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 2013  dicembre 21 Sabato calendario

COME FUNZIONA BLACKROCK, IL LEVIATANO DEI MERCATI

Stavolta Aladino non soltanto non esaudisce i tre desideri, ma non dice il vero, tradisce il suo padrone, rischia di fargli perdere tempo e denaro nei tribunali, e impone costi alla collettività. In questa fiaba Aladino non è il proprietario di una lampada, ma è un database di prezzi di titoli e partecipazioni azionarie, che contiene le posizioni di BlackRock. E’ il nuovo esempio di scuola di ciò che chiamiamo rischio operativo. Un caso di studio che solleva però una questione importante. Certi comportamenti sono un rischio per l’intermediario finanziario, oppure, se l’intermediario finanziario è abbastanza grosso, sono un rischio per la collettività? Altri esempi? Alì Babà e i quaranta ladroni delle valute, del Libor e delle commodities. Anche qui la domanda è: ma in questi casi di rischio operativo di dimensioni estreme, alla fine ci rimettono gli intermediari o la collettività?

Il proprietario di Aladino è BlackRock, fondo statunitense da 3.500 miliardi di dollari in gestione. Il suo responsabile di rischio operativo poco tempo fa su una rivista specializzata, Operational Risk, cantava le lodi di Aladino, il “repository” che uniforma i prezzi dei titoli a livello globale. Diceva che la filosofia di BlackRock è tenere tutti i prodotti in un sistema solo, in modo che ci sia “solo una versione della verità: un sistema centrale che serve tutti i vari prodotti e servizi, globalmente. Da qui ognuno ha accesso alla stessa informazione, e molto velocemente”. Il problema è che di tanto in tanto produce “errori di calcolo”, come quelli riportato in un bell’articolo di Morya Longo sul Sole 24 Ore del 18 dicembre. E la considerazione importante è che se alcuni di questi errori di calcolo vanno a vantaggio del proprietario di Aladino e a danno della collettività, questo solleva la questione: Aladino ci è o ci fa? E il punto è che anche in questo caso si tratterebbe di rischio operativo, ma un rischio diverso. E’ il rischio di malfunzionamento del sistema di governance e di incentivi invece di quello informatico. Fuori dal gergo: è il rischio che il problema sia rappresentato da umani furbi, piuttosto che macchine sciocche.

Il caso della percentuale di partecipazione in Telecom ha messo il caso sotto i riflettori, sollevando onde di impatto di mercato. La stessa cosa era avvenuta nel 2011 quando BlackRock fece l’opposto con Unicredit, segnalando che era scesa sotto la soglia del 2%, ma poi facendo marcia indietro e addossando tutto a un errore di calcolo. Nel 2011 c’era già Aladino? E Aladino del 2013 contiene i titoli azionari? Non lo sappiamo. Facendo ancora riferimento all’intervista del risk manager di BlackRock, pare di capire che la fusione con la società di gestione di Barclays, Barclays Global Investor (BGI) abbia creato problemi non secondari di integrazione dei sistemi di gestione del rischio. E’ vero che durante il periodo di integrazione dei sistemi di controllo del rischio, il rischio operativo può addirittura aumentare, ma è ragionevole ritenere dopo una fusione cominciata nel 2009, nel 2013 la partecipazione Telecom sia rimasta ancora su qualche foglio Excel? Difficile da credere. Soprattutto perché a inizio del 2013 BlackRock si è resa protagonista di un caso in cui Aladino non pare entrarci molto: ha venduto a fine gennaio il 2,3% di Saipem, poco prima di un annuncio di una massiccia revisione al ribasso degli utili, che portò Saipem a perdere un terzo del suo valore. Ci sono tutti gli indizi di un caso di insider trading. Nessun errore di calcolo, nessun problema di information technology: soltanto gestori troppo bravi o troppo furbi. Il faro Consob dovrà dirimere quale delle due spiegazioni è più plausibile.

Se gli errori di calcolo avvantaggiano chi li commette, indicano uno strano tipo di rischio operativo, e sollevano diverse domande sull’efficacia di una regolamentazione di questo tipo di rischio. Per capire, proviamo a immaginare che Consob appuri che nei casi Unicredit e Telecom l’errore di calcolo abbia portato profitti a BlackRock. Dove sta il rischio operativo? Nel fatto che un errore simmetrico avrebbe potuto portare a perdite per BlackRock? Nel fatto che la perdita inferta ad altri partecipanti al mercato dà origine all’intervento del regolatore o a un litigio legale? Nella perdita di reputazione, perché qualcuno nel mercato può seriamente credere che uno dei player globali non sappia fare di conto? E poi c’è una domanda di fondo:la sanzione sarà davvero coerente con il danno arrecato, e superiore al lucro che è derivato all’azienda?

E se invece di un errore di calcolo si trattasse di una mossa deliberata per smuovere l’onda del mercato e per farci surf? In questo caso il costo sarebbe quello della multa, delle spese legali. La reputazione? Non tanto, se la reputazione che ti interessa non è quella dei piccoli azionisti e del mercato, ma dei surfisti da salotto. In questo caso, nei rischi operativi generati dall’intervento umano, piuttosto che dalle macchine, il problema della dimensione della sanzione e del danno diventa ancora più essenziale. Da un lato una sanzione superiore al danno risponde a un senso di risarcimento di fronte a un comportamento fraudolento. Dall’altro lato, il fatto che la sanzione di questo atto sia superiore al lucro che ne deriva elimina, o quanto meno riduce, l’incentivo al comportamento fraudolento.

Per quello che abbiamo detto finora, il problema della determinazione del danno, e della sanzione nel caso si tratti di rischio legale, è l’aspetto più importante, e più difficile da quantificare, del rischio operativo. Nella fattispecie più tipica di manipolazione del mercato, l’insider trading, il lucro accumulato ai danni degli altri ha il nome tecnico di “disgorgement”. Calcolarlo non è semplice. Ed è tanto più difficile quanto più deve tener conto delle condizioni di liquidità del mercato. In altri termini, è tanto più difficile calcolare l’onda se sono i surfisti stessi che concorrono a crearla. Un esempio di questo tipo di comportamento sono le pratiche di manipolazione dei mercati di maggiori dimensioni: quello dei cambi, e quello delle commodity. In questi casi, la manipolazione avviene con un intervento concertato e con tecniche più sofisticate di “errori di calcolo”.

La considerazione di manipolazioni su mercati di grandi dimensioni conduce poi a una domanda finale: se la dimensione dell’onda è quella di uno tsunami, è credibile pensare che un argine possa arrestarla? In altri termini, cosa succede se il danno inferto è talmente grande da spazzare via qualunque capitale, anche di una grande banca? Pensiamo ai frutti di una sia pur piccola manipolazione su un mercato come quello dei cambi, che ogni giorno muove 4.700 miliardi di dollari. Anche su questi mercati, immensamente più liquidi della nostra borsa valori, sono possibili manipolazioni, come stanno appurando le autorità di supervisione negli Stati Uniti e in Europa. La tecnica è quella del front running, che abbiamo descritto in passato sul nostro blog: si acquisiscono e si condividono informazioni sugli ordini di acquisto e vendita della clientela, si radunano e ci si muove in anticipo. In questo modo si muove il mercato prima che arrivino gli ordini, e si guadagna cavalcando la piccola onda creata. Una piccola onda può facilmente generare guadagni di dimensioni che, se trasformati in sanzioni, possono facilmente generare rischi di illiqidità o di insolvenza anche in grandi banche. E anche la vicenda, molto meno tecnica, della manipolazione dei tassi di mercato Euribor e Libor, se sanzionata per il danno che ha effettivamente causato all’economia globale, condurrebbe a multe esiziali. Infatti, sebbene la multa di 1,7 miliardi di euro inflitta recentemente a cinque banche europee per la manipolazione dei tassi sia stata definita dalla stampa “maxi”, probabilmente è largamente inferiore al danno che queste manipolazioni hanno causato all’economia europea nel suo complesso. E, probabilmente, una sanzione corrispondente al danno avrebbe spazzato via le banche.

In conclusione, BlackRock è un altro caso di studio dell’impatto del rischio operativo di grandi player sul mercato. Sia che si tratti di un problema di macchine (Aladino), sia che la colpa sia della gestione del rischio di Alì Babà, solleva il doppio problema: è possibile per operatori di queste dimensioni definire sanzioni che siano congrue con il danno provocato, e che disincentivino l’esposizione al rischio operativo? E se sanzioni di dimensioni congrue sono impossibili, quale alternativa resta? Mentre per le banche sul “too big to fail” si è scritto molto, su operatori del risparmio gestito la discussione è tutta da iniziare.