Sebastiano Messina, la Repubblica 22/12/2013, 22 dicembre 2013
LA RESISTENZA DEI SENATORI: NON MOLLIAMO LA POLTRONA
QUEST’ANNO non sono arrivati tanti regali, ai senatori. In compenso è arrivato — e senza pacco dono — l’annuncio di Matteo Renzi che questo per loro è l’ultimo giro: la riforma del Senato va fatta subito.
VA FATTA sostituendo i senatori eletti dal popolo con i rappresentanti di Comuni e Regioni, «a stipendio zero». E stavolta non è una proposta solitaria, è la stessa riforma che hanno proposto i “saggi” nominati dal governo. Ma davvero i senatori sono pronti a votare la riforma che cancellerà le poltrone su cui oggi sono seduti? «Sarà una catarsi — commenta sorridendo Pier Ferdinando Casini, che prima di approdare a Palazzo Madama è stato presidente della Camera — un gesto eroico. Un autodafé parlamentare. Voglio proprio vederlo…».
Non si vedono barricate, nei solenni corridoi di Palazzo Madama, ma il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani invita ad andarci cauti: «I tacchini non sono mai contenti dell’arrivo del Natale. Gli intoppi nasceranno di sicuro, quando si tratterà di votare questa riforma, anche se la riduzione dei parlamentari è già stata assimilata, da chi è qui dentro». E se Romani è cauto, la sua vice, Anna Maria Bernini, ci va con i piedi di piombo: «Il problema non è se i tacchini accetteranno l’arrivo del Natale, ma se effettivamente arriverà, il Natale delle riforme. Perché non dimentichiamo che questo Parlamento è politicamente delegittimato: non so se è in grado di compiere un’impresa così impegnativa». E tra le righe si può leggere chiaramente la resistenza dei berlusconiani a impegnarsi in una riforma che allontanerà di almeno un anno la prospettiva del voto anticipato.
Al momento non c’è nulla, sul binario che porta alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La commissione Affari costituzionali, che dovrà preparare questa riforma, ha in calendario solo l’esame di un disegno di legge, firmato dal leghista Calderoli, che però prevede tutt’altra cosa: la contestualità dell’elezione dei senatori, ridotti a 200, con quelle dei Consigli regionali. Il suo esame però è stato congelato, in attesa che arrivi l’atteso — e temuto — disegno di legge del governo. Quello che abolirà il Senato.
Congelato fino a quando? Nicola Latorre, che ormai è un veterano di Palazzo Madama, è ottimista: «Se il processo riformatore decolla, questa volta la riforma del Senato la facciamo davvero. Se poi viene approvata prima la riforma elettorale, vuol dire che ci darà la spinta per fare quella del Senato. Certo, non mi aspetto 315 sì. Ci sarà da discutere. Da combattere. Ma si può fare». E non sembra vedere problemi neanche il grillino Michele Giarrusso, l’avvocato catanese che padroneggia meglio di tutti — tra i pentastellati — le questioni costituzionali, e che attraversando il salone Garibaldi è telegraficamente categorico: «Io il Senato lo abolirei proprio».
Più problematica, però, la previsione del capogruppo M5S, Paola Taverna: «Il taglio delle spese della politica è nel nostro programma, quindi ben venga tutto ciò che riduce i costi. Ma intendiamoci: se velocizzare i tempi del Parlamento significa produrre più leggi, a me sta bene. Se invece vuol dire solo spianare la strada ai decreti legge, allora no». E Nicola Morra, che l’ha preceduta alla guida del gruppo, è ancora più freddo: «Ragioniamo. Se il problema sono i tempi, si può ottenere di più con la riforma dei regolamenti delle due Camere. Se il problema è la produttività, basterebbe lavorare dal lunedì al venerdì, come ci era stato promesso, e non solo dal martedì pomeriggio all’ora di pranzo di giovedì».
Eppure sembra che i peones si siano rassegnati. Riccardo Villari, che fu protagonista di una tempestosa trasmigrazione dal Pd al Pdl, lo dice chiaro e tondo: «Il Senato si può anche sopprimere, per quel che mi riguarda. Siamo tutti consapevoli che 945 parlamentari sono troppi. E siamo anche sfiniti, da questo bicameralismo perfetto ». Francesco Giacobbe, il senatore del Pd eletto (con le preferenze) in un collegio sul quale non tramonta mai il sole — comprende Asia, Africa, Oceania e Antartide — non vede problemi. «Penso che il Senato voterà la riforma. Non facilmente, ma lo farà. Preoccupato per il mio seggio? Assolutamente no. Non è questa la priorità. Se poi viene adottato il modello francese, che accanto ai rappresentanti delle regioni e dei comuni prevede anche quelli dei francesi all’estero, per me è okay». Copiare la Francia, dove i senatori sono eletti dai sindaci e dai consiglieri di municipalità e regioni, è una soluzione che piace anche a un esperto navigatore della politica come l’ex ministro Franco Carraro, oggi forzista: «Io prenderei quel sistema, che funziona benissimo, lo manderei da un traduttore e lo adotterei così com’è. Una cosa è sicura, così non si può continuare: perdiamo troppo tempo e produciamo troppo poco».
Certo, i cronisti parlamentari che ricordano le insuperabili resistenze dei senatori a mettere in discussione i loro poteri, al tempo delle bicamerali, restano un po’ sorpresi da questa apparente serenità, ma la montiana Linda Lanzillotta la legge in filigrana: «Sinceramente, non vedo in giro una vocazione al sacrificio. Però molti si sono già rassegnati al cambio generazionale: le aspettative di essere rieletti non sono più quelle di una volta». Sì, conferma Pietro Ichino, qui la bandiera del bicameralismo è già stata ammainata: «Dal momento che siamo stati tutti eletti con il sistema delle liste bloccate, ormai nessuno ha un collegio da difendere. E se il Senato diventerà un’altra cosa, vorrà dire che tutti si candideranno alla Camera».
Una motivazione razionale, che però non va giù a Roberto Calderoli: «La riforma del Senato non è impossibile: otto anni fa c’ero riuscito, anche se poi finì come sapete. Si può fare. Ci vogliono tanta pazienza e molti zuccherini. Però non voglio sentir dire “abolisco i senatori perché tanto li sistemo alla Camera”…». Non le andrebbe giù? L’inventore del Porcellum sgrana gli occhi: «Chi lo dice sarebbe semplicemente da impalare! ». Sono pieni di alberi addobbati, gli austeri saloni del Senato. Anche qui è Natale. Al ristorante, però, quest’anno niente tacchino.