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 2013  dicembre 20 Venerdì calendario

DAL MOSTRO DEL CIRCEO A CUTOLO TUTTE LE EVASIONI. CON PERMESSO


C’è la storia. Quella di Renato Vallanzasca, Ferdinando Cesarano, Pasquale Scotti, Max Leitner, Graziano Mesina e Michele Profeta. Tutti protagonisti di spettacolari evasioni che hanno fatto ammattire forze dell’ordine e magistratura. E poi c’è la cronaca. Quella dei criminali comuni scappati dai penitenziari, dopo aver beneficiato di generosi permessi premio (proprio come il super-ricercato Bartolomeo Gagliano) che quasi sempre, durante la latitanza, hanno ripreso a delinquere. E qualche volta ad uccidere. Com’è capitato con Angelo Izzo, il mostro del Circeo, che ammazzò Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano il 28 aprile 2005 mentre era in semilibertà. Un provvedimento giudiziario che non doveva essere concesso, come stabilì nel dicembre del 2009 la Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo nella sentenza che condannò l’Italia a risarcire, con 45mila euro a testa, i familiari delle due vittime. Secondo i giudici europei, infatti, le autorità concedendogli la possibilità di lasciare il carcere, non ottemperarono al loro dovere di proteggere la società da un detenuto pericoloso e già condannato per crimini efferati. Inoltre, nel verdetto della Corte, l’Italia avrebbe dovuto indagare più a fondo sulle responsabilità che nella vicenda avevano avuto i giudici di Campobasso, che a suo tempo non comunicarono a quelli di Palermo che nei confronti di Izzo era stata aperta un’indagine per inquietanti episodi di violenza commessi nel carcere molisano.
Sangue innocente macchiò anche l’evasione di Massimiliano Galastro che partecipò a una rapina sfociata nell’omicidio del titolare di un’agenzia di scommesse, a Chiavari. L’uomo si chiamava Aldo Vaccaro. Sequestro di persona, a scopo di rapina, era invece il piano che stava architettando Daniele Celestino Lattanzio, ergastolano con un ricco curriculum di evasioni riuscite e tentate, a cui il 5 giugno 2007 i giudici di Torino concessero la semilibertà a Vicenza. Lattanzio intendeva rapire, con la complicità di tre pregiudicati e di una postina, la direttrice di una piccola agenzia postale dov’erano custodite banconote per 40mila euro. Venne bloccato appena in tempo. Chi, invece, un proposito del genere riuscì a metterlo in pratica fu un detenuto milanese, Paolo Mandolicchio, uscito dal penitenziario di Massa Carrara, dove stava scontando 12 anni per rapina, per appena sei ore di libertà. Mandolicchio sequestrò un assistente sociale, costringendolo ad accompagnarlo in auto a Milano, e qui depredò moglie, figlio e suocera dell’ostaggio. Ancor prima, a Ferrara, nel 2006, nel corso di un cruento conflitto a fuoco, morirono il detenuto Antonio Dorio, in fuga da due settimane, e il vicebrigadiere Cristiano Scantamburlo che aveva cercato di arrestarlo a un posto di blocco. Si scoprì poi che Dorio si era procurato una pistola con matricola abrasa e un’auto rubata grazie ai suoi contatti con la criminalità locale. Erano tutti imprevedibili questi casi? O si poteva scegliere con maggiore cura i destinatari dei provvedimenti di clemenza a tempo determinato? Certo è che, nella casistica delle evasioni-scandalo, oltre a quella di Raffaele Cutolo, boss della Nuova camorra organizzata dal manicomio criminale di Aversa, dove si era fatto trasferire fingendo di essere pazzo, non può non trovare spazio quella di Emanuele Canducci. E questo perché i magistrati del Tribunale di sorveglianza di Padova gli concessero due giorni di libertà nonostante avesse precedenti proprio per un’evasione. Canducci, condannato a 24 anni di galera, una decina di anni prima, nel 1995, non si era ripresentato presso la casa circondariale di Montecarlo, dov’era recluso, e si era allontanato con la cognata. Per ragioni mai chiarite, l’aveva poi aggredita e ne aveva abusato sessualmente, legandola e gettandola infine in un torrente dalle parti di Ravenna. E ancora. Era il settembre 2003 quando Costantino Petragallo fu fermato dalla Polfer alla stazione di Rimini. Un controllo di routine che permise di scoprire che l’uomo avrebbe dovuto trovarsi dietro le sbarre. Era evaso da Volterra dove stava scontando 20 anni per l’uccisione di Bartolomeo Posa, sagrestano della cattedrale di Bari massacrato con un grosso candelabro mentre cercava di sventare un furto sacrilego.
Simone Di Meo