Gianluigi Colin, Corriere della Sera 21/12/2013, 21 dicembre 2013
IL CODEX DI SERAFINI STUPISCE ANCORA
In questi giorni a Parigi, a Montmartre, uno street artist sta riempiendo la città di creature ispirate a quelle del suo Codex . Amazon Usa ha classificato il Codex come «Best of the year 2013» nella categoria «Art & Design». E sempre negli Stati Uniti, Diplo, ovvero un dj famosissimo tanto da aver vinto il 55° Grammy Awards, lo omaggia continuamente nella calca delle discoteche newyorkesi. È il caso di dirlo. Il Codex Seraphinianus non è solo un caso editoriale internazionale, ma soprattutto un fatto di costume. Un simbolo di libertà, uno stimolo verso visioni immaginarie, un invito a superare i confini della mente e creare nuovi linguaggi.
Ma di che cosa stiamo parlando? Forse è il caso di fare un passo indietro: trentasette anni, quando, nel 1976, un geniale ed eccentrico editore, Franco Maria Ricci, incontra a Milano un giovane sconosciuto che gli propone un’opera visionaria, surreale e raffinatissima, dunque in qualche modo folle. Ovvero, un’enciclopedia che racconta di un mondo inesistente, descritto fin nei minimi particolari. Nasce così (editorialmente) nel 1981 il Codex Seraphinianus , un libro diviso in due sezioni, il mondo della Natura e quello dell’Uomo, con undici capitoli che vanno dalla flora e fauna alle macchinerie, dalla storiografia all’architettura. Ma tutto è raccontato in modo fantastico, surreale, e per di più con un linguaggio del tutto inventato fatto di ghirigori incomprensibili. Subito la critica e il collezionismo cominciano a interessarsi a questo ragazzo, colto, riservato e dalla mano felicissima, che mette insieme nelle sue opere i richiami dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert e l’atmosfera surreale e giocosa di Star Trek, facendo convivere Masaccio con Walt Disney.
Alla prima edizione (in due volumi), ne seguono cinque altre, fino al 1993, quando entra in un letargo editoriale, finché nel 2006 Ottavio Di Brizzi, della Rizzoli, con un lampo d’intuizione riscopre il libro che intanto nel mercato antiquario era divenuto uno dei 10 più ricercati al mondo secondo bookfinder.com .
Ma arriviamo al presente: nello scorso ottobre esce in Italia e negli Stati Uniti una nuova edizione con l’aggiunta di altre tavole. Negli Usa si esaurisce rapidamente, tanto che ne seguono due ristampe, raggiungendo le 13.000 copie, record assoluto per un libro d’arte da 125 dollari. Il direttore editoriale degli Illustrati Rizzoli, Marco Ausenda, ha creduto e puntato molto sul libro e ne spiega così il successo: «Pochi giorni fa la notizia del rilancio dell’opera in tutto il mondo anglosassone è stata ripresa dal blog alternativo Dangerous Mind, e quindi da vari altri media americani e inglesi online e non, facendo letteralmente esplodere gli ordini dei librai e dei siti ecommerce».
La dimensione mondiale del fenomeno è ormai una realtà, non a caso si hanno tracce del Codex in tutte le 45 lingue di Google. La voce Codex in «Wikipedia» è tradotta anche in cinese e giapponese.
L’opera è pubblicata in Italia anche in una edizione de luxe in tiratura limitata, numerata e firmata ai cui esemplari sono state aggiunte litografie esclusive di una serie di Tarocchi creati ad hoc dall’artista. Le 300 copie «inglesi» sono andate immediatamente esaurite, quelle «italiane» sono ancora (per poco) disponibili. Serafini non si spiega il successo. Per fare il Codex ha impiegato due anni e mezzo «lavorando costantemente come un monaco amanuense».
Quando fu pubblicato la prima volta, Roland Barthes e Italo Calvino rimasero incantati, il coreografo francese Philippe Decouflè, citò il Codex per le Olimpiadi invernali di Albertille nel 1992. Ma ancor oggi Serafini, da inguaribile ragazzo, sembra perso nel suo mondo fantastico e sembra non avere una risposta al suo successo: «Proprio non so, forse la realtà della crisi spinge a guardare un mondo visionario così i miei disegni diventano un rifugio contro la crudeltà e l’assenza di gioco del presente».
Il Codex è in effetti un atlante fantastico in cui perdersi: piante e animali inesistenti, l’ibridazione tra uomini e animali, l’invenzione di una lingua asemica, la creazione di un mondo botanico colorato e fantastico. Il Codex di Serafini appare come un viaggio mentale in un universo fantastico. Ma in questa edizione Serafini rivela una nuova verità, a suo modo, una confessione. Lo scrive nel volumetto allegato, intitolato Decodex , che spiega la nascita dell’opera: parla di una gatta abbandonata e che ha portato con sé, ricorda che gli stava accovacciata sulle spalle mentre disegnava, parla della lettura di Puškin e di un gatto saggio che si arrampicava su una catena d’oro e, se andava a sinistra, narrava racconti mentre, se andava a destra, mormorava canzoni.
Così Luigi Serafini, con la sua disincantata e incontenibile ironia verso il mondo, conclude: «In quei versi notai delle analogie sorprendenti con la mia gatta. Devo qui ammettere che fu la gatta bianca la vera autrice del Codex e non io, che mi sono sempre spacciato per tale, mentre ero un semplice esecutore manuale».