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 2013  dicembre 21 Sabato calendario

«SPARO AI POLITICI» SPOT CHOC DA SANTORO


Spariamo ai politici: «Voglio fare un morto...». È un’intervista choc quella che Michele Santoro incarta come un regalo di Natale per gli italiani. Quasi uno spot senza rete, ad alto tasso di violenza. Tre minuti e 23 secondi come non si erano mai visti in tv, senza filtri e senza barriere, una sorta di istigazione all’omicidio che entra nelle case di milioni di italiani e, per di più, dalla porta autorevole di un programma di successo come Servizio pubblico .
«Per morire fra dieci anni di cancro ai polmoni preferisco morire domani sparato da un poliziotto...». A parlare è naturalmente un tizio senza nome, incappucciato, che però non si fa pregare e va dritto al punto: spariamo ai politici. Poi, con una rapida sequenza, fa i nomi di Barbara d’Urso e Daniela Santanchè: «Sono su Canale 5 con mia mamma, che mi guardo Barbara d’Urso esordisce lo sconosciuto - con quei quattro stronzi tipo la signora Santanchè che parla, dopo tre minuti mi sale un nervoso che vorrei andare lì ad ammazzare nel vero senso della parola, ma non posso, non perché non ho le capacità, ma perché fra me e loro ci sono quei personaggi, i poliziotti. I poliziotti sono nemici perché difendono quei criminali. Mio padre ripeteva: hai capito che il forno era caldo dopo che hai messo la mano... Tu non puoi capire i tuoi errori se nessuno ti punisce, io posso punirti una volta, due, alla terza volta devo ammazzarti. Se comincio a sparare alle gambe, io ci penso due volte prima di sbagliare, allora, c... uno dice sarà meglio che mi comporti bene perché hanno sparato a quello. E ti dirò di più: questo che ti sto dicendo è un po’ il pensiero comune di tutti: vecchi, donne, pensionati, non pensionati. Se domani parto per Roma e invece difare come quel signore calabrese che ha sparato al carabiniere ne secco uno di quelli, io faccio l’ergastolo ma nel giro di 24 ore ho più fan di Eminem e Madonna».
Un documento agghiacciante. Terminata l’intervista, realizzata chissà dove, la parola torna in studio a Santoro che se la cava con una frase nobile, ma dal fiato corto: «Se non ci fossero i poliziotti sarei io a difendere quelle persone»; poi, però, spiega che quel discorso, quell’elogio della pistola,merita «una riflessione» perché quella «percezione» della casta è evidentemente assai diffusa nell’opinione pubblica.
Gli ospiti prendono le distanze, si dissociano, sviluppano ragionamenti: la trasmissione, dopo quei sussulti di sangue, corre come sempre. Nessuna Authority , una di quelle che proliferano nel nostro Paese e di solito aprono la bocca quando potrebbero stare zitte e tacciono quando dovrebbero alzare la voce, sente il bisogno di aprire un fascicolo su quei minuti fuori controllo. È vero che di pazzi, esaltati e infiltrati, come si qualifica il nostro personaggio, è pieno il mondo, ma mettere loro in mano un megafono e far entrare i loro deliri nelle teste di milioni di ascoltatori è altra cosa. Assai pericolosa, perché il contagio funziona benissimo e ancora di più se l’apocalisse viene minacciata e rivendicata con orgoglio, quasi sventolando quelle parole infuocate come una bandiera. Quante teste accenderanno lampadine cariche di odio, di violenza, di sopraffazione. Lo sappiamo: in tv il monologo, come quello trasmesso giovedì sera, viene presentato come un frammento di verità, ma il passo che porta alla celebrazione dell’incappucciato come un eroe è breve. Il piedistallo è già pronto. Il video verrà sicuramente cliccato migliaia e migliaia di volte su YouTube , diventerà un cult per generazioni di arrabbiati, sarà un passaggio nella formazione di chissà quanti ragazzi. «Voglio andare lì a spaccare tutto...».
Ordini e garanti hanno altro da pensare, sono già affaccendati in altre partite, più terra terra, vorrai mica mettere il bavaglio alla libertà di opinione, a un programma libero per definizione come Servizio Pubblico , a un guru dell’informazione come Michele Santoro. E anche il cosiddetto circo dell’informazione vede passare l’incappucciato senza alzare un sopracciglio. Nessun commento. Nessun appello. Nessun manifesto, nell’Italia in cui tutti firmano tutto, contro il degrado e la deriva estremista. Niente di niente. Uno sbadiglio e si volta pagina. Nemmeno un accenno di solidarietà per Daniela Santanchè, nel mirino con nome e cognome. «Domani- spiega lei al Giornale - andrò a presentare la denuncia. Spero che questo signore venga identificato, ma devo comunque registrare il clima di barbarie ormai incontrollabile. Un tizio ripete fino alla nausea che vuole sparare ai poliziotti e ai politici, poi fa il mio nome. Nessuno prova non dico a fermarlo, ma a instaurare un minimo di contraddittorio. Sono sconvolta e questo avviene in un programma come Servizio pubblico di cui anch’io sono stata ospite». Intorno, solo silenzio. Sempre più fragoroso.
Stefano Zurlo