varie, 23 dicembre 2013
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI DEL 23 DICEMBRE 2013
Nella notte tra mercoledì e giovedì i ministri delle Finanze europei hanno messo la firma sulla riforma più importante dell’eurozona dopo l’introduzione della moneta unica (copyright: Mario Draghi). L’Unione europea ha deciso di realizzare in tempi relativamente stretti – anche se saranno anni – l’Unione bancaria [1]. L’idea è di mettere sotto un unico controllo, e con regole condivise, le banche dei Paesi membri [2].
Il punto più importante: in caso di necessità di ricapitalizzazione gli istituti di credito potranno ricorrere al nascituro fondo unico di gestione delle crisi, il Single resolution fund (Srf) [2]. Un Consiglio di risoluzione dovrà decidere come intervenire, pilotando verso il salvataggio o la bancarotta controllata. Operazioni costose, che qualcuno deve pagare: prima gli azionisti, poi i creditori, in parte anche i risparmiatori (è l’approccio bail in). Quel che resta sarà coperto dal fondo [3].
Alle nuove regole dovranno aderire tutte le banche europee. I 130 istituti principali saranno sottoposti alla supervisione diretta della Bce che vigilerà anche sugli altri ma per tramite delle autorità nazionali (nel nostro caso la Banca d’Italia) [3].
Chi deciderà che una banca deve essere chiusa? «Il processo decisionale è complicato. C’è un board del Meccanismo unico di supervisione che è composto da un presidente, cinque membri della Bce e 18 delle autorità nazionali, che poi trasmette la sua decisione a Consiglio dei governatori della Bce, che poi rimanda la palla al Meccanismo unico di supervisione. Salvo che la Commissione o il Consiglio (cioè l’esecutivo europeo e gli esecutivi nazionali) non si oppongano, le decisioni del board del Meccanismo unico di supervisione diventano operative in 24 ore» (Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento) [3].
Il Financial Times ha calcolato che nel processo di liquidazione di una banca verranno coinvolte almeno 126 persone [7].
Il fondo verrà finanziato dalle banche. L’ammontare, a regime, sarà di 55 miliardi di euro. L’obiettivo è di evitare che gli Stati siano chiamati, come negli anni passati, a usare denaro pubblico per salvare banche in difficoltà. Il fondo nascerà composto da compartimenti nazionali il cui ammontare sarà basato sugli attivi bancari dei singoli Paesi. Su un periodo di dieci anni, a un ritmo del 10% all’anno, le quote nazionali saranno progressivamente messe in comune [4].
Parietti: «Se si prova a smontare il complesso meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie, appare evidente che l’ingranaggio fondamentale è lo stesso utilizzato per Cipro. L’intesa sancisce il definitivo tramonto della formula di bail out attraverso cui, in passato, erano gli Stati, e quindi i contribuenti, a essere chiamati in causa in caso di salvataggio. Sotto un certo punto di vista, il nuovo paradigma impedisce il ripetersi di quell’effetto di trasmissione in base al quale le crisi bancarie finivano per alimentare quella del debito sovrano, proprio a causa del salvagente pubblico. Col risultato di ridurre il valore dei titoli di Stato e, dunque, di indebolire ulteriormente la struttura patrimoniale delle banche» [6].
Due, tuttavia, i problemi legati all’intesa. Il primo è di tipo comunicazionale: nella scorsa primavera, con Nicosia esperimento del primo bail in, scattò la corsa a smentire l’ipotesi di un’estensione del modello cipriota all’intera eurozona. In prima fila, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfang Schaeuble, ma anche l’allora ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, e il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. A distanza di pochi mesi, quell’impianto è stato ora adottato, senza alcuna modifica, dall’Ecofin [6].
Il secondo problema riguarda chi dovrà pagare. Dal 1° gennaio 2016 saranno gli azionisti, poi i detentori di debito junior (strumenti ibridi) e quindi i possessori di obbligazioni senior. Lo scalino più in basso è occupato dai conti sopra i 100mila euro, considerati non più un deposito, ma un vero e proprio prestito. Se è vero che i piccoli correntisti continuano a essere salvaguardati, è altrettanto vero che su un conto possono transitare i risparmi di una vita (magari in attesa di una migliore allocazione), o la liquidità di un’impresa [6].
Fino ad oggi ciascun Paese era lasciato a se stesso nel gestire il collasso di banche dal bilancio pari a varie volte il suo Pil. E le banche erano lasciate a se stesse nel fare i conti con la crisi sul debito pubblico dei rispettivi Paesi d’origine [5].
Per salvare le proprie banche, l’Irlanda fu costretta a far salire il deficit al 32% del Pil, il debito oltre il 100% e infine a chiedere un prestito d’emergenza alla Ue e all’Fmi. Il governo di Madrid aveva dovuto prendere un aiuto europeo da 40 miliardi, coprendosi di debiti, per ricapitalizzare o liquidare le banche iberiche in difficoltà. In Grecia la stessa dinamica si era innescata in direzione opposta: le banche erano state spazzate via per aver investito in titoli di Stato di Atene [5].
I bilanci bancari europei valgono 25 mila miliardi. Tra il 2008 e il 2011, i Paesi Ue hanno usato 4.500 miliardi per sostenere il settore finanziario in crisi [4]. Fubini: «Lo strumento per garantire una gestione senza panico di un collasso d’impresa varrà (a pieno regime) lo 0,22% dei bilanci che dovrebbe in qualche modo assicurare» [5].
Taino: «Minimizzare l’importanza dell’accordo sull’Unione bancaria raggiunto a Bruxelles significa aderire alla litania, spesso più che giustificata, che l’Europa non riesce a far passi avanti.
Non è così. Nessuno, nel 2011 e nel 2012, avrebbe detto che ci saremmo trovati a fine 2013 con un supervisore bancario europeo e con un meccanismo di risoluzione delle crisi degli istituti di credito condiviso in tutta l’eurozona. E chi ne vede la limitatezza non coglie almeno tre punti chiave»:
1) C’è un Resolution Board che deciderà cosa una banca deve fare per salvarsi o se deve chiudere. È vero che la Commissione Ue può non accettare il suo verdetto e rinviarlo al Consiglio europeo. Ma a queste lungaggini non si arriverà mai: una volta bocciata dal Board, una banca sarebbe seppellita dai mercati, senza possibilità di salvarsi. Le decisioni che contano, insomma, saranno quelle del nuovo organismo, il Consiglio di risoluzione (salvataggio o chiusura) che si spera sia riempito di persone autorevoli ed esperte di mercato.
2) Si è arrivati a un risultato fondamentale: le perdite, fino all’8% delle attività di bilancio della banca, saranno sostenute, nell’ordine, dagli azionisti, dai creditori subordinati, dai creditori senior e dai depositanti con più di centomila euro. Dopo, interviene il meccanismo di salvataggio pubblico. Ma perdite dell’8% delle attività di una banca sono un’enormità, si verificano solo se c’è dolo o se la supervisione dorme come Biancaneve. Anche qui, scelta positiva, che protegge i contribuenti e responsabilizza banche e banchieri.
3) Si dice che dieci anni di transizione per arrivare a regime sono troppi e che, nel frattempo, si dovranno usare, come fondi di emergenza se non bastano quelli degli azionisti e dei creditori, denari nazionali per le banche in difficoltà. Ma se questi non basteranno si potrà mobilitare il Meccanismo di stabilità europeo (Esm): il modo è ancora da definire, ma il fatto stesso che l’Esm possa intervenire sarà sufficiente a tranquillizzare i mercati [8].
Taino: «Finora, la Germania si era opposta a un coinvolgimento di finanze comuni nei salvataggi bancari: il passo avanti è sostanziale. Nessuno può pensare che l’Europa e l’eurozona funzionino per Big Bang. Non è così: avanzano per decisioni condivise. E concrete: prima hanno messo in piedi la supervisione bancaria affidata alla Bce, già in funzione; ora, il meccanismo comune di salvataggio (o fallimento). Le basi per l’Unione bancaria. Risultato inaspettato. E storico: cambia la faccia della Ue. Va riconosciuto» [8].
(a cura di Francesco Billi)
Note: [1] Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 19/12; [2] Gabriele Perrone, Lettera43 19/12; [3] Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 20/12; [4] Beda Romano, Il Sole 24 Ore 20/12; [5] Federico Fubini, la Repubblica 20/12; [6] Rodolfo Parietti, il Giornale 20/12; [7] Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 20/12; [8] Danilo Taino, Corriere della Sera 20/12.