Guido Andruetto, la Repubblica 21/12/2013, 21 dicembre 2013
INEDITO PETRUCCIANO
La musica gli procurava felicità, lenendo le sue sofferenze fisiche e spronandolo a superare i propri limiti. Per Michel Petrucciani, pianista jazz tra i più importanti e virtuosi al mondo, scomparso nel 1999 a 36 anni per una complicazione polmonare legata alla terribile patologia ossea che lo affliggeva dalla nascita, l’amore per la musica corrispondeva per intensità al suo amore per la vita. Una vita troppo breve, la sua, ma che ha lasciato ai posteri un patrimonio musicale di valore inestimabile, che adesso si arricchisce di una nuova opera inedita. Un album in uscita in questi giorni in Italia con il titolo Flashback (lo pubblica l’etichetta francese L’autre Distribution), che comprende otto brani (tra cui due trascinanti versioni di Giant Steps di Coltrane e di Turnaround di Coleman) eseguiti live e in studio, tra il 1989 e il 1990, dal piccolo grande uomo del pianoforte con il fratello Louis, anche lui musicista, che fin da ragazzino ha accompagnato al contrabbasso Michel nel trio che formavano con il padre chitarrista Tony Petrucciani, esibendosi perlopiù nel sud della Francia, dove la famiglia risiede tuttora.
E proprio dalla casa di Tolone Louis Petrucciani ha accolto il nostro invito a rendere pubblico per la prima volta una parte dell’archivio privato che raccoglie fotografie, lettere, appunti e spartiti manoscritti di Michel. Non aveva accettato di farlo neanche per il documentario Body and Soul diretto da Michael Radford, del quale oggi dice «non conosceva Michel personalmente e ancora meno la sua vita. L’idea del film era buona ma quando l’ho visto con tutti quegli avvoltoi che parlano di Michel, ho ringraziato il cielo di essermi rifiutato di collaborare». Ma qual è oggi il suo ricordo più vivo di Michel Petrucciani? «Abbiamo suonato tanto insieme fin da piccoli — confessa il fratello del prodigioso pianista, che in vita soffrì di una forma congenita di nanismo aggravata dalla fragilità cristallina delle ossa — all’inizio lo facevamo per gioco, poi siamo arrivati a formare un duo. Quando Michel partì per Parigi lo raggiungevo due volte al mese per proseguire il lavoro su nuove composizioni e sugli standard del jazz. Flashback è il risultato di quel nostro impegno comune. È un album che racconta una storia di vita».
Di Michel Petrucciani si è scritto e detto molto, ma resta ancora un mistero come una musica tanto meravigliosa e ispirata, così potente e delicata grazie al tocco irripetibile della sua mano sulla tastiera, potesse nascere da un dolore non tanto interiore ma fisico. «La verità è che adorava suonare. Michel mi diceva: quando sei preoccupato o addolorato, mettiti a suonare, tutto è lì! Qualcosa si aggiusterà. Lui voleva imparare tutto sulla musica, fin da bambino, era curioso. Insieme ascoltavamo tanti dischi, soprattutto di jazz, e imparavamo da lì. Nostro padre era un chitarrista e in casa c’erano diversi strumenti tra cui un pianoforte che aveva preso alla base aerea di Caritat, vicino a Orange, dove lavorava. Col tempo divenne lo strumento di Michel. Mi ricordo che gli facevo sentire i dischi e lui mi diceva stop e riproduceva tutto sul piano, era il nostro passatempo preferito. Poi papà ebbe l’idea di mettere su un trio familiare vedendoci così determinati nello studio della musica, ed è così che abbiamo iniziato a esibirci insieme nei festival in Francia».
Le principali fonti di ispirazione, per Michel, sono state le composizioni dei più grandi interpreti e autori della storia del jazz, a cominciare da Duke Ellington, la cui In a sentimental mood figura nel nuovo album d’inediti. «Michel amava la mano sinistra di Errol Garner e la mano destra di Oscar Peterson e Bill Evans, e poi tutti i brani di Ellington e Basie. Insieme abbiamo ascoltato molto all’inizio Mingus, Monk, Reinhardt, Montgomery, e più avanti Davis e Coltrane». Anche Michel, ben presto, entrerà nella cerchia dei “grandi”, arrivando a 21 anni a essere prodotto, primo artista non americano, dalla Blue Note Records. Con più di venti album all’attivo, alcuni di grande successo, nell’ultimo anno di vita Petrucciani era riuscito a tenere più di duecento concerti, senza mai interromperne neanche uno a causa del male che lo tormentava. «Il suo unico obiettivo era fare un buon live, e quando succedeva Michel era felice e stava bene. La musica era la cura. Una volta suonammo in duo in un ospedale davanti a persone disabili, che ci ascoltavano sedute sulle loro carrozzine. Fu un momento estremamente toccante. Ma con Michel lo è stato ogni mattino al risveglio, bastava uno sguardo, un sorriso, il fatto di ritrovarsi, in forma per un altro concerto».