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 2013  dicembre 20 Venerdì calendario

FINANZIAMENTO DEI PARTITI CANCELLATO OGGI, RISORTO DOMANI


Il governo ha abolito il finanziamento ai partiti. Peccato che il vero stop lo si avrà solo nel 2017, quindi con tutto il tempo per cambiare governi e regole, facendo rientrare dalla finestra quello che (a parole ) si fa uscire dalla porta. Sono 20 anni che gli italiani hanno detto basta col referendum a questa sconcezza, eppure siamo ancora qui a parlarne e a vedere l’ennesima diluizione nel tempo destinata a mantenere il più a lungo possibile questo malvisto privilegio. Perché non si ha avuto il coraggio di dire basta da subito, come per tutto quello che riguarda i comuni cittadini e che viene votato in quattro e quattr’otto senza se e senza ma da parte di tutto il governo? Nella mia vita lavorativa ho visto dall’oggi al domani per 5 volte stracciare le regole sul pensionamento, e addirittura con effetto immediato se non retroattivo. Sbaglio o la legge dovrebbe essere uguale per tutti? Sbaglio o appena si tocca un privilegio della politica si deve fare dietro front per i «diritti acquisiti»? Perché la politica gode di diritti acquisiti e i cittadini votanti no?
Alessandro Garanzini
alessandro.garanzini@libero.it

Caro Garanzini,
Quello del finanziamento pubblico dei partiti è uno dei capitoli più sconcertanti della storia repubblicana. La prima legge risale all’aprile del 1974 e fu il risultato di uno scandalo: l’indagine della polizia tributaria di Milano che accertò l’esistenza alla Montedison di un fondo nero (24 miliardi di lire) usato per finanziare il Pentapartito (democristiani, socialisti, liberali, socialdemocratici, repubblicani) e il Movimento sociale italiano. Non era il solo. Altre aziende avevano la loro cassa segreta e il Pci era finanziato annualmente dal Partito comunista dell’Urss. Il provvedimento che avrebbe dovuto stroncare un tale malcostume stanziò per i partiti 45 miliardi di lire all’anno e una somma supplementare di 15 miliardi in caso di elezioni.
La legge fu considerata molto generosa e, per di più, non mise fine al malvezzo. Un referendum abrogativo, nel giugno del 1978, non ebbe successo e i partiti continuarono a godere di un duplice finanziamento: quello pubblico previsto dalla legge, raddoppiato nel 1981, e quello inconfessabile che arrivava nelle loro casse per vie traverse. L’abrogazione della legge fu possibile soltanto con il referendum del 1993, quando il 90,3% dei votanti disse sì all’abrogazione. Il risultato era certamente dovuto all’indignazione della pubblica opinione per gli scandali di Tangentopoli. Ma non passarono molti mesi prima che i partiti politici, divisi su tutto fuorché sulla comune fame di denaro, ricorressero pervicacemente alla formula dei rimborsi elettorali per aggirare i vincoli dell’abrogazione. Non basta. I rimborsi, periodicamente corretti verso l’alto, hanno dato ai partiti molto più di quanto fosse necessario per il pagamento delle loro spese effettive. Anziché evitare gli scandali di Tangentopoli, il denaro pubblico elargito ai partiti ha alimentato una impressionante serie di appropriazioni private.
Ancora una considerazione, caro Garanzini. Quando assicura modesti contributi ad associazioni private, lo Stato chiede abitualmente garanzie ed effettua controlli. Quando finanzia lautamente i partiti, si limita (così almeno sinora) a chiedere un bilancio che nessuno controlla. Non è sorprendente. Quelli che scrivono e approvano le leggi sono in ultima analisi quelli che ne sono i beneficiari. Conviene quindi fare leggi generose e, se occorre risparmiare, addossarne il peso a quelli che verranno dopo di loro; come se la crisi non fosse oggi, ma domani.
Concludo con un confronto tra Italia e Gran Bretagna su una materia per molti aspetti collegata a quella del finanziamento pubblico. Mentre il deputato britannico guadagna circa 78.000 euro all’anno, il suo collega italiano ne guadagna quasi il doppio. In Gran Bretagna esiste una «Independent Parliamentary Standards Authority» che ha il compito di vigilare sulla retribuzione dei parlamentari e di proporre eventuali aggiustamenti. Qualche giorno fa ha proposto un aumento dell’11%, ma parecchi membri della Camera dei comuni hanno reagito dichiarando che «questo non è il momento» .