Elena Dusi, la Repubblica 22/12/2013, 22 dicembre 2013
ORA LO DICE ANCHE LA SCIENZA SE LUI LA ACCONTENTA SEMPRE IL MATRIMONIO DURA 12 GIORNI
Non è usuale che un esperimento scientifico finisca con il knock out di uno dei partecipanti. Ma quando si va a chiedere a un marito, nel nome della scienza, «di dare ragione alla moglie qualunque opinione lei esprima e di fare senza esitare qualunque cosa lei chieda» è chiaro in partenza che i guai sono in vista. Gli scienziati dell’università di Auckland volevano capire se una coppia tutta sorrisi e compiacenza è una coppia felice. E si sono ritrovati con un marito al tappeto che ha alzato bandiera bianca dopo solo 12 giorni di “sì cara, con piacere”.
«È meglio avere ragione o essere felici?» si erano chiesti con una certa gaiezza prenatalizia i medici di Auckland, ignari dell’ordigno che stavano innescando. Conviene cioè strapparsi un sì di bocca e retrocedere dalle proprie posizioni per evitare litigi e salvaguardare la pace familiare? La risposta è stata netta come raramente avviene negli esperimenti: no. «Siamo stati costretti a interrompere l’esperimento a causa di gravi eventi avversi dopo soli 12 giorni» hanno scritto alla fine i ricercatori sul British Medical Journal. «L’uomo si è lamentato perché la donna stava diventando ipercritica e aveva iniziato ad attaccarlo qualunque cosa facesse ». Quando la situazione è diventata intollerabile si è seduto al bordo del letto, le ha preparato un tè e ha detto chiaro e tondo che non ce la faceva più.
Per salvaguardare la naturalezza del test, il marito aveva ricevuto istruzioni precise su come comportarsi (“anche se pensi che tua moglie abbia torto, dalle comunque ragione”), mentre lei era ignara di avere gli occhi dei ricercatori addosso. Visto però che il marito si mostrava conciliante e cedevole di fronte a ogni capriccio, in tutta spensieratezza lei ha occupato ad ampie falcate il terreno sgombrato da lui. Nemmeno due settimane, e il dominio è risultato completo, con il test quotidiano sulla “qualità della vita” (unico impegno richiesto a lei) che giorno dopo giorno vedeva l’uomo tracollare e lei arrampicarsi da un già soddisfacente 8 a un invidiabile 8,5. Il miglioramento del giudizio è avvenuto nel giro di soli sei giorni, con la stessa naturalezza di un fiume che tracima dagli argini e senza nemmeno accorgersi che il voto del marito sulla propria qualità della vita stava precipitando: da un 7 iniziale al 3 che ha decretato il fallimento anticipato dell’esperimento.
«Molte persone nel mondo vivono in coppia - scrivono i ricercatori di Auckland - e siamo giunti alla conclusione che la condizione in cui un partner dà sempre ragione all’altro sia pericolosa». Non sazi di questa osservazione, gli esperti annunciano ora che il test sarà ripetuto a parti inverse: con le donne invitate a sottomettersi e gli uomini autorizzati a impugnare il bastone del comando.
Ma se il test neozelandese può essere visto come una ricerca naif e tutto sommato divertente, nel suo piccolo ricorda un esperimento molto più inquietante, organizzato nel 1971 dall’università di Stanford. Anche questa prova dovette essere interrotta in tutta fretta (dopo appena 6 giorni), ma per ragioni ben più serie di una crisi matrimoniale davanti a un tè. Allora 70 studenti vennero presi come volontari, divisi in base al lancio della moneta in guardie e carcerati e portati in una prigione posticcia ricreata nel seminterrato dell’università. Alle guardie, occhiali a specchio sul viso e manganello in mano, fu lasciata ampia discrezionalità sui metodi per imporre la disciplina. E anche loro ci misero meno di una settimana a rompere gli argini. Dei tranquilli ragazzi californiani si trasformarono in aguzzini, mentre fra i prigionieri comparvero gravi segni di depressione e stress. Alcuni iniziarono un (vero) sciopero della fame e lo psicologo che aveva condotto l’esperimento venne accusato di crudeltà.
«Lo studio dimostra - scrivono oggi, oltre 40 anni più tardi, i ricercatori di Auckland - che avere a disposizione un potere illimitato ha effetti negativi sulla qualità della vita di chi si trova dall’altra parte». E questa per fortuna è l’unica verità in comune fra i due esperimenti.