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 2013  dicembre 22 Domenica calendario

ROMA - Alla fine arriva il primo via libera per il ddl province: i sì sono stati 277, i no 11, gli astenuti 7

ROMA - Alla fine arriva il primo via libera per il ddl province: i sì sono stati 277, i no 11, gli astenuti 7. Hanno votato a favore Pd, Nuovo centrodestra, Scelta civica, Per l’Italia; contro Lega e Sel; M5S e Forza Italia non hanno partecipato al voto. Il provvedimento deve passare adesso all’esame del Senato. Ma l’approvazione è avvenuta in un clima di tensione. Tra urla e contestazioni. Bagarre alla Camera. I 5 stelle si sono scagliati contro i deputati di Sel accusandoli di essere "scendiletto" e "stampella della maggioranza", perché hanno garantito il numero legale. In sottofondo, si sentiva qualcuno che urlava: "Ma che sono queste cazzate!". Il presidente di turno, Simone Baldelli (FI), ha tentato a più riprese di ripristinare l’ordine: "Se riusciamo a ridurre queste urla belluine - ha ammonito - da una parte e dall’altra, siamo tutti più sereni". In precedenza Forza Italia, Cinque Stelle e Lega - che contestano il provvedimento definendolo farraginoso e inutile - avevano abbandonato l’aula. Renato Brunetta aveva chiesto che si riunisse la conferenza dei capigruppo alle 18 in punto, come da convocazione ufficiale. E questo con l’intento di provocare la sospensione della seduta e il probabile rinvio dell’esame della legge. Di fronte alla "resistenza" del presidente di turno Baldelli, berlusconiani, pentastellati e Carroccio hanno lasciato l’assemblea. Del clima di tensione ha fatto le spese anche la presidente della Camera, Laura Boldrini, attaccata da Brunetta per non aver rispettato l’ora di convocazione della capigruppo: "Faremo qualsiasi cosa, ma questi atteggiamenti leonini non sono accettabili. Ho cercato il presidente Boldrini ma non ha risposto. Questa vicenda è un’offesa, una inutile violenza al Parlamento. Di questo Boldrini dovrà rendere conto". Successivamente la conferenza si è riunita, decidendo una prosecuzione ad oltranza in seduta notturna fino all’approvazione della legge. La protesta dell’Upi. Intanto, dal fronte delle Province, parte un ultimo tentativo di "resistenza", guidato dal presidente dell’Upi, Antonio Saitta: "Il Governo e il Parlamento - attacca - diranno che hanno abolito le province, ma la verità è che non solo sono state mantenute, ma è stato fatto un gran pasticcio che ci preoccupa. Perché con questo pasticcio sono a rischio servizi essenziali per i cittadini". Nel mirino finiscono in particolare le norme - contenute nella legge di stabilità - che impediscono le elezioni delle 52 Province i cui mandati scadono a primavera e delle 20 commissariate nel 2012. Viene leso "un diritto inalienabile di cittadinanza, l’Upi presenterà ricorso e il primo, da privato cittadino, sarà il mio", ha detto Saitta. E ancora: "Vietando ai cittadini di votare chi li amministrerà la legge di stabilità lede il diritto di voto libero, segreto, e non limitabile, sancito dall’articolo 48 della Costituzione". La riforma. Ma cosa prevede la nuova normativa? Innanzitutto la trasformazione dei consigli provinciali in assemblee dei sindaci, che lavoreranno a titolo gratuito; poi l’istituzione di 9 città metropolitane; e la disciplina della fusione dei Comuni. Nell’intento del disegno di legge, che dovrà essere ora discusso dal Senato, le province comprenderanno aree più vaste di quelle attuali e i loro rappresentanti saranno designati non più dai cittadini, ma dagli amministratori locali, che sceglieranno tra i sindaci dei comuni del territorio. Rispetto a oggi, non bisognerà pagare gli stipendi a presidenti, consiglieri e assessori. La struttura portante della Repubblica delle autonomie dovrebbe avere il suo perno su due soli livelli territoriali di rappresentanza politica: i Comuni e le Regioni. CORRIERE.IT Dopo una giornata accesa e caratterizzata da scivoloni e da dietrofront della maggioranza sulla legge di Stabilità (su tutti quelli sul recesso dagli affitti dei palazzi del potere e quello sulle penalizzazioni agli enti locali che ostacolano le slot machine) l’assemblea di Montecitorio ha approvato il disegno di legge sulle Province e le città metropolitane con 277 voti favorevoli e 11 contrari (Sel). Hanno votato a favore Pd, Nuovo centrodestra, Scelta civica, Per l’Italia; contro Lega e Sel. Non hanno partecipato alla votazione in segno di protesta la Lega Nord, Forza Italia e il Movimento 5 Stelle. Si tratta solo del primo passo per l’ok definitivo: il provvedimento deve ora passare infatti all’esame del Senato. E intanto dall’istituzione che rappresenta le province a livello nazionale, l’Upi, arriva un netto no al decreto, per bocca del suo presidente Antonio Saitta «è un provvedimento pieno di incongruenze con norme che getteranno nel caos il Paese». IL PROVVEDIMENTO - Le nuove norme prevedono la trasformazione dei consigli provinciali in assemblee dei sindaci, che lavoreranno a titolo gratuito; l’istituzione di 9 città metropolitane; la disciplina della fusione dei comuni. Nell’intento del disegno di legge Delrio, che dovrà essere ora discussa dal Senato, le province comprenderanno aree più vaste di quelle attuali e i loro rappresentanti saranno designati non più dai cittadini, ma dagli amministratori locali, che sceglieranno tra i sindaci dei comuni del territorio. Rispetto a oggi, non bisognerà pagare gli stipendi a presidenti, consiglieri e assessori. La struttura portante della Repubblica delle autonomie dovrebbe avere il suo perno su due soli livelli territoriali di rappresentanza politica: i comuni e le regioni. LE POLEMICHE - Si tratta di una normativa sgradita a Fi, M5s, Lega Nord che la ritengono farraginosa e inutile. E infatti nel pomeriggio si è scatenata una bagarre in Aula, quando Renato Brunetta ha chiesto che si riunisse la conferenza dei capigruppo alle 18 in punto, come da convocazione ufficiale. Naturalmente questo avrebbe comportato la sospensione della seduta e il probabile rinvio dell’esame della legge. Di fronte alla «resistenza» del presidente di turno Simone Baldelli (Fi), che ha fatto proseguire il confronto, berlusconiani, pentastellati e Carroccio hanno abbandonato l’assemblea, sospesa poi su richiesta di Sel. Tensione e battibecchi hanno scaldato gli animi, fino a quanto il capogruppo di Fi non ha attaccato Laura Boldrini per non aver rispettato l’ora di convocazione della capigruppo. AD OLTRANZA - Successivamente la conferenza si è riunita, decidendo una prosecuzione ad oltranza in seduta notturna fino all’approvazione della legge. Che si tratti di una disciplina complessa e controversa è evidente a tutti, ma in particolare a Antonio Saitta presidente dell’Unione delle Province Italiane che ha polemizzato contro la decisione, presa con la legge di stabilità, di cancellare le prossime elezioni del 2014 per le 52 province in scadenza e le 20 commissariate: «Presenteremo ricorso alla magistratura contro questa norma che lede un diritto inalienabile dei cittadini». Di tenore opposto la posizione del Movimento 5 Stelle: «Un altro dei disegni di legge truffa scritto dal Pd che finge di abolire le provincie - sottolinea su Facebook la deputata Giulia Grillo - e di fatto cambia solo il nome se possibile peggiorando il groviglio amministrativo contabile e di responsabilità gestionale che già con le province era a livelli di allerta». articoli della Costituzione Art. 114 [20] La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Art. 117 [23] La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Art. 119 [...] I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato [...] Art. 133 Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito di una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione.