Paolo Mereghetti, Corriere della Sera 21/12/2013, 21 dicembre 2013
Fino a ieri Pieraccioni sembrava destinato per sempre al ruolo dell’ingenuo innamorato della bellona di turno (che prima guarda dall’altra parte poi finalmente asseconda), Brizzi cercava di scavare — con più cinismo dei colleghi — tra i vizi dell’italiano medio, volta a volta fedifrago, aspirante erotomane o schiavo dell’altro sesso
Fino a ieri Pieraccioni sembrava destinato per sempre al ruolo dell’ingenuo innamorato della bellona di turno (che prima guarda dall’altra parte poi finalmente asseconda), Brizzi cercava di scavare — con più cinismo dei colleghi — tra i vizi dell’italiano medio, volta a volta fedifrago, aspirante erotomane o schiavo dell’altro sesso. E l’accoppiata Parenti-De Laurentiis non smetteva di giocare con il più becero — pardon! popolare — immaginario nazionale, fatto di amanti, vacanze invernali e product placement. E invece sarà stata l’ombra lunga di Zalone (il cui successo annunciato può aver «condizionato» chi pensava di uscire dopo di lui) o saranno stati i Miserere intonati l’anno scorso di fronte alle prime crepe nel rapporto tra cinepanettoni e pubblico (dato da tutti per morto e sepolto), fatto sta che i film italiani destinati a spartirsi gli incassi di Natale quest’anno hanno cercato di percorrere strade nuove (il che non vuol dire — diciamolo subito a scanso di equivoci — per forza migliori). E così Un fantastico via vai ci mostra un Pieraccioni «maturo» e «paterno», scacciato ingiustamente da casa per colpa di un collega sciupafemmine (mentre lui è tutto lavoro e famiglia: come fa a non capirlo la moglie?), finito a fare da tutor a un quartetto di universitari con problemi esistenzial-familiari. Per far ridere ricorre ai volti di sempre (Ceccherini investigatore privato creativo, Panariello industriale razzista e becero) ma ritaglia per sé il ruolo dell’adulto senza grilli per la testa che regala un po’ di buon senso a tutti. Indovina chi viene a Natale? di Fausto Brizzi gioca addirittura la carta della commozione politically correct per un Raoul Bova senza braccia che la Capotondi presenta come uomo della vita ai genitori Abatantuono-Finocchiaro (Angela), riuniti per le feste con gli altri membri della famiglia (Gerini-Bisio e Buccirosso-Porcaro) nella casa della nonna Isa Barzizza. Ad aumentare il livello di sdolcinature non mancano i cori natalizi, il presepe vivente e una riconciliazione finale di tutti con tutti. De Laurentiis, invece, deve affrontare la convivenza tra la scuderia uscente (Christian De Sica, a scadenza contratto, e Neri Parenti) e quella entrante (Lillo e Greg, Paolo e Luca e l’outsider Mandelli). E lo risolve nel modo più semplice possibile: Colpi di fortuna è composto da tre episodi senza nessun nesso tra loro, incentrati sui più elementari e meccanici degli equivoci: due amici — uno timidissimo l’altro intraprendente — innamorati della stessa donna; l’industriale ultra superstizioso che deve lavorare con un menagramo; il generoso che cerca di aiutare chi non capisce i suoi sforzi. Il problema è che queste «novità» (che nel caso di Colpi di fortuna sarebbe meglio chiamare «povertà») non sono mai supportate da un adeguato lavoro di sceneggiatura e di invenzioni. Preoccupati forse di evitare la ricorrente accusa di volgarità e beceraggine, i tre (pseudo)cinepanettoni 2013 non fanno ascoltare parolacce ma finiscono per sorprendere per la loro pochezza. Pieraccioni tiene a freno persino le intemperanze di quella linguaccia di Ceccherini ma lo spettatore impiega due minuti per capire che tutto si risolverà nel migliore dei modi: il razzista si ravvede, la famiglia riaccoglie l’esule e la ragazza-madre trova chi la sposa. Brizzi (che comunque riesce a strappare un paio di sorrisi in più) sembra un piazzista che mostra il campionario: il suo film non ha praticamente un’idea originale, ogni gag è scopiazzata a destra o a manca da Vieni avanti cretino a Hollywood Party fino a Un pesce di nome Wanda , per non parlare di Abatantuono che rifà Giginho do Brasil. E Colpi di fulmine sembra preoccupato di mettere bene in vista tutti gli sponsor (giocatori del Napoli compresi. Immagino a costo zero) più che offrire ai suoi interpreti una mezza idea da sfruttare. E quando alla fine dell’ultimo episodio Lillo corona il suo «sogno» ballando con una rediviva Carrà, ti viene il dubbio di essere finito tra i tagli di qualche preistorico «Fantastico». Per non parlare del «vizio» collettivo di scambiare il lieto fine con il buonismo più scontato e banale dove ogni possibile elemento di disturbo o di tensione svanisce come neve al sole e tutti si stampano in faccia il più prevedibile (e beota) dei sorrisi appacificanti. Manca solo il «miracolo» capace di far ricrescere le braccia a Bova… Torna cinepanettone, tutto ti è perdonato!