Vittorio Zucconi, la Repubblica 22/12/2013, 22 dicembre 2013
IL NATALE DEI NUOVI GNOMI
Non chiedetevi mai per chi suonano le jingle bells, perché quelle campanelle potrebbero suonare per voi. Potrebbero chiamarvi a diventare uno di quelle migliaia di aiutanti di Babbo Natale che nei centri di raccolta, impacchettatura e spedizione degli acquisti chiamati fullfillment center corrono, saltano, si arrampicano, cadono, si rialzano per dieci ore al giorno con mezz’ora di pausa al minimo del salario legale per recapitare il pacco nel tempo previsto.
Lassù, nella grande tundra postindustriale dell’e-commerce, delle vendite online, la vita per gli gnomi con lo scanner e il gps al collo o alla cintura che misurano al centimetro i loro spostamenti e i loro passi, è poco più gradevole di quella di un raccoglitore di cotone nelle piantagioni del vecchio Sud coloniale. La grande illusione del nuovo mondo del commercio in rete, nella pigra comodità del mouse e del clic che magicamente fanno apparire dal nulla il libro, il televisore, il giaccone o la Barbie alla porta di casa il giorno dopo, diventa la realtà brutale di uomini e donne negli immensi formicai destinati a soddisfare gli ordini ricevuti da Amazon, da eBay, Netflix, Barnes & Noble. Da chiunque — e sono ormai centinaia — offra la possibilità di fare acquisti online.
Il miracolo della immaterialità della rete diventa la brutale materialità delle piantagioni meccaniche dove si raccolgono e si coltivano gli oggetti. Al picco della stagione dello shopping, dunque in questi giorni, soltanto Amazon spedisce quattrocento pacchi al secondo dai suoi quaranta centri negli Stati Uniti. E dietro ogni secondo c’è un “elfo”, una persona che ha disperato bisogno di un lavoro, di un qualsiasi lavoro, ed è disposta ad accettare il minimo nazionale di salario, 7 dollari e 25 centesimi, cinque euro e mezzo circa all’ora, che possono diventare anche sette all’ora, con gli straordinari obbligatori.
In colossali hangar che raggiungono le dimensioni di venticinque campi da calcio, come quelli di Phoenix in Arizona, e spesso utilizzano grandi stabilimenti automobi-listici abbandonati, come la fabbrica della General Motors a Baltimora (95 mila metri quadrati), i folletti di Babbo Natale percorrono in media otto chilometri ciascuno. Li guidano gli scanner che indicano in quale trincea, a quale piano, in quale cubicolo siano la scatola della nuova Xbox, l’apriscatole elettrico, il rasoio o il libro. Lo scanner prevede quanto tempo sia necessario, secondo il programma scritto da qualche specialista che naturalmente non deve poi saltabeccare da un lato all’altro dell’hangar, per raggiungere il prodotto richiesto. “Gli schiavi del magazzino”, come li definì enfaticamente la giornalista Mac McClelland dopo averci lavorato per una settimana prima di fuggire, devono rispettare quote prestabilite, come nelle classiche catene di montaggio, nei tempi fissati da cronometro. Se non le raggiungono saranno rapidamente licenziati. Se le raggiungono, la quota sarà aumentata.
Sono divisi in due grande categorie, dai nomi che fanno pensare a un film comico o a un cartone animato: i pickers e i packers, quelli che devono pick, pescare il pezzo ovunque esso sia, a volte ai capi opposti dell’immenso capannone, sistemandolo poi sui nastri trasportatori; e quelli che lo devono pack, impacchettare. Nella mezz’ora di pausa unica possono ritrovarsi soltanto in un locale predisposto, dove sgranocchiare qualcosa e fare l’immancabile fila ai bagni. Uscire all’aperto, anche per fare solo due passi, comporta il licenziamento immediato.
Non ci sono diritti sindacali, né rappresentanze di fabbrica. Ci sono, in compenso, file di aspiranti fuori, nella tundra post industriale, pronti a prendere il loro posto se cadono, come i reggimenti settecenteschi sotto il fuoco nemico: abbattuta la prima linea, avanza la seconda, senza fermarsi. Jeff Bezos, il creatore di Amazon, oggi la prima società di vendite online, che cominciò impacchettando lui stesso libri nell’immancabile garage di casa come vuole la letteratura del Sogno Americano, promette, e spesso mantiene, impegni per migliorare o umanizzare le condizioni di lavoro nelle piantagioni: soltanto in questo 2013 ha investito tre miliardi di dollari per aprirne di nuovi. Ma gli interventi tendono ad avvenire quando la realtà trapela all’esterno. Avvenne così nel centro di Allentown, in Pennsylvania, dove decine di dipendenti furono ricoverati dopo essere collassati nel calore estivo arrivato a 40 gradi senza aria condizionata.
In attesa dei robot che peschino gli oggetti dagli scaffali e degli “ottocotteri”, i droni a otto eliche per recapitare le merci a casa, l’anello debole della catena resta l’essere umano. È la donna sorpresa a fermarsi per telefonare a casa e chiedere «come stai» al bambino lasciato solo. È l’anziano che tenta invano di reggere ai ritmi imposti dal computer. È la ragazza che flirta col collega, attività rigorosamente proibita. Su di loro, sulla materia morbida della macchina, preme la pressa della concorrenza fra i centri di distribuzione e i giganti del commercio online che puntano al Sacro Graal di questa industria: la consegna in giornata.
Tutti si sforzano di promettere il recapito entro il giorno dell’ordinativo, 24 ore su 24. La rapidità della consegna, hanno scoperto le ricerche, è la chiave più sicura per garantirsi la fidelizzazione del cliente, più del prezzo, più dell’assortimento, più delle tasse sulle vendite, che ormai si applicano ovunque. Amazon, che dell’acquirente sa tutto, mira ad avere uno di questi centri di distribuzione entro un raggio di 50 km dai cluster (agglomerati di acquirenti) più vicini: è la distanza massima calcolata per la consegna in giornata.
Ma perché il pacco possa uscire pochi minuti dopo aver cliccato il mouse sul tavolo di casa, perché il furgone possa partire con l’oggetto dell’instant gratification (l’“immediata soddisfazione”) bramato dall’impaziente che non può attendere neppure un giorno, gli elfi devono correre più in fretta, arrampicarsi più velocemente. Devono salire e scendere dalle gabbie di acciaio che li portano verso scaffali alti anche tre piani dove è andato ad annidarsi proprio quel bambolotto dispettoso o quella carogna di cagnetto di pezza. Meglio non farsi male, perché l’assicurazione medica è limitatissima e la fila, là fuori, preme. «Qualche volta — ha detto uno di loro al telegiornale della Nbc— sogno di essere tra gli scaffali a cercare qualcosa che non trovo e mi sveglio piangendo». Anche Babbo Natale è una carogna.