Massimiliano Parente, il Giornale 22/12/2013, 22 dicembre 2013
DAGLI SLIP AI GAY PARLARE SCORRETTO È ROBA DA PRINCIPI
«Sei la più bella checca che abbia mai visto». Non lo dice uno scaricatore di porto, ma il principe William al fratello Harry. Oppure: «È incantevole qui in Africa, e se tutto va bene spero di vederti presto, grosso grasso irsuto frocio ». Sono solo alcune delle frasi uscite dalle intercettazioni del processo Murdoch, a tre anni da quando si è saputo che il principe Carlo voleva essere il tampax di Camilla. A dimostrazione che il linguaggio privato è uguale per tutti e se ne fotte (pardon, se ne sbatte; pardon, se ne infischia) delle etichette perfino per i reali d’Inghilterra. È il lato positivo delle intercettazioni: denudare l’ipocrisia del linguaggio pubblico. E sono trascorsi vent’anni da quando Robert Hughes pubblicò La cultura del piagnisteo , un libro divenuto un classico contro il politicamente corretto da cui ancora non siamo usciti.
Sarà perché Hughes era di destra, quindi ignorato a sinistra perché bollato di conservatorismo, eppure questo aggirare le cose mettendo preservativi alle parole in realtà a me, da scrittore, è sempre sembrato molto puritano. Come la mamma che sgrida il bambino perché dice le «parolacce». E infatti prima di Robert Hughes ci fu Umberto Eco, all’epoca un Eco non ancora accecato dall’antiberlusconismo, quindi meno perbenista, più semiologo. Nel 1991 prendeva in giro (stavo per scrivere «per il culo», poi avrei dovuto specificare se posteriore maschile o femminile, se etero o omo, e in entrambi i casi sarebbe stati guai) la moda del politicamente corretto statunitense. «L’ultima parola d’ordine dei liberals è il politically correct (PC: il linguaggio non deve fare avvertire le differenze). E i controllori sono gentilissimi anche con l’ultimo barbone (naturalmente dovrei dire ’non banalmente rasato’). Alla Pennsylvania Station girano anche i ’non partenti’, che lanciano sguardi distratti ai bagagli altrui».
Nel frattempo sono stati epurati dai reality i bestemmiatori (nella fattispecie, essendo la religione l’unico tabù trasversale, non si è mai capito se trattasi di censura di destra o di sinistra), e nelle redazioni dei giornali (di sinistra) dal caso Marrazzo in poi tutto un gran daffare quando si deve scrivere «i» trans o «le» trans. Alla fine si è deciso che scrivere trans è di destra, «le» trans di sinistra, ma nel frattempo Vladimir Luxuria da uomo trans trasgressivo è diventato una donna bigotta che va a prendere la comunione, bell’affare.
Non sia mai dire checca e frocio, mentre gli handicappati, si sa, sono ormai «diversamente abili», non si capisce a fare cosa, forse a andare in sedia a rotelle. Di fatto negli ultimi dieci anni, nei mezzi di comunicazione di massa, solo Doctor House ha potuto chiamare storpio uno zoppo (cioè un diversamente deambulante). Non perché House fosse uno stronzo, ma perché era un fico (perché stronzo).
Intanto Nelson Mandela è morto e ancora non ci si è accordati su come si debba chiamare un negro: nero richiama troppo lo spauracchio infantile dell’uomo nero, la provenienza (nigeriano, senegalese, colombiano) implica che tu debba conoscerla prima, mentre d’altra parte «di colore» suona ancora più discriminatorio e oltretutto scientificamente sbagliato, da veri ignoranti. Voglio dire: il nero è assenza di colori e il bianco contiene tutti i colori, quindi casomai siamo noi «di colori» e i negri sono degli scoloriti.
Tra l’altro sembra un secolo ma non è passato neppure un anno da quando Elsa Fornero pretese, in nome della non discriminazione sessuale, di essere chiamata solo Fornero o ministro, e da allora è diventato un problema anche l’uso dei maschili e dei femminili. In quanto viceversa ci sono delle femministe che al contrario vogliono tutto al femminile: la ministra, la pubblica ministera, la giudice. Mentre perfino «uomo» in quanto specie non va più bene, sebbene l’Accademia della Crusca non abbia ancora trovato un’alternativa.
Insomma, grazie al processo Murdock e ai tampax di Carlo, qualcosa potrebbe cambiare tanto nel turpiloquio quanto nel politically correct, si comincia a avvertire un’aria liberatoria, un tana libera tutti, e una volta alzato il velo sulla doppia morale di chi vorrebbe amministrare le regole e la morale del linguaggio, sarà difficile dire a vostro figlio che così non si dice, vi risponderà che sta parlando come un principe. E crescendo al contempo anche l’insofferenza per l’Europa, finalmente non c’è niente di male neppure a dire che la Merkel è una culona inchiavabile. Anzi, suona molto english.