodale da affrontare con il saggio Clarence, bensì il suo impegno e la sua “mission” in giro per il mondo, per portare soccorso ai più deboli e quindi ai più piccoli della terra. Per questo motivo continua a fondare cittadelle per i ragazzi, con annessi campi di calcio e istituti scolastici, costruite partendo dalla sua terra d’origine, il Suriname (l’ex Guyana Olandese dove visse il nonno Frederick, figlio di uno schiavo africano che prese il cognome dal padrone tedesco, Seedorf) passando per il Kenya e la Cambogia, fino ad Almere, la città dell’Olanda dove ha trascorso l’infanzia.
Anche nel suo ultimo approdo professionale, il Brasile - la terra natìa della moglie Luviana - non si è fatto conoscere solo per le belle giocate e il titolo nazionale vinto con il Botafogo, ma soprattutto per le innumerevoli attività sociali che gli sono valse il tributo popolare da parte di tutte le tifoserie. Progetti iniziati ancor prima di sbarcare nel Brasilerao (la serie A brasiliana) con l’apertura di un centro sportivo in una favela di Salvador de Bahia. Il ’pallone solidale’ di Seedorf è arrivato fino a Malmberg, in quel Sudafrica che ancora piange la sua grande anima, Nelson Mandela.
Lei, è uno dei ’Legacy Champions’ scelti da Mandela per continuare a promuove i suoi valori e il suo lavoro a livello internazionale. Che ricordo ha del grande ’Madiba’ e quanto ha influito nella formazione della sua coscienza civile?
«Mandela è stato fondamentale, soprattutto nell’infondermi la consaotenza pevolezza di poter fare la differenza, non solo per me stesso, ma anche per gli altri. È anche grazie a lui se mi avvalgo del mio ruolo per dare quel contributo che mira a rendere il mondo migliore».
Quanto è stato importante il messaggio di Mandela al mondo dello sport ?
«È stato vitale, ma in parte sottovalutato dallo stesso universo sportivo. Con il potenziale che lo sport ha, potrebbe ambire a risultati certamente più importanti. Per questo uno dei miei obiettivi è quello di rendere il calcio uno sport più cosciente della sua responsabilità sociale».
Lei è uno dei pochi campioni che da anni è concretamente impegnato nella lotta al razzismo. Come pensa che si possa trasmettere alle nuove generazioni la cultura dell’antirazzismo?
«Dando il buon esempio, comportandosi correttamente e lasciando da parte i pregiudizi. Continuare a dire che si vuole combattere il razzismo equivale a fare una lotta contro un fantasma che porta via tante energie preziose alle azioni concrete. È necessario conoscersi, confrontarsi, aprirsi a nuove esperienze e a nuove idee. Quando sai, rispetti e apprezzi. Quando non sai, colmi il vuoto con il pregiudizio».
Alla luce della sua ultima esperienza brasiliana, quali sono i punti di forza del Paese che ospiterà il prossimo Mondiale di calcio?
«Sono i giovani brasiliani, la loro allegria e una condivisione di valori come quello della famiglia».
’Meno stadi e più studio’, può diventare lo slogan da lanciare ai giovani brasiliani e forse anche a quelli di altri Paesi dove gli investimenti per la cultura e l’istruzione (Italia compresa) sono relegati dai governi all’ultimo posto.
«Molti non comprendono ancora che lo sport fa parte della cultura e dell’istruzione dei giovani. Attraverso la pratica sportiva si impara a crescere equilibrati, aiuta a saper perdere, a rispettare la disciplina, a sperimentare lo spirito di collaborazione. Lo sport educa a gestire la pressione e poi è fondamentale per il corretto sviluppo psicofisico dei bambini per farne dei buoni adulti di domani. Per questo motivo l’educazione fisica deve essere incentivata anche all’interno del sistema scolastico e non solo come attività ludica, ma per creare un’autentica cultura sportiva».
In Brasile ha visitato ospedali, parlato di educazione e istruzione nelle scuole.
«Ho messo la mia esperienza di vita al servizio specialmente dei giovani. Ho avuto modo di visitare cinque scuole e di parlare a migliaia di bambini, spiegando loro che è importante proseguire il percorso di studi perché non tutti potranno coronare il sogno di diventare dei calciatori».
Ha conosciuto anche i detenuti di quel carcere minorile che l’hanno voluto premiare con l’Oscar per il ’Miglior calciatore socio-educativo’?
«Sì, ho visitato i ragazzi del carcere Degase e ho cercato di ispirarli, facendogli capire che se anche hanno commesso degli errori, sono ancora in tempo per rimediare e per continuare ad inseguire il loro futuro. Nei giorni scorsi poi, sono entrato a far parte del board di ’Laureus’, una fondazione di cui Mandela appunto è stato il padrino e che utilizza la filosofia e il potere dello sport per promuovere il cambiamento sociale».
Oltre a Mandela, qual è stato un altro modello che ha seguito nel suo percorso umano e sportivo?
«Un punto di riferimento costante è mio padre. Nel mondo dello sport sicuramente il coach Phil Jackson, per l’efficacia con la quale è riuscito ad introdurre all’interno di una disciplina come il basket la sua spiritualità e la forza dei suoi valori. E poi l’attrice e conduttrice tv Oprah Winfrey, una delle donne più potenti del mondo che ha messo il suo talento al servizio della società per contribuire a fare la differenza».
Che rapporto ha con la spiritualità e con la religione?
«La spiritualità è una caratteristica molto forte della mia persona. Sono molto interessato a conoscere le diverse sfaccettature delle religioni e quelle che considero più affini ed importanti fanno riferimento ai valori universali che inducono al rispetto di se stessi e degli altri».
In campo lei è un trascinatore. Più grande è la sfida, più Seedorf si impegna per vincerla?
«Penso che le sfide, gli ostacoli e le difficoltà siano una grande opportunità per crescere. Negli anni ho acquisito consapevolezza nei miei mezzi, consapevolezza che ho nutrito costantemente in maniera cosciente ».
Che cosa si augura per lei e cosa si aspetta dall’anno che verrà?
«Il mio augurio va agli abitanti della terra, perché trascorrano delle serene festività e che il 2014 sia un anno di salute e di pace interiore per tutto il mondo».