Varie, 23 dicembre 2013
Cioccolato per Sette - In Cina (un miliardo e trecento milioni di abitanti) la domanda di cioccolato è cresciuta più del 100% in 10 anni
Cioccolato per Sette - In Cina (un miliardo e trecento milioni di abitanti) la domanda di cioccolato è cresciuta più del 100% in 10 anni. L’incremento vale anche nel settore Asia-Pacifico dove le vendite sono quantificate in un 5% annuo in più. Cresce anche il prezzo: 40% in più. Se l’Europa occidentale resta il più grande consumatore mondiale (2,2 milioni di tonnellate l’anno), la sua crescita è minima (0,5/0,6) a differenza di quella cinese. Il sorpasso non è lontano. Nel 2014 la vendita globale toccherà la cifra record di 7,3 milioni di tonnellate. Il consumo di cioccolato pro capite degli italiani ogni anno è di 4 kg. Produzione annuale in Italia: 490mila tonnellate. I Maya conoscevano il cioccolato sin dal VI secolo avanti Cristo. Secondo la leggenda, fu il dio dell’agricoltura Hun Hunahpu a dare inizio alla coltivazione del cacao, che da quelle parti cresceva spontaneo. Re e dignitari di corte presero quindi a consumare abitualmente cioccolata, ottenuta dai semi lasciati seccare, triturati e mischiati con acqua e spezie piccanti. Xocoatl, il nome azteco per cioccolata. Secondo la leggenda, il dio Quetzalcoatl (Serpente piumato), fondando la stirpe azteca, fece dono al suo popolo dell’albero di cacao. L’imperatore Montezuma, sempre ritratto con un fisico da atleta, durante ogni pasto ne mandava giù una cinquantina di tazze. La volta che gli indigeni di un’isoletta al largo dell’Honduras si accostarono a una nave di Cristoforo Colombo, per scambiare le merci degli europei con un cesto pieno di grossi semi bruni («quelle mandorle che hanno quelli della Nuova Spagna per moneta»). Per convincere il navigatore gli prepararono all’istante una cioccolata, ma Colombo la giudicò «amara e piccante» e declinò l’offerta. Hernán Cortéz lo importò in Spagna. Nel 1615, l’infanta Anna, di anni 14, andando sposa a Luigi XIII di Francia, impose alla corte l’uso della cioccolata da bere in tazza. Di qui l’immediata diffusione in tutta Europa. Il cacao viene prodotto da «un albero non troppo grande e non vive se non in un luogo caldo e ombroso e se fosse toccato dal sole morirebbe, e pertanto si pianta tra i boschi e non li bastendo questo, vi piantano appresso un albero, il quale gli è superiore e come comincia a crescere gli raddoppian la cima di forte, che quando è grande lo cuopre, e così l’uno con l’altro si fanno ombra, di modo che il sole non gli dà noia alcuna». La bevanda che se ne ricava, però, pare più «beveraggio da porci che da uomini» (Girolamo Benzoni, botanico, metà del XVI secolo). «L’esperienza mi ha insegnato che venti negri possono coltivare cinquantamila piedi di alberi di cacao, che producono trentasettemila franchi, somma tanto più considerevole in quanto entra tutta nelle tasche del padrone a causa delle poche spese necessarie per il mantenimento degli schiavi. Una piantagione di cacao è una ricca miniera d’oro» (da una cronaca del 1720). «Questa bibita non rompe il digiuno», sentenziò papa Pio V nel 1569, ponendo fine alle dispute sulla liceità o meno di consumare cioccolata nei periodi di astinenza dai piaceri della tavola. Nel 1616 un comitato di dottori della Chiesa bollò il cacao come «esecrabile agente di negromanti e stregoni» che «portava seco la malvagità e il fermento della rivolta». Nel 1650 i gesuiti della Nuova Spagna tentarono di bandire la bevanda tra i Gesuiti, ma molti abbandonarono la Compagnia piuttosto che privarsene. Nella sua Storia dei generi voluttuari, Wolfgang Schivelbusch spiega perché l’Europa della prima età moderna si divide tra le terre del Nord protestanti, dedite al caffè, e il meridione cattolico, bevitore di cioccolata: per il suo alto valore nutritivo e per il fatto di essere una bevanda - il cioccolato solido è invenzione ottocentesca - la cioccolata non rompe il digiuno imposto nei periodi stabiliti e diventa il genere voluttuario più diffuso in Spagna e in Italia. Lo chef del duca du Plessis-Praslin che, inciampando in cucina, rovesciò una pentola di zucchero caramellato sopra alcune mandorle appena cadute dalle mani di un garzone. Poiché dalla tavola chiedevano a gran voce il dessert e non c’era tempo per rimediare, fece raccogliere il tutto e lo mandò in sala da pranzo con il nome di praline. Nel 1753, consacrando l’opinione popolare dell’epoca, Linneo classificò la pianta del cacao con il nome di Theobroma (cibo degli dèi). La teobromina contenuta nel cioccolato è tossica per i cani. Nei primi anni del Novecento, Albert Einstein lavorò per un breve periodo nella città elvetica come impiegato alla Tobler, la fabbrica del “Toblerone”. Quando apparvero, nel 1922, i “Baci” Perugina non si chiamavano così ma “cazzotti”, perché ricordavano la forma di un pugno chiuso. Li aveva inventati l’imprenditrice Luisa Spagnoli per recuperare le briciole di nocciole, residuo di altre lavorazioni. Giovanni Buitoni, figlio di uno dei quattro fondatori dell’azienda, diede loro il nome attuale per richiamare l’idea di dolcezza. Federico Seneca, detto il “cartellonista misterioso” (per i suoi disegni pubblicitari stilizzati), ebbe l’idea dei cartigli, i bigliettini con frasi più o meno celebri contenuti in ogni cioccolatino. Le varietà più diffuse di cioccolatini: algerini, alpini, arabelle, baci, banana, boeri, brasiliani, conchiglie, cremini, diablottini, dimmi di sì, dragé, giuanduiotti, grappini, moka, mozartkugeln, noci, praline, rocher, scorzette, tartufi, tre re. Un chicco di cacao contiene 400 aromi (la rosa 14, la cipolla 6). Considerato per secoli un buon rimedio contro innumerevoli malattie, nel Settecento il medico olandese Cornelius Bontekoe lo riteneva un elisir di lunga vita. Celebri ancora oggi le cure termali a base di cacao presso l’hotel Hershey, nell’omonima cittadina fondata da uno dei padri del cioccolato made in Usa. Il momento in cui viene mangiato di più è il primo pomeriggio. Audrey Hepburn, dopo il riposino del pomeriggio, mangiava tutti i giorni un pezzetto di cioccolata. «Il tabacco può uccidere, la cioccolata no» (Fidel Castro). Da un esperimento dell’Inran (Istituto nazionale per la ricerca sugli alimenti e la nutrizione) eseguito su sette uomini e cinque donne (tra i 25 e i 35 anni di età) è emerso che la percentuale di antiossidanti aumenta del venti per cento dopo aver assunto una barretta da cento grammi di cioccolato fondente. La percentuale resta invece immutata con cento grammi di cioccolato al latte. Il cioccolato contiene almeno 300 sostanze. Alcune aumentano la produzione di serotonina, l’ormone del buon umore, e di endorfine, che aiutano a lenire il dolore. La teobromina è un leggero eccitante con effetti simili alla caffeina, la feniletilamina alza la pressione e i battiti cardiaci e aiuta a reagire meglio allo stress. L’anandamide, che sulle cellule cerebrali ha effetti simili a quelli della marijuana, dà una sensazione di benessere, appagamento e serenità. I polifenoli del cacao agiscono come antiossidanti favorendo l’allungamento della vita, l’acido fenico evita l’ispessimento delle arterie. Il fosforo è presente in quantità doppia rispetto al pesce, 0,62 grammi per ogni etto. Un quadretto di cioccolato nero ogni 3 giorni (20 g) riduce il rischio di malattie cardiovascolari di un terzo nelle donne e di un quarto nei maschi. L’effetto sembra legato a una riduzione della proteina C reattiva, che segnala l’infiammazione. L’effetto migliore si ottiene con 6,7 g al giorno. Oltre questa dose il beneficio tende a sparire. Il cioccolato è più eccitante di un bacio. Lo dicono gli studiosi inglesi del Mind Lab presso l’Università del Sussex, che hanno hanno monitorato con gli elettrodi il battito cardiaco e l’attività cerebrale di un gruppo di ventenni. Risultato: mentre mangiavano cioccolato le pulsazioni salivano fino a 140 al minuto, oltre il doppio del normale e quattro volte di più rispetto ad un bacio. I ricercatori hanno spiegato che - soprattutto per quanto riguarda il fondente - i risultati erano abbastanza attesi (considerando la presenza di uno stimolante come la fenitelamina, nel cioccolato) ma non con effetti così forti e visibili. Madame de Sévigné raccomandò alla figlia incinta di non bere cioccolata, per non fare la fine della marchesa Collogon, che, per averne bevuto una tazza in gravidanza, partorì un bimbo nero. «Afrodisiaci pennelli di color cioccolato al latte», le gambe di Joséphine Baker secondo Filippo Tommaso Marinetti. Una ditta dolciaria californiana produsse cioccolatini a forma del lembo d’orecchio strappato a morsi da Mike Tyson a Evander Holyfield. Lo chiamò “Earvander-Tyson” (“ear” significa orecchio). Quelli di Chococlub dicono che un buon fondente deve essere «quasi rosso». All’assaggio, «deve spaccarsi nettamente quando si mette in bocca, deve sciogliersi rapidamente, avere una sabbiosità quasi impercettibile. Una volta sciolto dovrà lasciare una sensazione di dolcezza che sarà di veloce passaggio per lasciar spazio all’acidità del cacao (prova di bassa potassatura) all’amaro (segno positivo di bassa percentuale di zucchero)». Al latte: «Meno croccante del fondente, deve sciogliersi rapidamente, leggermente pastoso, deve sviluppare questi sapori: dolce, acido, amaro e con un intenso gusto di latte». Criollo, Trinitario e Forastero sono i tre principali tipi cacao. Il Criollo è il cacao che si presume fosse coltivato dalle antiche civiltà mesoamericane. Il tipo Forastero deriva dalla sottospecie Theobroma Cacao Sphaerocarpum. È diviso nei tipi Amazzonico superiore e Amazzonico inferiore o amelonado che è il tipo più coltivato al mondo, specialmente in Brasile e nell’Africa occidentale. Il tipo Trinitario discende da un’ibridazione fra il Criollo e il Forastero. Combina alcune caratteristiche aromatiche e sensoriali del Criollo con il vigore e l’alta resa del Forastero. Dal punto di vista della pregiatezza si distingue il cacao in: cacao aromatico (detto anche fine o speciale o dolce) e cacao non aromatico o bulk. Il primo gruppo comprende: Criollo, Trinitario e Nacional. Il secondo gruppo comprende il Forastero. Il Criollo rappresenta meno dello 0,001% del raccolto mondiale. Il Trinitario circa l’8%. Il Nacionale, che cresce solo in Ecuador, è pari al 2%. Il 90% è Forastero, meno pregiato.