Ugo Bertone, Libero 20/12/2013, 20 dicembre 2013
SULLE BANCHE LA MERKEL CI BATTE 2 A 0
«Un risultato storico, paragonabile alla nascita dell’Unione monetaria». Così Fabrizio Saccomanni, al termine della maratona notturna che ha sancito l’accordo sull’Unione Bancaria. A giudicare dai problemi e dalle crisi che hanno accompagnato la vicenda dell’euro, c’è da fare gli scongiuri. Di qui alla primavera, comunque, l’intesa ieri al vaglio dei premier della Ue dovrà essere precisata nei suoi contorni. Ma, nel frattempo, Berlino ha centrato il primo obiettivo.
1) Il numero due della Vigilanza, dietro la presidente franese Danièle Nouy, sarà la tedesca Sabine Lautenschlaeger, “falco” della Bundesbank che ha sostituito in Bce la “colomba”, il bocconiano Jorg Asmussen. La nomina non è ancora avvenuta ma sarà lei, assieme alla collega francese,ad arruolare e a dare le istruzioni agli ispettori che effettueranno i controlli sulle banche “sistemiche”: 800 funzionari (più 200 informatici) in arrivo dalle banche centrali che, di norma, non esamineranno i conti delle banche del Paese d’origine ma solo degli altri. A Banca Monte Paschi, insomma, potrebbero arrivare ispettori tedeschi. Il problema, ovviamente, non è di passaporto. Ma di ben altra sostanza. Frau Sabine, a proposito del rischio titoli di Stato, la pensa come Jens Weidmann: dopo la crisi greca, non è più possibile considerare il debito pubblico in un Paese privo di rischi. E di questo si dovrà tener conto, insiste la Bundesbank, negli stress test. Facile prevedere che di qui alla primavera, quando verranno dettati i principi dei test, ci sarà molto da battagliare.
2) Il valore da attribuire in bilancio a Btp e Bot è infatti uno dei temi “caldi”, forse il più caldo, della partita sulla nuova Vigilanza europea: come valutare nel nuovo assetto, i titoli pubblici posseduti dalle banche italiane e spagnole? Su questo terreno si gioca il futuro delle nostre aziende di credito (e delle Generali, se si pensa al warning di S&P per i titoli in carico alla compagnia). Speriamo che stavolta, a differenza dei negoziati che portarono all’Unione Monetaria, una questione così prosaica non venga oscurata dalla retorica sui principi. Enrico Letta è stato più cauto di Saccomanni: se ci sarà l’accordo, ha ripetuto più volte, i contribuenti non dovranno più intervenire per i salvataggi delle banche, in futuro a carico di un fondo costituito dalle stesse banche. Inoltre, ha aggiunto dovrà passare il principio della mutualità, assegnando a strutture comuni le operazioni di salvataggio. Ma se queste sono le premesse, l’intesa finora concordata non è nemmeno una pallida imitazione.
3) Dopo una dura trattativa, Francia, Italia e la stessa Ue hanno strappato alla Germania l’assenso ad un fondo comune costituito dalle banche. Masolo a partire dal 2026 e dotato di 55 miliardi, una cifra risibili se si pensa che l’aiuto una sola banca cipriota è costata 30 miliardi. Esiste una vaga apertura all’intervento dell’Ems, il fondo europeo di 500 miliardi le cui chiavi sono saldamente in mano tedesca (e che investe, per statuto, solo in titoli a tripla A, ovvero i Bund). Ma prima, nell’ordine, a pagare per il salvataggio saranno: a) azionisti; b) obbligazionisti; c) correntisti (fino a 100 mila euro). Poi toccherà allo Stato coinvolto che, in caso di necessità, potrà bussare alle casse di un altro Stato. Solo alla fine entrerà in azione, dietro condizioni non definite, il fondo Esm.
4) In sintesi, la Germania non si è impegnata a sborsare un solo euro. In passato, quando si trattò di salvare le banche irlandesi, verso cui i colossi tedeschi erano assai esposti, Berlino pose il veto alle richieste di Dublino di far pagare pro quota anche i creditori, in quel caso più che corresponsabili del credito facile. Oggi si cambia. E l’Italia, che in questi anni ha impegnato 50 miliardi circa nei salvataggi delle banche altrui, in caso di crisi del sistema (provocato dall’austerità che ha provocato il boom delle sofferenze), dovrà cavarsela da sola. Ameno fino al 2026.