Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica 22/12/2013, 22 dicembre 2013
NATALE IN CASA DE FILIPPO
SELEZIONAXX
«Di feste natalizie ne ricordo in particolare due — racconta con uno dei suoi pacati sorrisi Luca De Filippo — una che appartiene all’infanzia e una che risale a quando non avevo ancora compiuto trent’anni. Da bambino, con mia sorella accanto, il Natale era sempre una fiera della spensieratezza, e mai un rito di circostanza. Perché, sì, sulla Via Appia Antica dove abitavamo a Roma, si faceva un bellissimo albero e si metteva su un presepe coi fiocchi, accurato e artigianale, e arrivava un sacco di gente, amici, che si disponevano, per quanti erano, su due tavoli, ma poi succedeva come niente che uno degli ospiti (una persona stupenda, radiosa) cominciasse per scherzo a prendere di mira l’albero, e piano piano finiva per essere imitato anche dagli altri, così che buona parte delle palle diventavano bersaglio e venivano allegramente fatte cadere a terra, formando un tappeto coloratissimo di sfere rotte».
Le immagini più mature che Luca ha impresse nella mente a proposito di serate natalizie con Eduardo riguardano invece la seconda parte degli anni Settanta. «Eravamo nella casa di Napoli, e io lì avevo personalmente costruito pezzo a pezzo il presepe. Ricordo che al pianoforte c’era Nino Rota. E partecipava, invitata al completo, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, capace di eseguire un sacco di pezzi senza mai stancarsi, in presenza di Roberto De Simone. Un Natale tutto da sentire e guardare come una celebrazione vivente, un Natale con echi curiosi di scena ma pieno anche di emozioni umane, dove io e mio padre eravamo beatamente spettatori».
Dobbiamo a Luca non solo quest’entrata rispettosa nell’albo delle cerimonie natalizie in famiglia, ma anche l’accesso a un inedito tesoretto di vari e preziosi cimeli eduardiani che sono al momento ancora custoditi all’interno di una torre del Maschio Angioino di Napoli, dove ha sede la biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria che ha accolto dal 1997 i materiali affidati dalla Fondazione Eduardo De Filippo all’Associazione Voluptaria. Un fondo che sarà definitivamente acquisito dalla Biblioteca Nazionale di Napoli nei primi mesi dell’anno prossimo, in coincidenza col trentesimo anniversario della scomparsa di Eduardo.
Dall’archivio foltissimo, suddiviso in faldoni, spuntano fuori locandine di spettacoli, programmi di sala, foto di scena, copioni manoscritti, recensioni di messinscene dal 1930 all’84, piante delle scenografie, e disegni autografi di Eduardo. I suoi autoritratti raffigurano sempre la sagoma di una testa e d’una faccia corrispondenti a un personaggio impensierito, scolpito dai drammi più che dalle commedie. I manifesti di Natale in casa Cupiello — sketch in un atto del 1931 ad opera del Teatro Umoristico dei tre fratelli, poi commedia in due atti nel 1932, e infine dramma in tre atti nel 1934 — hanno in serbo tante varianti. Partono dai formati minuti del 1938 per giungere a sfoggiare una dimensione vistosa e gialla nel 1969 e nel 1976, dove nel cast figura con evidenza Pupella Maggio. Solo nel 1976 appare anche Luca, il figlio Tommasino, detto Nennillo, che a domanda risponde “Nun me piace ‘o presebbio”.
Ma qui non è tanto e solo il valore documentario di una collezione di storici reperti di teatro di Eduardo a contare, a emozionare. Quando il pubblico dei cultori e degli studiosi avrà familiarità (sia dal vivo che per digitalizzazione) con questa raccolta infinita di strumenti di scena del Novecento, a creare un effetto unico, non attinente a un museo ma a un rito, sarà la poesia di certi manoscritti (come quello del Natale in casa Cupiello) anche se attribuibili alla penna del suggeritore; saranno i misteri gloriosi delle foto di compagnia di questo spettacolo dove spunta fuori anche Tina Pica; sarà l’austroungarica precisione d’epoca di certe tavole sinottiche di tutto il repertorio eduardiano; sarà il sentimento di una testimonianza come quella fornita da una copia della rivista Il Dramma con Eduardo in copertina e il Natale pubblicato all’interno; sarà la commozione seria che ti prende alla vista del borderò della prima rappresentazione di Filumena Marturano. Saranno insomma l’idillio e il feeling per il contatto con gli oggetti dell’arte di Eduardo.
«Passava per severo, per esigente tanto da mettere paura, mio padre, ma di fatto io m’accorgevo che chiudeva un occhio su alcune deficienze se poi poteva far conto su un vero entusiasmo. Parlo con sincerità se dico che andare in scena con lui è sempre stato per me un divertimento puro, una gioia naturale — confida Luca — e se io gli comunicavo un mio scrupolo d’interprete a proposito, che so, d’una caratterizzazione che s’interrompeva di colpo, lui mi tranquillizzava con un affettuoso “Ma che te ne frega? Una volta si è in un modo, e di punto in bianco si è in un altro, nella vita, e così anche a teatro”. Non era mai un maestro di scuola. Non era mai cupo in palcoscenico. Era animato da una gioia vitale. Ma anche fuori, in privato, nelle case degli altri, era un intrattenitore nato, uno a cui piaceva affascinare».
Davanti alla montagna di reperti che al Gabinetto Vieusseux di Firenze, e qui a Napoli, costituiscono le tracce del suo instancabile percorso artistico, viene da pensare a un Eduardo minuzioso conservatore del suo lavoro intellettuale. «E invece guardi che lui non ci teneva granché ad accumulare gli oggetti del lavoro. Negli ultimi anni aveva scelto di circondarsi di poche cose, nella sua abitazione: una maquette del teatro San Carlino, un busto di Pulcinella col corno, alcune stampe... Sarà una bella impresa quella di mettere insieme tutto il suo epistolario, da pubblicare e da digitalizzare, ma l’operazione è in atto già da due anni, e ne è responsabile scientifica Maria Procino. Comunque a Eduardo premeva di più il rapporto vivo con la gente. Nel dopoguerra aveva deciso di prendere e gestire un teatro a Napoli, e poteva sistemarsi in più sale, ma volle mettere piede in un teatro bombardato come il San Ferdinando, un teatro di grande tradizione popolare, perché voleva non sentirsi troppo legato a un’arte borghese, e voleva comunicare coi napoletani semplici».