Mattia Feltri, La Stampa 22/12/2013, 22 dicembre 2013
PER L’ADDIO AL PORCELLUM A LEZIONE DAL BHUTAN
Il bello è che ancora non hanno capito - o non si ricordano - che la desinenza -um fu applicata nel 1994 dal professor Giovanni Sartori in senso di spregio: «L’efficacia di un sistema uninominale si dispiega collegio per collegio. Se abbiamo cento collegi e se in ciascuno vince il candidato di un partito che vince soltanto lì, avremo un parlamento con cento partiti». Perciò: Mattarellum. Nome volutamente pomposo per un sistema da due soldi, nell’opinione del professore. Si avanzava già allora il sospetto che la legge elettorale c’entrasse, ma c’entrasse meno del nostro organismo politicamente modificato, forte davvero di cento partiti, tutti con pretesa di agibilità. Ecco perché da noi si discute fino alla fine dei tempi di riforme e sistemi, e se ne viene a capo di rado. Nel 1995, per esempio, nacque il Tatarellum, legge maggioritaria per le Regioni che funziona tuttora ma intanto se la sono risistemata a piacimento - sebbene in un paio di casi con semplici ritocchi - la Puglia, la Calabria, la Sicilia, la Toscana, la Campania, le Marche, il Friuli e la Lombardia.
Il Mattarellum se ne andò sostituito dal Porcellum, altro nome coniato da Sartori. Era successo che l’ideatore della legge, Roberto Calderoli, avesse detto a Matrix che ormai era ridotta a una porcata. Non era un’autodenuncia: intendeva che gli interventi sul testo originale erano stati tali e talmente numerosi da imbastardirlo irrimediabilmente. Infatti le recenti dichiarazioni di incostituzionalità riguardano due aspetti non previsti da Calderoli: il premio di maggioranza e le liste bloccate (cioè la soppressione delle preferenze), che Calderoli stesso attribuisce agli interventi di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Se oggi si andasse a votare, si andrebbe con quella definibile come la parte migliore del Porcellum, diciamo un Culatellum. Neanche a pensarci: non lo vuole nessuno, nonostante si discuta di nuova legge elettorale dal giorno in cui saltò fuori il Porcellum, cioè dal 2006. Sette anni e mezzo di nebbia, dentro la quale si sono intuite ombre fugaci con le sembianze di proposte. Appena il dibattito si infittisce, le idee proliferano. Si parla di metodo spagnolo, metodo tedesco, metodo tedesco-spagnolo (l’ultimo è stato Ferruccio Paro ai tempi del Pdl), metodo francese, con revisione dello sbarramento, si sono viste la bozza Malan, la bozza Bianco, la bozza D’Alimonte, il nuovo lodo Calderoli (soltanto per elencare i lavori recenti), e poi proposte di ritorno al proporzionale (cioè il Culatellum), doppi turni, premi di maggioranza. Secondo l’ultimo censimento, alle Camere risiedono ventisei diversi disegni di legge, intanto che leader e semi-leader si incontrano dietro agli angoli o nottetempo raggiungendo intese destinate a evaporare.
Il più attivo, Matteo Renzi, è partito dalla legge dei sindaci ed è passato al Matteum (Mattarellum con correzione) per arrivar al Matteum bis (Mattarellum con correzioni ulteriori). Sembra alla ricerca dell’ingranaggio che meglio si adatti a lui ma, per sua disgrazia, è l’esigenza di molti: ciascun partito blocca e rilancia in base a ragioni di sopravvivenza. E forse ci prende Renato Brunetta quando sul Mattinale sostiene che si arriverà al Perfettissimum, il sistema di chi punta a non fare le elezioni «né oggi né mai». Anche se noi siamo per Bhutanellum, cioè la legge del Bhutan raccontata benissimo sul blog Portmeirion. Nel Bhutan - paese asiatico a nord-est dell’India - succede che a un certo punto il re dichiara superata la monarchia e abdica, invitando i più lucidi cervelli del paese a studiare una tecnica elettorale. E costoro producono una legge di otto righe: al primo turno si presentano tutti i partiti senza candidati, per un voto di lista. I due partiti più votati accedono al secondo turno, con 47 candidati nei 47 collegi; in pratica 47 miniballottaggi, con risultato di una maggioranza certa. Ma noi non siamo mica il Bhutan.