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 2013  dicembre 20 Venerdì calendario

E ANCHE IL PENTITO DI CAMORRA SCOMPARE DOPO 8 ORE DI LIBERT


«Io lo so che vado all’inferno. Però ci voglio andare senza morti sulla coscienza». Furono queste le prime parole da collaboratore di giustizia che Pietro Esposito, 47 anni, riferì tra le lacrime al pm dell’Antimafia Giovanni Corona. Era il 2004, alle 22 e 45 di una serata di fine novembre all’interno della sala colloqui del carcere di Poggioreale.
Qualche giorno prima Gelsomina Verde, 22 anni, venne attirata in trappola e brutalmente uccisa solo per un sospetto. In quegli anni a Scampia si moriva anche per un caffè preso con la persona sbagliata.
Pietro Esposito, che contribuì a identificare i killer di Gelsomina e fece nomi e cognomi ai magistrati del «direttorio» che in quegli anni lasciò decine e decine di morti sulle strade, la mattina del 14 dicembre è uscito dal carcere di Pescara, dove stava scontando una pena per evasione, grazie a un permesso premio di otto ore. In cella non è mai rientrato e ora è ricercato dalle forze dell’ordine.
Il 21 novembre del 2004 «Pierino Kojak», come lo conoscevano all’ombra delle Vele di Scampia, contava la prima settimana di libertà. Era stato scarcerato da poco ed era rientrato nella sua abitazione. Sono le 22.40 e suona il citofono. Era Gelsomina, che tutti nel quartiere conoscevano perché faceva volontariato soprattutto tra gli ex detenuti. Lui si affaccia al balcone e fa segno alla ragazza di allontanarsi. «Con una scusa, dissi alla mia convivente che uscivo e presi la macchina, la mia Fiat Punto Bianca. Quindi, mi misi dietro all’auto condotta da Mina. A un certo punto vidi che l’amica andò via con un ragazzo che era venuta a prenderla con uno scooter. Solo allora mi sono avvicinato ed ho iniziato a parlare con Mina senza che nessuno dei due sia sceso dall’auto».
Dieci minuti appena, poi arriva lo «squadrone della morte». In tre in sella a un ciclomotore salgono sull’auto della ragazza e la costringono a muoversi. «Mi dissero - aggiunge il pentito nella sua ricostruzione - che non le avrebbe fatto nulla e che dovevano solo chiederle dove si nascondessero i compagni». «Il giorno dopo - è il racconto di Esposito - mentre guardavo la televisione ebbi la notizia della morte di Mina».
Il corpo carbonizzato di Gelsomina venne ritrovato tra le lamiere fumanti della sua auto. Era stata interrogata, torturata e uccisa con un colpo di pistola alla nuca. Si disse che il suo corpo fu dato alle fiamme per evitare che il quartiere potesse vedere tale scempio.
Quel pregiudicato che aveva compreso a quali atroci sofferenze era stata sottoposta quella ragazza, quell’uomo che aveva paura di finire all’inferno divenne il grimaldello che l’Antimafia utilizzò per entrare nei segreti di quella guerra.
Esposito indicò i nascondigli dei latitanti, spiegò come e quando scoccò la scintilla della guerra tra i due cartelli di narcotrafficanti. Illustrò le rotte della droga e le spartizioni delle piazze dello spaccio, facendo i conti in tasca ai contabili della camorra. Indicò mandanti e killer di diversi omicidi, rivelò la catena di comando che col sangue e il piombo ha lastricato per anni le strade di Scampia e di Secondigliano.
Due settimane dopo l’omicidio di Mina Verde, 1500 tra carabinieri, finanzieri e poliziotti assediano le palazzine del Terzo Mondo: 65 fermi scompaginano i gangli del sistema del terrore messo in piedi dai Di Lauro e dagli Scissionisti. Era la notte tra il 6 e il 7 dicembre 2004: le pagine di quel fermo erano state scritte in fretta e furia solo qualche ora prima.