Simonetta Robiony, La Stampa 21/12/2013, 21 dicembre 2013
AVATI: IL MIO INNO CONTROCORRENTE AL MATRIMONIO
È l’Avati più Avati che si sia mai visto questo di Un matrimonio, sei puntate del suo personale romanzo familiare, in onda su Raiuno da domenica 29 in avanti, nell’anno nuovo. Può piacere o meno, Pupi Avati, ma certo è un regista di stile, un autore che sui temi che l’appassionano, i sentimenti, le psicologie, la nostalgia, il ricordo, le debolezze e gli eroismi di ogni essere umano sa usare tempi e modi propri. E stavolta con tante lunghe ore a disposizione, ha raccontato cosa è un matrimonio, anche il suo matrimonio, quasi 50 anni di vita in comune con la moglie, sposata perché, spiega: «Era una ragazza molto, molto, molto carina e basta, ma diventata adesso come un mio secondo sguardo, l’unica persona al mondo a sapere più cose di me di quante ne sappia io. Un mistero, il matrimonio su cui ho riflettuto a lungo».
A reggere il peso di questa fiction tanto italiana, è, soprattutto, Micaela Ramazzotti nei panni della madre di Pupi Avati, una ragazza di famiglia operaia che si innamora al primo sguardo di Flavio Parenti, un giovane benestante figlio di un commerciante. Con loro due, la coppia della storia, Andrea Roncato, Valeria Fabrizi, Katia Ricciarelli, Mariella Valentini , Ettore Bassi, Corrado Tedeschi e Christian De Sica in un ruolo che lo fa apparire sempre più simile a suo padre Vittorio, più un foltissimo gruppo di personaggi minori tutti con una loro caratteristica. Produce la Duea di Antonio Avati con la Rai che, pur tra molti dubbi, un paio di stagioni fa, ha voluto intraprendere questa impresa. Lodatissima da Avati la Ramazzotti che, a suo dire, in alcune scene, gli ha regalato l’emozione più forte mai ricevuta da una attrice. In cambio lodatissimo Avati da lei per averle permesso di conoscere tanto a fondo una donna fuori dall’ordinario come la madre del regista, fino a entrare dentro la sua stessa pelle, vivendone la vita.
È un inno al matrimonio senza retorica, questo di Avati, un pensiero forte e controcorrente sulla famiglia, l’impegno, gli affetti, la fatica di costruire in coppia qualcosa che conta. Ma è anche un tentativo di coinvolgere altri registi di cinema nella fiction tv, non un genere da disprezzare, ma un modo per avvicinarsi a un pubblico più vasto, quello che ormai frequenta poco le sale cinematografiche. «Ci vorrebbe maggiore attenzione nei confronti della fiction di qualità ignorandone gli ascolti. È arrivato il momento di non scrivere più , sui giornali: «Ha vinto la serata». Non si vince niente in tv. Si può fare meglio o peggio. E i registi italiani, tanti ormai senza lavoro, dovrebbero avvicinarsi alla fiction per sperimentarla. Non lo vedono anche loro che se ci sono due camion davanti a un palazzo si sta girando un film, mentre se ce ne sono dieci si fa una fiction?».