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 2013  dicembre 21 Sabato calendario

L’ACCUSA DI VITTORINO ANDREOLI “QUESTI PERMESSI SERVONO SOLO A SVUOTARE LE PRIGIONI STRAPIENE”


È finita bene perché li hanno ripresi, ma la gente si chiede: come si fa a concedere permessi del genere? A non capire, o almeno a non sospettare, che uno che ha ammazzato può essere ancora pericoloso? Domande che giriamo al professor Vittorino Andreoli, veronese, 73 anni. Su incarico dei giudici, ha guardato dentro i cervelli di assassini e serial killer come Pietro Maso, Donato Bilancia, Luigi Chiatti. L’ultima perizia psichiatrica l’ha fatta su Nicola Garbino, l’uomo che in settembre a Udine ha ammazzato con dodici coltellate una giovane che faceva jogging. Andreoli dice che le carceri italiane non rieducano nessuno e che le perizie psichiatriche sono fatte male spesso per non dire quasi sempre; però prima di dirlo, proprio perché lui è uno di quelli che le cose le fa seriamente (non solo le perizie: perfino le interviste), comincia così: «Permette una premessa?»
Prego, professore: premetta.
«Lei mi chiede come si fa a non capire la pericolosità di un individuo. Ma io le dico subito che quella parola lì, “pericolosità”, è stata cancellata dal nostro vocabolario sociale».
Cancellata! E da chi?
«Permetta un’altra premessa alla premessa. Il termine “pericolosità” aveva un’importanza enorme nella prima legge del Regno d’Italia sui manicomi, quella del 1904 ispirata da Cesare Lombroso. Nel testo si definiva il matto come “colui che è pericoloso a sé o agli altri, o è di pubblico scandalo”. Insomma il malato di mente era ridotto alla sua “pericolosità”, una parola che ha dominato per molti anni».
Per scomparire quando?
«Nel 1978, quando la legge del 1904 è stata sostituita dalla cosiddetta legge 180, o Basaglia. Una legge nella quale la parola “pericolosità” non è mai nominata».
E perché?
«L’idea adesso è che non ci sia una differenza tra la pericolosità dei matti e quella dei, diciamo così, “normali”. Ora: è vero che anche il “normale” può essere violento, ma la legge Basaglia dimentica che in alcune patologie psichiatriche uno dei sintomi principali è proprio la pericolosità».
Mi faccia capire: oggi si pensa che non ci siano patologie mentali che hanno, come conseguenza tipica, l’uso della violenza?
«Diciamo così: Lombroso pensava che la follia è una degenerazione del cervello che non si può sanare, e quindi uno che ha ucciso una volta ucciderà sempre. Oggi si pensa che la pericolosità sia una questione per carabinieri e polizia, non per gli psichiatri. Si è passati da un errore all’altro».
E così, li scarceriamo grazie a psichiatri troppo buonisti?
«Il primo a dare un parere per la concessione di un permesso premio, o per un affidamento ai servizi sociali, è il direttore del carcere, che valuta il comportamento del detenuto. La pratica arriva così al magistrato di sorveglianza, che chiede a uno psichiatra una perizia per valutare la pericolosità».
La perizia psichiatrica è uno strumento infallibile?
«Un rischio di errore c’è sempre. Può darsi che un detenuto sia sincero e animato dalle migliori intenzioni, ma poi uscendo trova un ambiente che lo respinge e ricade in comportamenti violenti. Però, sa cosa le dico? Che uno psichiatra non deve mai rischiare. Deve dare il parere positivo solo quando è assolutamente certo».
E invece... Le perizie sono fatte male?
«Spesso le perizie si limitano a due o tre incontri. Non si approfondisce».
E perché?
«Sono pagate da 73 a 130 euro lordi. Se si sceglie il pagamento a “vacazione” (è un termine che indica più sedute quotidiane) si può arrivare a 1.800 euro lordi al mese lavorando, o facendo finta di lavorare, otto ore al giorno. Insomma sono pagate poco. E molti colleghi le fanno malvolentieri».
Lei però Pietro Maso lo ha seguito per mesi e mesi. Un giorno lui le disse: «Professore, io avrò anche fatto una cazzata, ma lei deve venire qui tutti i giorni?».
«Penso di aver passato metà della mia vita in galera, è come se fossi stato condannato anch’io. Ma le perizie le faccio con passione. Gratis: così salvo la mia dignità».
Secondo lei un assassino si può redimere?
«Io credo che un uomo possa cambiare. Ma mi chiedo: le carceri oggi che cosa fanno per rieducare o per curare? Niente. In Italia il carcere è un ambiente osceno. Per questo io non mi prendo la responsabilità di dire che un detenuto non è più pericoloso. Sa qual è la verità su questi permessi?».
Mi dica.
«Li danno solo per svuotare le carceri perché sono piene zeppe».
Adesso chiuderanno anche gli ospedali psichiatrici giudiziari. Lei è favorevole?
«Quegli istituti, sei in tutta Italia con 1.180 detenuti, sono vecchi e inadeguati. Ma se devono chiuderli per non sostituirli con niente, è meglio che non li chiudano. Avevo avuto l’incarico dal Dap per studiare un’alternativa, e avevo proposto piccole strutture per 50-60 persone, una in ogni Regione. Sarebbero costate pochissimo. C’è stata una proposta di legge, poi tutto si è arenato. È la politica. È l’Italia».