Franco Bruni, La Stampa 20/12/2013, 20 dicembre 2013
UNIONE BANCARIA EUROPA PIÙ FORTE
La moneta unica non può stare senza l’unione bancaria: non si può sopravvivere se il sangue cerca di circolare in un sistema di vene e arterie disunito e inceppato.
Perciò i progressi fatti con l’accordo politico dell’Ecofin di ieri rafforzano il futuro dell’eurozona. Si avvicina il momento in cui la moneta unica sarà canalizzata in modo uniforme per eseguire pagamenti e prestiti da parte di un sistema bancario quasi de-nazionalizzato come lei. La disponibilità e il costo del credito saranno più omogenei in Europa. Si attenueranno i legami protettivi e incestuosi fra governi e banche. Aumenterà la concorrenza in un più ampio mercato europeo dei servizi bancari, senza confini nazionali. Autorità bancarie sovranazionali potranno applicare in modo uniforme gli strumenti e gli stili di intervento che le esperienze di Paesi anche extraeuropei hanno mostrato più efficaci. Ne beneficerà la qualità del sistema bancario europeo nel suo complesso e il ruolo dell’euro nel mondo.
L’accordo di mercoledì notte deve essere dettagliato in alcuni punti delicati. Va sottoposto a una procedura di approvazione che coinvolge il Parlamento e dà luogo a un accordo intergovernativo che ogni Paese deve accettare. Un percorso ancora irto di ostacoli. Ma è ora più probabile che si concluda prima che si sciolga l’attuale Parlamento e che l’unione bancaria cominci davvero nel 2015. Si è stabilito che passino niente meno che dieci anni perché tutti i suoi aspetti entrino pienamente in vigore; ma si è anche deciso che lungo il decennio l’unione si realizzi progressivamente, con passi avanti prestabiliti e, soprattutto, con una formidabile cessione di sovranità già fra dodici mesi.
Non era facile essere ottimisti sul raggiungimento dell’accordo. Infatti, superate le remore a cedere alla Bce i poteri di vigilanza nazionali, pareva più difficile ottenere di centralizzare la gestione delle crisi bancarie. Ma la stessa Bce esitava ad accettare di assumere la responsabilità di mettere in luce i problemi delle banche dovendo poi fidarsi di autorità nazionali per risolverli, col rischio di vederle esitanti, litigiose e intenzionate soprattutto a proteggere e discolpare le «loro» banche. Dopo alcuni tentativi di tergiversare, è prevalsa l’idea di far subito il salto verso un’autorità unica anche nella gestione delle crisi, quando il potere di prendere decisioni rapide e accentrate è essenziale.
Ma per avere un’autorità unica di gestione delle crisi si sono dovuti, innanzitutto, superare alcuni disaccordi sulle regole di gestione. Intanto quello sul quando, quanto e come potranno intervenire finanziamenti pubblici per rimandare o evitare il «fallimento» di una banca; e poi, se quest’ultimo è inevitabile, la questione di quanto il fallimento graverà sugli azionisti della banca che fallisce e sui suoi diversi creditori, compresi i depositanti che, sotto una certa dimensione, meritano completa protezione. Pare che le regole principali siano ora abbastanza condivise. Si è anche dovuto affrontare il problema di fornire all’autorità europea che gestirà le crisi l’accesso a un certo quantitativo di risorse finanziarie che è indispensabile utilizzare, anche solo temporaneamente, per facilitare la ristrutturazione di una banca in difficoltà, senza traumatizzare il tessuto di risparmiatori, imprese e altre banche che la circondano. Si prevedeva un forte litigio fra chi voleva che queste risorse fossero europee, espressione di una solidarietà finanziaria fra i Paesi dell’eurozona, e chi le voleva lasciare a carico dei singoli Paesi membri. Sembra si sia riusciti ad accordarsi su un percorso in cui queste risorse sono inizialmente nazionali, ma con qualche garanzia di intervento di emergenza europeo, e divengono poi progressivamente più europee e solidali fino a esserlo del tutto fra un decennio.
L’Italia sarà fra i maggiori beneficiari dell’unione bancaria. La frammentazione dell’eurozona ci colpisce più di altri Paesi, rendendo più scarso e caro il credito e ostacolando l’afflusso in Italia della liquidità dell’eurozona. Questo, oltretutto, non rende giustizia alla qualità della vigilanza sulle nostre banche e del nostro sistema di gestione delle loro crisi, che tutti riconoscono essere buona, forse la migliore d’Europa. L’esperienza delle regole italiane potrà essere preziosa per far funzionar bene l’unione bancaria.
L’opinione pubblica è a tratti indotta a pensare che il problema dell’unione bancaria sia quello di convincere i Paesi forti a sobbarcarsi le difficoltà delle banche dei Paesi deboli, fra cui il nostro. Gli euroscettici tedeschi se ne lamentano. Reciprocamente, i nostri politici paiono esibire, anche in questa materia, la loro intenzione di «picchiare i pugni sul tavolo» per imporre ai tedeschi il dovere della solidarietà. Ma il punto non è questo: tant’è che molte banche tedesche sono per certi versi meno sane delle nostre. Più che una questione di quattrini è una questione di poteri: accentrarli e renderli capaci di decisioni rapide nell’interesse di tutta l’Ue. E’ su questo che dobbiamo continuare a insistere e possiamo sperare che i tedeschi continuino a venirci incontro.
Un altro errore di prospettiva da evitare nel guardare all’unione bancaria è quello di considerarla un fatto meramente tecnico, la solita spoetizzante Europa delle banche, secondaria rispetto ai progetti più ambiziosi di unione politica o, addirittura, ostacolo alla vera unità d’Europa perché sbilanciata a favore della finanza dei Paesi più forti ed «egoisti». Invece è enorme il significato politico di mettere in comune le informazioni più delicate sui problemi delle banche dei diversi Paesi e organizzarsi per gestirli in modo accentrato e con le stesse regole. Ed è sorprendente il realismo con cui la Germania, passate le elezioni, sembra pronta a favorire l’accordo.
franco.bruni@unibocconi.it