Ilaria Maria Sala, La Stampa 20/12/2013, 20 dicembre 2013
LA “DIPLOMAZIA DELLO YEN” COSÌ TOKYO ISOLA LA CINA
Il comunicato che è uscito dal meeting di Tokyo dell’Asean – un incontro straordinario che ha portato i capi di Stato del Sud-Est asiatico a Tokyo – non fa riferimento esplicito alla Cina, eppure, il nome del gigante orientale può essere letto fra ogni riga. È ribadita più volte l’importanza della «libertà di navigazione e dello spazio aereo», e i 10 Paesi presenti hanno siglato un accordo per «rafforzare e approfondire la cooperazione sui legami navali ed aerei» nella regione. Tutto questo deve essere fatto «rinunciando ad ogni tipo di minaccia sull’uso della forza».
Di nuovo, il destinatario sembra essere Pechino. Mentre i leader dei Paesi asiatici si salutavano, si sono anche ripromessi di fare un nuovo incontro, questa volta con tutti i ministri della Difesa dei 10+1. Alcuni, come quello cambogiano, erano qui, e hanno già firmato un paio di accordi.
Shinzo Abe, il primo ministro giapponese, in chiusura dell’incontro straordinario, ha affermato che «dato che il clima riguardante la sicurezza è divenuto molto più duro nell’Asia dell’Est e intorno alla regione dell’Asean, le spese militari e il commercio d’armi da parte dei Paesi della regione registrano una tendenza alla crescita»: nessun bisogno di nominare la Cina, quando è così ovvio di cosa si sta parlando.
L’aver ospitato questo «fuori-programma» dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico ha anche ridato forza a quella che era, fino a qualche anno fa, un’abitudine giapponese che veniva chiamata «la diplomazia degli assegni». Tokyo ha infatti promesso 2 trilioni di yen (più di 14 miliardi di euro) ai Paesi membri dell’Asean per «l’assistenza allo sviluppo» nei prossimi cinque anni, che saranno utilizzati sia per progetti legati a infrastrutture, in particolare nei trasporti e per la prevenzione dei disastri naturali, che per migliorare i sistemi di irrigazione, i sistemi sanitari e anche la partecipazione delle donne nella società nei Paesi dell’Asean.
Del resto, la politica maggiormente aggressiva nel Mare cinese meridionale ed orientale portata avanti da Pechino ha favorito di recente un netto riavvicinamento fra il Giappone e i suoi vicini asiatici che non era certo cosa assicurata: Tokyo, infatti, dopo decenni di tentativi di revisionismo storico rispetto alla brutalità della sua invasione dell’Asia nel corso della Seconda Guerra Mondiale è di frequente vista con una certa diffidenza. Incapace di arrivare ad una posizione di totale chiarezza e rinnegamento nei confronti del suo passato bellico, il Giappone ha spesso preferito mostrarsi disposto alla buona vicinanza con investimenti e aiuti, più che con la diplomazia e l’autoanalisi. L’emergere della Cina come potenza anche militare sta scompaginando questo assetto, e la volontà giapponese di tessere alleanze è ora accolta con un atteggiamento apertamente positivo.
Abe dunque incassa un successo diplomatico. A cui ne aggiunge uno economico, dato che le ultime statistiche sulla crescita economica in Giappone per l’anno in corso mostrano un raro +1.4%, risultato di tutto rispetto visti i tempi, largamente dovuto alle politiche economiche battezzate «Abenomics» dalla stampa, fatte di forti stimoli finanziari all’economia. Ora, Shinzo Abe prosegue con alcune delle sue iniziative che, invece, inquietano maggiormente l’opposizione e larga parte della società giapponese stessa. Già la settimana scorsa, con una fretta poco giustificabile, il primo ministro ha imposto (grazie al sostegno di cui gode in entrambe le camere) una legge sui segreti di Stato che non ha nulla da invidiare a quelle cinesi, ignorando i sondaggi che indicavano forte opposizione alla legge. E ieri, il governo Abe ha annunciato che le spese militari aumenteranno del 5% nei prossimi cinque anni, ovvero di 17 miliardi di euro entro il 2019. Un nuovo passo verso quel riarmo nazionale di cui il primo ministro ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia per rendere, come dice lui, l’esercito giapponese un esercito «normale», e non più solo quelle Forze di Autodifesa del dopoguerra. Questa volta, il comunicato del ministero della Difesa non omette nulla: «La Cina ha intrapreso azioni pericolose che possono provocare imprevisti», recita.