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 2013  dicembre 21 Sabato calendario

UNA VITTORIA DI PIRRO CHE DOVRÀ FARE I CONTI CON IL MERCATO


Telco esce sconfitta dall’assemblea Telecom, dove è riuscita a salvare di un soffio, un misero 0,3% del capitale presente, il consiglio in carica. Ma la compagine formata da Telefonica, Generali, Mediobanca e Intesa ha dimostrato di non essere in grado di esprimere un presidente, con il vice Aldo Minucci costretto a un interim che sperava dovesse durare solo poche settimane. Resta infatti ancora vacante il posto di Franco Bernabè, dimessosi il 3 ottobre scorso perchè in disaccordo con la piega presa da Telco a favore degli spagnoli e il rifiuto dell’azionariato prevalente a considerare un aumento di capitale che sarebbe servito non solo a evitare un umiliante downgrading a junk, "spazzatura", ma anche una cessione troppo frettolosa di Telecom Argentina. Mossa che Telefonica, numero uno a Buenos Aires, si è ben guardata dal considerare. Non ha raggiunto il quorum l’ex-presidente di Borsa italiana, l’economista Angelo Tantazzi, che era destinato alla presidenza. Ma neppure è passato l’altra candidata Telco per la cooptazione del board, l’indipendente Stefania Bariatti.
«Io ribadisco che Telecom italia è una società privata ed esistono regole di mercato che vanno rispettate. Il Governo non parteggia per nessuno dei giocatori in campo e quindi ritengo che nemmeno il Parlamento debba fare norme che aiutino un giocatore contro l’altro», ha detto ancora ieri il premier Enrico Letta. Ma il mercato ha dato un segnale forte e chiaro e cioè che Telefonica, tramite Telco, è in conflitto d’interessi e chi ha evitato che si arrivasse alla revoca l’ha fatto solo per evitare che la situazione diventasse del tutto ingestibile.
Lo studio Trevisan era per delega il primo azionista in assemblea con una quota superiore al 25%, di cui circa il 24% in mano agli istituzionali esteri. Senza considerare Telco e nemmeno Findim, il giudizio negativo degli investitori è stato schiacciante: nel rapporto di 4 a 1.
Ma non lo dice solo il mercato. L’ha detto anche l’Antitrust brasiliano che, dopo i nuovi accordi Telco di fine settembre, ha valutato la posizione di Telefonica nel Paese sudamericano incompatibile con la presenza nel capitale di Telecom. Lasciando quindi gli spagnoli davanti all’alternativa di uscire da Telco-Telecom oppure di condividere con qualcun altro la gestione del primo operatore mobile Vivo, di cui qualche anno fa avevano acquisito il controllo totalitario a caro prezzo, strappando il 50% di Portugal Telecom.
Decide il mercato, ok. Ma c’è da capirsi su cosa si intenda per mercato. È il Far West, un mercato senza regole dove con un esborso di poche centinaia di milioni si può aspirare a fare a pezzi un concorrente? O è il mercato, dove le regole servono a tutelare tutti gli interessi in campo, non solo quelli di qualcuno dalle spalle più larghe e dalle maggiori entrature?
Comunque sia, la giornata di ieri ha lasciato il segno. La governance di Telecom che, negli ultimi sei anni ha permesso di controllare i quattro quinti del board con poco più di un quinto del capitale, è da considerare archiviata. A gran voce, e dal mercato.