Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 21 Sabato calendario

“RIPRENDETEVI LA MANO BIONICA” IL PENTITO DEL PRIMO TRAPIANTO RESTITUISCE ANCHE LA PROTESI


Dice la moglie che negli ultimi tempi «l’arnese» — con disprezzo — serviva solo per far giocare il gatto. «L’avevamo messa lì in un angolo e ci saltava sopra, così almeno lui si divertiva, visto che noi siamo qui con l’esaurimento nervoso...». L’arnese rinnegato è lei, la benedetta o maledetta mano bionica che in questa storia da commedia noir — con tutto il rispetto del caso e dei traumi che si porta dietro — ambisce al ruolo di protagonista. «Mi ha deluso, speravo migliorasse la mia vita, invece l’ha peggiorata. Meglio perderla che trovarla...». La liquida così, con apprezzabile vis comica, Walter Visigalli, l’ormai ex proprietario della super-mano che prometteva miracoli e invece giovedì mattina alle 9 è stata restituita come una bicicletta inceppata al mittente: l’ospedale San Gerardo di Monza.
Vediamolo, l’arto posticcio. Trattasi di protesi ricaricabile in lega di carbonio e titanio, rivestita di silicone e molto verosimile perché, collegati i sensori dell’apparecchio ai tendini del braccio, le dita entrano in azione spinte da un sofisticato motore. O dovrebbero. Visigalli se la aspettava così, però è andata in un altro modo. Passo indietro: 48 anni, impiegato alla Mapei di Mediglia, Walter è stato il primo trapiantato di mano in Italia (anno 2000). La sua se l’è portata via una trebbiatrice quando adolescente lavorava nei campi. È l’inizio di un’odissea. Di una fama di cui il nostro avrebbe fatto volentieri a meno. Visigalli accetta di diventare il primo uomo europeo dotato di mano bionica e lo scorso novembre si opera. Non è che ami i record: è che, 13 anni dopo il primo trapianto eseguito dal chirurgo Marco Lanzetta, quest’estate la mano destra ricevuta da un quarantenne deceduto a Trento inizia a dare problemi. A due mesi dai primi sintomi del rigetto, Lanzetta è costretto a amputare la mano. È il 25 giugno. Come nel 2000: reparto di Chirurgia plastica della mano del San Gerardo di Monza. «Ad agosto — racconta Visigalli guardandosi le profonde cicatrici sul braccio — col professore iniziamo il percorso che avrebbe portato a impiantarmi la mano bionica. Facciamo il calco». I tempi si allungano e si arriva all’autunno. L’8 dicembre la conferenza-evento per presentare il nuovo intervento. Accompagnato dalla moglie Pierangela Ripoli, Visigalli inizia la nuova sfida: impugnare, scrivere, tagliare, guidare, accarezzare, lavorare, insomma vivere con una mano automatica. La prima applicata in Europa. «Ha iniziato subito a dare problemi. Problemi tecnici di chiusura della mano. Mi avevano avvisato che con le vibrazioni si chiudeva. Ma c’era un problema di sensori: andavano regolati. Sballavano... la mano si chiudeva di scatto, stringendo forte la presa...», dice lui. Da Mulazzano, il paese del lodigiano dove vivono, i coniugi Visigalli fanno la spola quattro volte con Santarcangelo di Romagna dove ha sede la ditta che produce la super-mano. «Ogni volta c’era un impedimento per regolare questi sensori — fa la moglie Pierangela — Infatti sono rimasti identici». Sensori non regolabili? Un’aspettativa eccessiva? Scarsa pazienza? Sta di fatto che la mano bionica inizia a seminare stress. «Ho rischiato mentre ero alla guida: di colpo la mano si chiudeva e non potevo più controllare il volante. Ero costretto a fermarmi e a sfilarmela per sbloccare i sensori». La stessa cosa accade quando un giorno Visigalli stringe la mano alla figlia della moglie. «È venuta fuori una presa un po’ troppo “vigorosa”». La morsa del sensore va per conto suo. Sfilala un’altra volta. Rimettila di nuovo, attaccala al gomito. «L’altro giorno sono arrivato al culmine...». È mercoledì sera, appena tornato dal lavoro («la usavo solo per scrivere ma dovevo tirarla via perché avevo il braccio gonfio e mi grattava sulle cicatrici del trapianto»). Scena già vista: Walter rimuove la mano, per sfinimento la ripone su una mensola a portata del gatto, destinandola a una funzione diversa. «Basta. Ho chiamato Lanzetta e gli ho detto che il giorno dopo avrei riportato la mano in ospedale. Lui non ci credeva. E invece l’ho fatto» (l’ha portata la moglie). «Provo un grande dispiacere per Walter» commenta il chirurgo, che spiega: «I problemi della protesi? Normali calibrazioni necessarie nei primi tempi. La mano bionica è uno strumento avveniristico, va sistemata. Non si può pretendere che sia perfetta subito».
L’arto adesso riposa in una teca del San Gerardo. Per ora ha prodotto un pentito: Visigalli. «Pentito di averla messa. Tornassi indietro non lo rifarei più. Già ero rimasto scottato dal trapianto. Non avrei dovuto accettare, ma ormai è andata... Mi auguro che ad altri vada meglio, per quanto mi riguarda, basta così». Vivrà senza mano? «Non lo so. Adesso voglio stare senza per un po’, in futuro si vedrà ». Chissà se qualche regista avrà pensato di imbastire una sceneggiatura su questa storia surreale. Vite che ruotano intorno a una mano. Lui, la moglie, il medico, e la mano. Sentite la signora Pierangela. «Questa mano ci è costata la salute, fisica e morale. Mio marito è psicologicamente distrutto. Io costretta a fare la badante perché lui non riesce a fare niente. Forse torneremo a Bologna, e si rimetterà la protesi che aveva prima del primo trapianto». Una protesi fissa. Solo estetica. Mano finta sì, ma almeno innocua.