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 2013  dicembre 20 Venerdì calendario

Se si prova a smontare il complesso meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie, frutto dell’accordo raggiunto nella notte di giovedì dall’Ecofin, appare subito evidente che l’ingranaggio fondamentale è lo stesso utilizzato per Cipro

Se si prova a smontare il complesso meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie, frutto dell’accordo raggiunto nella notte di giovedì dall’Ecofin, appare subito evidente che l’ingranaggio fondamentale è lo stesso utilizzato per Cipro. L’intesa sancisce il definitivo tramonto della formula di bail out attraverso cui, in passato, erano gli Stati, e quindi i contribuenti, a essere chiamati in causa in caso di salvataggio. Sotto un certo punto di vista, il nuovo paradigma impedisce il ripetersi di quell’effetto di trasmissione in base al quale le crisi bancarie finivano per alimentare quella del debito sovrano, proprio a causa del salvagente pubblico. Col risultato di ridurre il valore dei titoli di Stato e, dunque, di indebolire ulteriormente la struttura patrimoniale delle banche. Insomma, una spirale perversa che ora si spezza col secondo tassello dell’unione bancaria. Il primo riguarda la supervisione unica affidata alla Bce, che dal prossimo primo gennaio avrà il compito di vigilare su 130 banche europee sistemiche (15 le italiane). Due, tuttavia, i problemi legati all’intesa. Il primo è di tipo comunicazionale: nella scorsa primavera, con Nicosia esperimento del primo bail in, scattò la corsa a smentire l’ipotesi di un’estensione del modello cipriota all’intera eurozona. In prima fila, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfang Schaeuble, ma anche l’allora ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, e il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. A distanza di pochi mesi, quell’impianto è stato ora adottato, senza alcuna modifica, dall’Ecofin. Il secondo problema riguarda chi dovrà pagare. I primi saranno gli azionisti, poi i detentori di debito junior (strumenti ibridi) e quindi i possessori di obbligazioni senior. Lo scalino più in basso è occupato dai conti sopra i 100mila euro, considerati non più un deposito, ma un vero e proprio prestito. Se è vero che i piccoli correntisti continuano a essere salvaguardati, è altrettanto vero che su un conto possono transitare i risparmi di una vita (magari in attesa di una migliore allocazione), o la liquidità di un’impresa. Difficile, peraltro, sperare nell’efficacia del fondo unico di risoluzione, provvisto di una dote di appena 55 miliardi. E solo a regime, cioè fra 10-15 anni. Essendo finanziato da prelievi sulle banche, i costi dell’operazione potrebbero ricadere sulla clientela. La parte più ambigua dell’intesa riguarda poi i possibili interventi-ponte in attesa che il fondo sia «riempito». Gli Stati, infatti, sono divisi se far scendere in campo il fondo salva-Stati Esm, o se i Paesi dovranno vedersela da soli. Non pochi, dunque, gli aspetti di criticità. Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, ha già preannunciato ieri che la discussione a Bruxelles «sarà durissima», dal momento che il meccanismo di risoluzione ha bisogno di «una autorità unica e di un fondo unico» e dovrebbe poter «utilizzare l’Esm più di quanto indicato nell’Ecofin».