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 2013  dicembre 20 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - PUTIN LIBERA KHODORKOVSKY


REPUBBLICA.IT
MOSCA - Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato il decreto che concede la grazia a Mikhail Khodorkovsky. L’ex oligarca è già uscito dal carcere verso le 12.20 locali, le 9.20 in Italia. Era detenuto nella colonia penale in Carelia (regione settentrionale al confine con la Finlandia, dove Khodorkovsky è stato trasferito dopo un lungo periodo in Siberia). Khodorkovsky è già giunto a Berlino, dove la madre è ricoverata.

AL suo arrivo, Khodorkovsy ha reso le sue prime dichiarazioni pubbliche ringraziando l’ex ministro tedesco degli esteri, Genscher, per il suo "coinvolgimento personale" negli sforzi per ottenere la sua scarcerazione e si è detto "felice che la sua richiesta di perdono fosse stata accettata". Khodorkovsky ha anche precisato che non è mai stata sollevata la questione della sua colpa, un punto che lo aveva trattenuto per anni dal chiedere la grazia proprio per continuare a proclamare la propria innocenza. L’ex oligarca, che ha un visto di soggiorno in Germania per un anno, ha detto di non vedere l’ora di rivedere i genitori, la moglie (la seconda) e i figli. I tre più piccoli, avuti dalla seconda moglie, vivono nella regione di Mosca e non è ancora chiaro al momento dove avverrà il loro incontro. Il primo figlio di Khodorkovsky, Pavel, vive invece a New York con la famiglia ed è stato il più attivo nel condurre la campagna per la liberazione del padre.

L’ex oligarca Mikhail ha deciso di "arrendersi" e fare richiesta di clemenza al presidente russo, dopo recenti pressioni degli agenti dei servizi di sicurezza, secondo la ricostruzione del quotidiano russo Kommersant. Gli 007, scrive il giornale, gli hanno riferito del peggioramento delle condizioni di salute della madre, Marina, malata di cancro e della possibile apertura del "terzo caso Yukos", l’ennesimo procedimento penale nei suoi confronti, che avrebbe ulteriormente prolungato la sua detenzione e di cui nelle ultime settimane si è occupata la stampa russa.

LE IMMAGINI DELL’ARRIVO A BERLINO

L’incontro si è svolto senza avvocati e avrebbe convinto Khodorkovsky a "cedere" e rivolgere una supplica, dopo 10 anni di detenzione, al suo acerrimo nemico, quel capo del Cremlino che lo volle in galera. In prigione dal 2003, dopo essere stato condannato in due differenti processi per frode, riciclaggio e furto di petrolio, l’ex magnate della compagnia petrolifera Yukos si è sempre dichiarato innocente e aveva sempre rifiutato di chiedere la grazia.

Doveva tornare in libertà il prossimo agosto, pochi mesi dopo il suo ex socio in affari, Platon Lebedev, che ha condiviso con lui i lunghi anni di carcere. Kommersant ha fatto notare, inoltre, che la richiesta di grazia comporta da parte del detenuto il riconoscimento automatico della legittimità di tutte le iniziative giudiziarie condotte nei suoi confronti.

L’ex magnate del petrolio, cinquantenne, è entrato in carcere con una fortuna stimata all’epoca da Forbes a oltre 15 miliardi di dollari. Quell’impero che era la Yukos, costruito senza troppi scrupoli negli anni delle liberalizzazioni selvagge post-sovietiche, è stato poi smantellato a colpi di aste giudiziarie, ufficialmente per ripagare il fisco russo.

Ora Khodorkovsky non è un uomo povero, ma certo non è più il capofila dei ricchi di tutta la Russia. In questi anni dietro le sbarre ha continuato ad opporsi al Cremlino, però ha anche ammesso gli eccessi del periodo in cui era sulla cresta dell’onda come top manager, compreso un breve passaggio al governo.

Per lui oggi una veterana dei diritti umani come Liudmila Alekseeva, capo del Gruppo Helsinki di Mosca, prevede un futuro da leader spirituale, sull’esempio di Gandhi o Mandela. Difficile pensare che gli sarà dato spazio in questo senso e comunque l’ex oligarca ripete da tempo che non si occuperà di politica. Dopo un decennio in prigione, senza mai piegarsi alla ricerca di una via d’uscita extra-giudiziaria, ha firmato una richiesta di perdono, in teoria riconoscendo le sue colpe.

CORRIERE,IT

RUSSIA
Putin firma la grazia per Khodorkovskij
L’ex oligarca è atterrato a Berlino
«La questione dell’ammissione di colpevolezza non è stata affrontata»

Vladimir Putin
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Hans-Dietrich Genscher del partito Free Democratic Party accoglie Mikhail Khodorkovskij all’aeroporto di Berlino (Reuters)Hans-Dietrich Genscher del partito Free Democratic Party accoglie Mikhail Khodorkovskij all’aeroporto di Berlino (Reuters)

Il presidente russo Vladimir Putin ha concesso la grazia a Mikhail Khodorkovskij. L’ex oligarca è già uscito dal carcere verso le 12.20 locali, le 9.20 in Italia, secondo l’agenzia Interfax. Anche l’avvocato dell’ex magnate del petrolio russo ha confermato l’uscita dalla prigione dalla colonia penale in Carelia (regione settentrionale al confine con la Finlandia, dove Khodorkovskij è stato trasferito dopo un lungo periodo in Siberia). Khodorkovskij risulta al momento atterrato in Germania.

«HO CHIESTO GRAZIA, NON AMMISSIONE COLPEVOLEZZA» - «La questione dell’ammissione di colpevolezza non è stata affrontata». E la richiesta di grazia «non è stata una ammissione di colpevolezza»: lo assicura Mikhail Khodorkovskij nella prima dichiarazione da uomo libero pubblicata poco dopo il suo arrivo allo Schonefeld di Berlino, dove è stato accolto dall’ex ministro degli Esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher e dal consulente politico tedesco Alexander Rahr, che avrebbe svolto un ruolo importante nella vicenda della scarcerazione del fondatore della Yukos. Khodorkovskij ha spiegato di «aver chiesto perdono al presidente della Russia lo scorso 12 novembre a causa della mia situazione familiare» e di «essere felice che la sua decisione sia stata positiva». Khodorkovskij ringrazia la famiglia, «tutti coloro che hanno seguito il caso della Yukos e tutti coloro che sono stati condannati ingiustamente e continuano a essere perseguiti». «Penso costantemente a coloro che continuano a rimanere detenuti» ha sottolineato l’ex oligarca uscito dalla colonia penale numero 7 di Segezha in Carelia. Un ringraziamento speciale è per Hans-Dietrich Genscher «per la sua partecipazione personale» al mio destino. «Come prima cosa ripagherò il mio debito ai miei genitori, a mia moglie e ai miei figli che non vedo l’ora di incontrare» conclude Khodorkovskij.

MERKEL: «BENE LIBERAZIONE» - Il governo tedesco ha salutato oggi la scarcerazione dell’ex oligarca russo Mikhail Khodorkovskij. «Il cancelliere tedesco Angela Merkel saluta l’uscita dal carcere di Mikhail Khodorkovskij», si legge in un comunicato del portavoce del governo di Berlino, che ricorda come la Merkel abbia «interceduto varie volte negli ultimi anni davanti al presidente russo per la liberazione di Khodorkovskij». Dopo l’uscita dalla colonia penale in Carelia dove era detenuto, l’ex oligarca è subito salito su un aereo diretto a Berlino, in un volo coordinato dall’ambasciata tedesca a Mosca e le autorità di Berlino. Il comunicato ufficiale riconosce in particolare «gli sforzi dell’ex ministro degli Esteri Hans Dietrich Genscher, che si è occupato del caso.

PEZZI DI STAMATTINA SUL CORRIERE
MOSCA — La concessione della grazia a Mikhail Khodorkovskij, l’imprenditore nemico di Vladimir Putin in carcere da dieci anni, ha colto di sorpresa anche i suoi avvocati. Nessuno sapeva nulla della richiesta indirizzata al Cremlino: «C’è una lettera con la sua firma», ha precisato il portavoce del presidente. E di fronte alla domanda dell’ex patron della compagnia petrolifera Yukos ed ex uomo più ricco della Russia, Putin ha deciso di usare lo speciale potere che la Costituzione gli riconosce. «La grazia sarà ufficializzata nei prossimi giorni», ha detto ieri ai giornalisti riuniti per la conferenza stampa annuale.
In vista delle Olimpiadi di Sochi previste a febbraio che già saranno evitate da diversi leader mondiali (incluso, pare, Barack Obama), Putin ha voluto togliere più argomenti possibili ai suoi critici internazionali. Così verrà liberato Khodorkovskij, che probabilmente passerà il Capodanno in famiglia, e verranno amnistiate le due Pussy Riot ancora in carcere. Stessa cosa per i militanti di Greenpeace arrestati nell’Artico e per quattro degli accusati per le proteste di piazza del 2012. Insomma un Putin particolarmente clemente che vorrebbe far dimenticare le critiche sul mancato rispetto dei diritti umani da parte della Russia.
La Yukos ormai non esiste più, dopo che il governo l’ha fatta a pezzi e l’ha ceduta a varie società tutte statali (soprattutto la potente Rosneft). Khodorkovskij, che in passato non aveva mai accettato di presentare una domanda perché si dichiarava innocente, continuerà comunque ad avere sulla testa la spada di Damocle di un possibile nuovo processo per antiche questioni legate al modo in cui nei selvaggi anni Novanta si impadronì della società. E non si tratta di uno scherzo, come tre anni fa ricordò lo stesso Putin. L’eventuale accusa sarebbe di omicidio, visto che il capo della sicurezza della Yukos ha già confessato di aver ammazzato un nemico di Khodorkovskij ed è stato condannato. L’ipotesi è che agisse per conto del suo capo.
Si ripete un po’ la situazione del Duemila, quando agli oligarchi fu offerto un patto dal neoeletto Putin: conservare gli asset acquisiti in maniera assai disinvolta, ma non occuparsi più di politica. Il capo della Yukos, invece, continuò a finanziare partiti di opposizione e a far circolare voci su una sua possibile discesa in campo. Così venne arrestato, accusato, sbattuto in carcere, processato e condannato due volte. Oggi la sua richiesta di grazia, che gli avvocati devono ancora confermare, potrebbe essere la base di un nuovo patto. Il tycoon torna libero ma non darà più fastidio al Cremlino. Altrimenti dai cassetti verranno tirati fuori i documenti che lo faranno finire di nuovo dietro le sbarre. E questa volta per sempre.
Di fronte alla stampa, Putin ha anche difeso l’accordo raggiunto con l’Ucraina, dicendo che i Paesi «fratelli» vanno aiutati. Probabilmente non si è reso conto di aver fatto ricorso a una terminologia che in passato era associata ai duri interventi dell’Urss nella sua zona di influenza. Infine ha negato che la Russia abbia già installato i missili nell’enclave di Kaliningrad. «Non abbiamo preso questa decisione, per ora». Poi ha invitato l’Occidente a stare tranquillo: «Si calmino!».
Fabrizio Dragosei

PAOLO VALENTINO

Forse la chiave di tutto è in un filmato, ora introvabile ma ben conosciuto negli ambienti politici e affaristici di Mosca. Siamo all’alba del nuovo secolo, l’inizio del potere di Vladimir Putin. Il nuovo Zar incontra al Cremlino gli oligarchi, i nuovi boiardi che lo hanno scelto per sostituire Boris Eltsin e che si illudono di poterlo condizionare come hanno fatto con Corvo Bianco. Ci sono tutti i «robber baron», i baroni ladroni che si sono letteralmente messi in tasca l’Unione Sovietica a prezzi stracciati o per arbitraria concessione del principe: Gusinskij, Berezovsky, Potanin. E c’è soprattutto Mikhail Khodorkovskij, il più brillante, il più sicuro di sé, il più articolato del gruppo. È lui che parla guardando dritto in faccia il neopresidente. Si lamenta della corruzione dilagante nel pubblico impiego, che diventa un freno all’imprenditoria. Il video mostra un Vladimir Putin visibilmente irritato, ma non intimorito, che sibila una risposta: «Non cominciamo a parlare di come voi avete fatto i soldi».
Tutto comincia in quell’increspatura, che poco a poco diventerà aperta sfida. Da un lato, il più ambizioso e determinato dei nuovi tycoon, convinto che dopo l’era dell’accumulazione fraudolenta si debba aprire la strada a un capitalismo legittimo, fatto di regole, trasparenza, apertura ai capitali esteri. Dall’altro Vladimir Vladimirovich, forgiatosi nel ferro del Kgb, per nulla disposto a condividere il potere, tantomeno a farsi dettare la linea da quei Paperoni a sbafo, che nell’impennata di Khodorkovskij vede il tradimento dello scambio scellerato, inaugurato da Eltsin e da lui considerato dogma: voi vi arricchite, ma state lontani dalla politica.
Sappiamo come andò la storia: Khodorkovskij che non arretra; Khodorkovskij che sceglie di rimanere in Russia, mentre gli oligarchi caduti in disgrazia, da Berezovsky a Gusinskij, fuggono ignominiosamente insieme ai loro denari verso porti sicuri; Khodorkosvskij che alza il tiro: si propone come primo ministro, ha a libro paga molti deputati della Duma, viaggia spesso in America, dove si sussurra che potrebbe aprire la sua Yukos anche a capitali americani. Fino al sospetto più forte: Khodorkovskij che vuole creare un partito e sfidare Putin alle elezioni presidenziali, chiaramente sottovalutandone la capacità di reazione e l’istinto di sopravvivenza.
Nell’ottobre del 2003 scatta la trappola del Cremlino: arrestato per evasione fiscale, frode e malversazione. Lo spogliano di tutto. La Yukos, gigante petrolifero mondiale viene incamerata dallo Stato. E secondo fonti dell’intelligence tedesca, è in quell’operazione che anche Vladimir Putin si mette in proprio. Ci vogliono più di dieci anni, perché non la giustizia, ma il capriccio dello Zar gli faccia intravedere la fine del tunnel.
Ma due lustri in una galera russa, che avrebbero spezzato chiunque, per Mikhail Khodorkovskij si fanno catarsi. Non cede, non crolla, non dà di matto, con atteggiamento quasi zen; diventa prigioniero di coscienza, vittima eccellente di un sistema autoritario e repressivo; finanzia l’opposizione, tutta, anche quella comunista; scrive appelli ispirati e dotti articoli sui diritti umani. In una parola, acquista «moral stand», statura morale.
Almeno in Occidente. La lunga memoria russa è un’altra cosa. Memore di quegli anni Novanta in cui la demokratia era stata ribattezzata dermokratia, la merdocrazia, il popolo russo non ama gli oligarchi. E Mikhail Khodorkovskij oligarca lo è stato all’ennesima potenza. Chi lo ricorda nel Far West post-sovietico, racconta di una personalità aggressiva e senza scrupoli: il giovane fondatore di Menatep, una delle prime banche private dell’era post-sovietica, non aveva problemi a minacciare ogni potenziale nuovo concorrente, specie se si trattava di banche occidentali.
E poi ci sono i sospetti mai confermati. Perfino a Putin una volta scappò di dire che Khodorkovskij aveva «sangue sulle sue mani». Ma Putin nella fattispecie non è uomo d’onore. Di certo c’è solo che il capo dei bodyguard di Khodorkovskij, Alexeij Pichugin è in carcere, condannato per aver organizzato nel 1998 l’omicidio di Vladimir Petukhov, sindaco di Nefteygansk, Siberia occidentale, allora nel cuore dei campi di petrolio della Yukos. Pichugin, che si è sempre dichiarato innocente, avrebbe sulla coscienza anche l’omicidio di una coppia di imprenditori e due attentati falliti a un ex rivale in affari della Yukos. Sapeva qualcosa il grande capo?
Ed è questa, l’etichetta dell’oligarca, una delle ragioni per cui ci sentiamo di dire che difficilmente, una volta liberato, Mikhail Khodorkovskij entrerà direttamente in politica. Forte dell’immensa ingiustizia subita, sarà persona pubblica, sosterrà le opposizioni, darà interviste e consigli, ma non si candiderà. Rimarrà in Russia, ecco l’altra certezza. Non fuggì quando sapeva che il mondo stava per crollargli addosso. Non andrà via adesso, che Putin in apparenza sembra non temerlo più. E la sua presenza ricorderà allo Zar di qualcuno che lui non è riuscito a sconfiggere.
Paolo Valentino


DARIO FERTILIO
C’è grazia e grazia, come ben sanno i condannati a morte (o a lunghe pene detentive) miracolati all’ultimo istante. Grazia per motivi politici, diplomatici, propagandistici, militari, qualche volta imperscrutabili. Grazia che deve sempre arrivare, dal punto di vista dell’interessato, improvvisa e insperata, in modo da suscitare una sua commossa riconoscenza. E non sarà un caso se l’evento si collega, nell’immaginazione collettiva, quasi sempre alle dimensioni sconfinate della Russia e all’astratta distanza del suo zar di turno.
Grazia al limite del sadismo, fu quella elargita il 19 dicembre 1849 allo scrittore Fëdor Dostoevskij, sul patibolo. Arrestato qualche mese prima per aver partecipato a una società segreta e imprigionato nella fortezza di Pietro e Paolo, già erano scattati gli otturatori dei fucili del plotone d’esecuzione quando venne comunicata la decisione dello zar Nicola I di commutare la condanna nei lavori forzati a tempo indeterminato. Forse lo zar non avrebbe immaginato che il suo calcolato ritardo avrebbe segnato la storia della letteratura: Dostoevskij collegherà in seguito le sue crisi di epilessia a quei momenti strazianti, descritti come «interminabili, tali da poter trasformare ogni minuto in un secolo intero».
Decisamente più politica, in gran parte dettata dalle pressioni della nascente opinione pubblica internazionale, la grazia concessa dal nuovo zar Alessandro III alla Guelfmann, una giovane donna incinta, condannata per aver partecipato al regicidio. In quella occasione, e poi l’anno successivo in occasione del «processo dei Venti» che si erano schierati con il movimento «Volontà del popolo», si levò la voce di una celebrità letteraria francese: Victor Hugo tanto fece, anche in collaborazione con Kropotkin, da indurre lo zar sia pure controvoglia a risparmiare a quasi tutti la forca.
Grazia diplomatica, degna di una spy story internazionale, quella che vide protagonisti nel dicembre del 1976 due prigionieri politici celebri, avversari dei rispettivi regimi: il liberale russo Vladimir Bukovskij, già internato in ospedali psichiatrici sovietici, e il cileno Luis Corvalán, capo comunista finito sulla lista nera di Pinochet. Lo scambio avvenne a Zurigo, senza spiegazioni per gli interessati, che poi raccontarono d’essere arrivati sul posto portati a braccia e con le manette ai polsi. Zar moderni, insomma, si dimostrarono Leonid Breznev e Pinochet in quella circostanza; il primo perfettamente in linea con la tradizione autocratica del Cremlino.
Ma tutto cambia, e dieci anni più tardi è già tempo di grazia propagandistica: quella concessa dal nuovo zar Gorbaciov ad Andrej Sakharov. Il fisico, premio Nobel per la pace nel ‘75, era stato confinato dal 1980, dopo la sua protesta per l’invasione dell’Afghanistan, nella città di Niznij Novgorod. Una mossa che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto mostrare al mondo il volto umano di zar Gorbaciov: invece fu il prologo al crollo del sistema. E forse, su questo, anche lo zar Putin dovrebbe meditare.

Dario Fertilio