Angelo De Mattia, MilanoFinanza 20/12/2013, 20 dicembre 2013
QUESTO ACCORDO SULL’UNIONE VA BENE MA NON È AFFATTO STORICO
L’avvio del progetto di Unione bancaria sarà regolato da un accordo intergovernativo. È ormai la strada che viene scelta ogni volta in cui i paesi aderenti all’innovazione sono numericamente inferiori ai componenti l’Unione ovvero, come probabilmente accade in questo caso, perché l’iniziativa deroga, anzi contrasta con il Trattato Ue. Siamo, dunque, a un nuovo sbrego rispetto ai Trattati fondativi. L’accettazione dovrebbe, quanto meno, essere data solo in una logica meramente transitoria: diversamente, si alimenta la formazione di un corpus normativo che genera riduzioni di sovranità nazionali con strumenti giuridici impropri e determina confusione di fonti normative. Non sono meri aspetti formali. Ma, certamente, non va eluso il commento sul merito delle decisioni. Innanzitutto, è difficile definire l’accordo che si profila come «storico» - come lo ha qualificato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni - e sostenere che l’Unione bancaria, come esce da questi incontri, ha la medesima portata dell’Unione economica e monetaria. Più realisticamente, i francesi parlano di un «buon accordo». In effetti, si tratta di una intesa che è riuscita a spostare non di molto la mediazione con le posizioni tedesche dal livello originario. Nulla di più. Se, alla fine, il Ministro delle finanze, Wolfgang Schaeuble, ha accettato, con il fondo ad hoc, la mutualizzazione degli aiuti per l’intervento nelle situazioni di crisi bancarie, ha però mantenuta ferma la propria posizione sulla relativa alimentazione che avverrà esclusivamente con gli apporti delle banche e raggiungerà l’ammontare di circa 60 miliardi solo fra dieci anni. Viene esclusa, insomma, una collettivizzazione di interventi pubblici che, semmai, sono attribuiti alla discrezionalità dei diversi paesi. Nel frattempo, non sarà prevista, dunque, la possibilità di una diretta ricapitalizzazione degli istituti, da parte del fondo Esm e potranno essere dal fondo stesso erogati, come extrema ratio, solo prestiti transitori agli Stati. Vi è stato un chiarimento su come funzionerà la procedura per la risoluzione delle crisi che vedrà il cardine in un apposito Consiglio formato dai rappresentanti dei paesi aderenti all’accordo, le cui decisioni saranno sottoposte all’approvazione della Commissione Ue. Più complessa sarà la procedura per l’ammissione agli interventi del predetto fondo. Insomma, una farraginosità procedurale che testimonia la difficoltà del compromesso e sollecita a vederlo come tale, piuttosto che elevare peana di soddisfazione. Quanto poi alla possibilità dei prestiti di carattere pubblico, va detto che questi scatterebbero dopo che i privati hanno concorso consistentemente alle perdite della banca in crisi. Non si vuole addossare gli oneri ai contribuenti e può essere giusto; ma occorre evitare che una inadeguata protezione del risparmio determini fenomeni di fuga delle disponibilità. Ma, qui, si tocca il punto della tutela dei depositi che andrebbe garantita anche al di là dei tetti posti a livello nazionale. A monte dell’accordo vi è, come noto, l’accentramento della Vigilanza per ora su 130 banche comunitarie che dovrebbero diventare 300; per le rimanenti, circa seimila, resterebbe il potere degli organi nazionali di controllo al quale si aggiungeranno i possibili indirizzi impartiti da Francoforte: un punto, quello del mantenimento in casa, al quale i tedeschi tengono moltissimo per poter assicurare la sottrazione alla centralizzazione delle banche regionali. Si abbandona, insomma, la Vigilanza di prossimità per gli istituti di credito di maggiori dimensioni, ma per un progetto che presenta ancora incertezze, scompensi e una consustanziale laboriosità decisionale: un progetto, almeno per ora, privo di fondamento nel Trattato, ma che pur con tutti i rilievi rappresenta un passo in avanti. L’iniziativa doveva e poteva essere però attuata ben diversamente. I non pochi rilievi rischiano purtroppo che se ne abbia un’attuazione ancora peggiore. Insomma, ci sarebbe molto da rivedere, correggere e migliorare, senza complessi e potendo l’Italia parlare più di altri paesi per essere lo Stato che, meno di tutti, ha dovuto impiegare fondi pubblici per intervenire in dissesti bancari. Questo dell’Unione bancaria e delle difficoltà del progetto è anche un insegnamento perché non ci si incammini spensieratamente verso la sottoscrizione dei famosi accordi contrattuali per riforme con incentivi. Se già l’Unione bancaria non è un progetto rivoluzionario, si eviti di accoppiarla con un altro progetto, indeterminato e tutt’altro che rivoluzionario.