John Lloyd, la Repubblica 22/12/2013, 22 dicembre 2013
IL DISCORSO DELLA REGINA
Oltre ottant’anni fa l’allora re Giorgio V, nonno della regina Elisabetta, trasmise per la prima volta un messaggio natalizio alla nazione da parte del sovrano. L’autore del testo era nientemeno che Rudyard Kipling, il grande poeta e narratore dell’Impero. Il primo messaggio di Elisabetta arrivò vent’anni dopo. Nella vecchia registrazione, piena di crepitii, si può ancora distinguere un tremore nervoso: ma Elisabetta si rivolse agli ascoltatori, a «voi che ora siete il mio popolo», con un’apparente sicurezza regale. L’anno scorso la regina ha parlato del suo «Giubileo di Diamante», di come il Commonwealth (niente più impero oggi!) vi abbia contribuito e dello «spirito di comunanza» che ancora si manifesta in tutto il mondo un tempo sottoposto al dominio britannico. Poi è passata a evocare lo spirito che considera «l’essenza della storia del Natale».
È stato, come sempre, un discorso senza spigoli. Nessuno sa svicolare le polemiche meglio di Elisabetta II: si è allenata a farlo per tutta la vita. Il discorso di Natale, però, ha un profondo significato politico. Evocando costantemente il Commonwealth, la regina enfatizza l’immagine che hanno di sé i britannici, una piccola isola con una grande portata e influenza. Per la maggioranza degli abitanti del Regno Unito, lei è l’unica regnante mai conosciuta: vederla in televisione per un quarto d’ora dopo il pranzo di Natale — qualunque cosa dica — è rassicurante. Che cosa faremo senza di lei?
(Traduzione di Fabio Galimberti)