Viktor Erofeev, la Repubblica 21/12/2013, 21 dicembre 2013
ORA MERITA IL NOBEL
LA NOTIZIA della liberazione di Mikhail Khodorkovskij ha sconvolto la Russia. Putin gli ha concesso la grazia ora che egli ha ormai scontato il 94% della pena detentiva. Di che si tratta, si domanda oggi la Russia, della pietà umana che si è improvvisamente risvegliata e ha partorito un regalo di Natale, di un freddo calcolo, di un cambiamento di indirizzo politico, o di pusillanimità? Un tempo, solo a sentir pronunciare il nome di Khodorkovskij, a Putin si contraevano i muscoli della mandibola e fremeva di rabbia. Khodorkovskij rinchiuso in prigione somigliava a un punto esclamativo, un avvertimento rivolto dal potere a tutti quanti, e in particolare alla comunità degli uomini d’affari: non osate fare come lui! Altrimenti vi aspettano molti anni di prigione. Quasi tutti erano convinti che Khodorkovskij non sarebbe più uscito dal carcere finché Putin fosse rimasto al potere.
E INVECE, il presidente ha sorpreso il suo paese e il mondo intero.
Khodorkovskij prima della sua carcerazione rappresentava una triplice minaccia per Putin, che all’epoca non era ancora un presidente molto esperto. In primo luogo, era un suo avversario nella corsa al seggio presidenziale. Era una figura carismatica, l’ideologo di una società civile aperta; aveva un programma chiaro e comprensibile di liberalizzazione in senso europeo della Russia. In secondo luogo, vi era la minaccia dell’umiliazione. Khodorkovskij disprezzava apertamente Putin e in un’occasione osò dichiarare in sua presenza che si poteva benissimo fare a meno di lui. Putin, ambizioso e vendicativo, non lo accettò.
Va detto che a quel tempo Khodorkovskij era un uomo assai altezzoso; ricordo il nostro incontro durante una trasmissione televisiva: si comportava come un giovane miliardario tracotante. Era chiaro che non avrebbe potuto salvarsi nel mondo della politica russa, mondo che andava sempre più richiudendosi su se stesso, e che sarebbe caduto in qualche trappola.
La terza minaccia per Putin era di carattere criminale. Giravano molte voci sui suoi ambigui affari nel gioco d’azzardo a San Pietroburgo, quando egli lavorava con il sindaco. C’erano poi le tristemente famose esplosioni di palazzi avvenute a Mosca nel 2000. Se Khodorkovskij fosse diventato presidente, avrebbe potuto scavare e riportare alla luce moltissimi particolari scomodi per Putin. Basti ricordare la tragica sorte di Litvinenko, che aveva deciso appunto di scavare in queste faccende. Khodorkovskij se la cavò con un clamoroso processo esemplare, con la disfatta dei suoi alleati, lo smantellamento della società Yukos, la pena in un lager nei pressi della lontanissima Chita, in Siberia, dove su di lui si abbatterono i rimproveri dei superiori e le minacce da parte dei detenuti.
Sono passati dieci anni. Khodorkovskij ha sopportato con coraggio questi tormenti. Il suo volto ora è illuminato dalla luce, così rara ai giorni nostri, del martirio. È dimagrito e, a quanto pare, è diventato più buono. Ha intrattenuto una corrispondenza con alcuni rappresentanti della nostra intellighenzia. Nelle sue lettere, come nei suoi articoli, sono sempre più frequenti i segnali di tolleranza e di saggezza. Quasi come accadde a Dostoevskij: anch’egli imparò a vivere grazie all’ergastolo inflittogli dall’autocrazia. Negli ultimi tempi Khodorkovskij aveva insistito sul dialogo tra l’opposizione e il potere: riteneva che l’opposizione non dovesse avere per forza un carattere spiccatamente rivoluzionario. Di recente, da un’emittente televisiva russa privata ho dichiarato che Khodorkovskij merita il premio Nobel per la pace. Non sarei sorpreso se lo vincesse. In ogni caso, propongo la sua candidatura a questo riconoscimento.
E tuttavia, perché Putin ha liberato dal carcere un suo nemico? Credo che sul piano personale egli abbia compreso che Khodorkovskij ha elaborato e superato il proprio odio verso il presidente. Se ciò è vero, allora Khodorkovskij personalmente non fa più paura a Putin. Sul piano ideologico Putin e Khodorkovskij rimangono inconciliabili nemici, ma Khodorkovskij, dopo aver vissuto il dramma della detenzione, a mio modo di vedere, troverà il suo posto nella filosofia politica, piuttosto che nell’azione politica diretta.
Quanto a Mikhail Borisovich, gli auguro di non dissipare ora che è tornato in libertà la saggezza acquisita in prigione. La Russia ha bisogno di conoscere se stessa. Khodorkovskij — sia che lasci il paese per qualche tempo (come ha fatto ora), sia che resti qui — potrebbe diventare una delle principali fonti di questa conoscenza.
Traduzione di Mirella Meringolo