M. G., Libero 20/12/2013, 20 dicembre 2013
LA MADIA «ESPERTA» DI LAVORO NON SA CHI È IL MINISTRO DEL LAVORO
«Metterò la mia meravigliosa inesperienza al servizio del Paese», aveva detto presentandosi agli italiani nel 2008, quando era stata appena eletta deputata nel Pd di Walter Veltroni. E c’è da dire che Marianna Madia - giovane parlamentare del Partito democratico già veltroniana, dalemiana, lettiana ed ora passata con Matteo Renzi che la ha ricambiata piazzandola in Segreteria - ha mantenuto la coerenza: cinque anni e rotti dopo, è ancora lì a mettere a servizio del Paese la sua meravigliosa inesperienza. Con esiti esilaranti.
Antefatto: da qualche giorno, come accennato, la Madia è entrata a far parte della squadra del segretario rottamatore, che le ha affidato la delicata e cruciale delega del Lavoro. E siccome nel Pd renziano dei giovani e del rinnovamento non si batte la fiacca, Marianna è partita in quarta, mettendo subito la testa sui dossier più urgenti per poi andarli a discutere con il ministro del Lavoro in persona.
Fine dell’antefatto. La scena che segue l’ha raccontata Il Tempo, ed è deliziosa. La Madia arriva a via Veneto, varca il portone del ministero, declina le generalità e - pur senza appuntamento, ma cosa si vorrà che sia - si fa accompagnare nella stanza del ministro. Il quale la riceve, la ascolta pazientemente disquisire di disoccupazione giovanile, precariato e politiche europee. Fino al punto in cui, con una punta di imbarazzo, si vede costretto ad interromperla: «Cara Marianna, sono contento del vigore e dell’entusiasmo con cui mi chiedi supporto. Ma di questo avresti dovuto parlare col collega ministro del Lavoro, Enrico Giovannini ».
È solo in quel momento che la Madia capisce di avere sbagliato ministro. Davanti a lei c’è Flavio Zanonato, ministro dello Sviluppo economico. Che con le politiche del lavoro c’entra fino ad un certo punto e che, soprattutto, non è Enrico Giovannini. «Ma scusa», fa lei con un filo di voce, «non sei tu che ti occupi di lavoro?». Ebbene no. L’ex sindaco di Padova (col quale tocca complimentarsi vivamente, ché non scoppiare a ridere in situazioni come questa è impresa titanica) prende dunque sottobraccio la giovane ed imbarazzata collega, la porta vicino alla finestra dello studio e le indica un palazzo dall’al - tra parte della strada: «Vedi, il ministero del Lavoro è in quel palazzo lì. Hai sbagliato indirizzo». La affranta Marianna, a quel punto, può solo salutare e togliere il disturbo. Se, una volta uscita dal ministero di Zanonato, abbia attraversato via Veneto per andare ad esporre anche al ministro giusto le proprie ponderate riflessioni sul mondo del lavoro o se abbia preferito tornare in ufficio a ripassarsi la lista dei ministri sul sito del governo non è dato sapere.
Quel che è certo è che la missione di Renzi sul lavoro parte sotto i peggiori auspici. Delegati dal rottamatore a mettere a punto il famoso Job Act (che ancora non si è visto e che già sta facendo perdere il sonno a una Cgil mai a memoria d’uomo così maldisposta nei confronti di un segretario del Pd) sono infatti la Madia stessa e la testa d’uovo della mozione Civati, Filippo Taddei. Cioè una che è talmente addentro alle politiche del lavoro da non sapere chi è il ministro competente in carica e uno che è talmente un pozzo di scienza da essere stato recentemente bocciato al concorso di abilitazione scientifica per diventare professore associato di Politica economica. Se per giocarsi la partita della vita con la Camusso sull’articolo 18 Renzi ha davvero intenzione di mettersi in mano a sherpa di tanto spessore, a corso Italia possono stare tranquilli.
M. G.