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 2013  dicembre 20 Venerdì calendario

LA BCE È RIUSCITA SOLO A LIMITARE I DANNI


All’inizio della settimana decisiva per l’unione bancaria, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, in un’audizione al Parlamento europeo, aveva espresso due preoccupazioni: che le procedure decisionali nelmeccanismo di risoluzione delle crisi bancarie risultassero eccessivamente complesse e che le risorse finanziarie non fossero adeguate. Il suo vice, Vitor Constancio, aveva rincarato la dose mercoledì, sollevando serie perplessità su alcune delle soluzioni che stavano emergendo dalle riunioni di Bruxelles.
Alla luce delle conclusioni dell’Ecofin, la Bce può dire di essere quanto meno riuscita a limitare i danni su entrambi i fronti. Draghi aveva sempre parlato di un meccanismo unicodi risoluzione «forte e credibile» come complemento alla vigilanza unica affidata alla Bce. «Non dobbiamo creare un meccanismo unico di risoluzione che sia unico soltanto di nome», aveva sottolineato lunedì. La complessità del processo è in parte risolta dall’impegno ad arrivare a una decisione nel giro di ventiquattr’ore. Tipicamente, quando si tratta della chiusura o del salvataggio di una banca, il tempo a disposizione non supera la durata della chiusura degli sportelli nel fine settimana. A fronte di quest’impegno, tuttavia,resta una prodcedura formale che può essere semplificata al massimo, in assenza di obiezioni, con il passaggio dal consiglio di supervisione e dal consiglio dei governatori della Bce al consiglio esecutivo dell’organo di risoluzione. Ma che può anche essere costretta attraverso numerosi altri passaggi in caso di obiezione della Commissione europea o in presenza di elementi di complessità. E comunque è sempre sottoposta al giudizio finale dei Governi. Un elemento che non sembra rispondere al requisito di portare la decisione ultima «a livello europeo», come ha sempre insistito il presidente della Bce.
Quanto al fondo di risoluzione, è una prospettiva lontanissima (il 2026), per cui la valutazione deve basarsi su quello che avverrà nella lunga fase di transizione. C’è un vero backstop, una rete di sicurezza, come ha sempre chiesto Draghi, o si ricade solo sul coinvolgimento dei privati e, in seconda battuta, su risorse che ancora per più di un decennio saranno nazionali e non europee? Come si spezza in questo modo il circolo vizioso fra debito sovrano dei Paesi dell’Eurozona in difficoltà e lo stato di salute delle banche, vero nodo gordiano della crisi europea? A questo si era impegnato il vertice europeo del giugno 2012, in una fase più acuta della crisi, ed è tutto da dimostrare che la decisione di Bruxelles lo risolva.
La lettura dell’accordo da parte del ministro del Tesoro, Fabrizio Saccomanni, che nella trattativa è stato il più efficace alleato di Draghi, è positiva. Altri osservatori sono molto meno ottimisti.
La prossima carta in mano a Draghi e a chi condivide la sua visione dell’unione bancaria è il passaggio dal negoziato con il Parlamento europeo, che dovrà approvare le nuove regole prima di sciogliersi nella primavera prossima per le elezioni. E al Parlamento le posizioni sono più vicine a quelle della Bce che a quelle di alcuni Governi, Germania in testa. Certo, non è incoraggiante che, al termine dell’Ecofin, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, abbia detto che l’accordo è il punto finale della discussione sull’unione bancaria.