Maurizio Molinari, La Stampa 22/12/2013, 22 dicembre 2013
NÉ TAGLI NÉ TASSE, NUOVO MIRACOLO USA
Aumento della spesa dei consumatori e degli investimenti aziendali, calo dei costi energetici, niente tagli ulteriori alla spesa pubblica, nessun aumento di tasse all’orizzonte e la strategia dei piccoli passi di Ben Bernanke: l’aumento del Pil americano nasce dalla combinazione fra crescita dell’economia reale, accordi al Congresso e decisioni della Federal Reserve.
Ciò che più conta è che sulla “Main Street” la spesa dei consumatori cresce: dall’estate gli acquisti sono in costante aumento del 2 per cento, su base annua, rispetto al previsioni dell’1,4. Ciò significa che gli americani hanno speso di più nonostante la serrata del governo federale, i timori di default finanziario e il pessimismo sulla ripresa descritto dai sondaggi d’opinione. Un indicatore di rilievo viene dal settore auto, dove le vendite sono le migliori dalla fine della recessione. Poiché i consumi contano per il 70 per cento nella definizione del Pil, ciò spiega perché Jeff Immelt, Ceo di General Electric, parla di «condizioni commerciali migliorate» con effetti positivi sulla «domanda di credito». Ciò spinge un maggiore numero di aziende a investire per creare maggiori scorte di prodotti con la conseguenza, come spiega un documento di Morgan Stanley, di «determinare una situazione migliore di quanto in precedenza si riteneva». A ciò contribuisce il calo dei costi dell’energia, dovuto all’aumento di produzione nazionale di greggio e gas naturale, soprattutto sul fronte della manifatture.
Se i consumi resteranno alti, la dinamica acquisti-investimenti industriali potrebbe portare ad una riduzione della disoccupazione, che resta al momento ancora alta: il tasso è infatti sceso al 7 per cento dal 7,8 dell’anno precedente non per la creazione di nuovi posti ma per gli abbandoni dalla forza lavoro. Quando il presidente Barack Obama, nella conferenza stampa di fine anno, ha detto «le nostre imprese sono in condizione di creare nuovi posti di lavoro» ha espresso l’auspicio che la dinamica innescata dall’aumento dei consumi si prolunghi. Affinché ciò avvenga, osserva Pierre Ellis economista di “Decision Economics”, «è importante che Washington non si metta in mezzo, è sufficiente che non faccia nulla». Da qui l’importanza dell’accordo bipartisan raggiunto al Congresso sul bilancio perché esclude nuovi tagli alla spesa pubblica e l’imposizione di nuove tasse, trasmettendo ai mercati un messaggio di «non interferenza» che, aggiunge Ellis, «è cruciale in questa fase». L’altro tassello dello scenario positivo che sembra schiudersi è dato dai «piccoli passi della Federal Reserve» come li defisce Matthew Sherwood, capo degli investimenti di Perpetual, secondo il quale la strategia del presidente Ben Bernanke di uscire dal “quantitative easing” attraverso minori riduzioni di acquisti di titoli in un periodo prolungato di tempo «allontata i timori del mercato finanziario». Per i monetaristi Michael Darda e Jim Pethokoukis è «l’aggressività della Federal Reserve che sta consentendo alla ripresa americana di avere esiti migliori rispetto a quella europea» anche grazie la convergenza fra Bernanke e il successore, Janet Yellen, sulle mosse da compiere. «L’era Bernanke si sta concludendo con un esito che assegna alla Federal Reserve un ruolo cruciale di pianificazione nell’uscita dalla crisi economia» osserva l’analista economico Lawrence Kudlow. «Davanti a Janet Yellen c’è ora una strada d’azione segnata - aggiunge Millan Mulraine, economista di Td Securities - e le sarà più facile accompagnare la ripresa continuando con i piccoli passi ereditati da Bernanke» in ognuna delle prossima sette riunioni della Federal Reserve prima di arrivare alla fine del programma di iniezione di capitali nel dicembre del 2014. Si tratta di una cornice di crescente stabilità che promette di facilitare il pronunciamento del Senato di Washington sulla ratifica di Yellen, attesa entro il 6 gennaio.