Antonio Pascale, IL 19/12/2013, 19 dicembre 2013
SI STAVA PEGGIO QUANDO SI STAVA PEGGIO
Con mia figlia soprattutto. La questione temperatura del latte. Mi alzavo, ciabattavo in cucina, riscaldavo il latte, poi lei arrivava, muso imbronciato e beveva. Un dramma: o troppo caldo o troppo freddo. Lei lo voleva tiepido. Mia moglie interveniva, assaggiava: era troppo caldo, effettivamente scottava. S’era bruciata la lingua. O troppo freddo, e fuori già era freddo, freddo più freddo, un disastro. Sono i vostri umori a influenzarvi il gusto. Vi svegliate nervosi. Ma che dici? Si è scottata la lingua (o se l’è gelata). Nascevano complicate discussioni familiari. Finché ho scoperto un aggeggio rivoluzionario: si chiama termometro. Fantastico. Segna la temperatura. A che temperatura lo vuoi? 37 gradi? Ecco qua. Se ti svegli nervosa o di buon umore, sempre a 37 gradi lo scaldo. Perché la vita moderna è così, troppa ansia e lo stress cambia la percezione.
La questione latte mi torna in mente ogni volta che partecipo a discussioni sullo stato del mondo. Dalla platea sento salire il nervosismo. E nascono complicate discussioni, altro che latte. Il mondo è una schifezza, troppo caldo, troppo intensivo, troppo veloce, troppo corrotto, troppi disoccupati, troppo capitale, troppe banche, troppe persone. Bisogna cambiare sistema produttivo. Più lentezza, meno caldo, meno banche, più beni comuni, più decrescita. La notte non ci dormo e penso: come si fa a cambiare sistema produttivo? E come si fa a essere più lenti? Nella pratica, dico. È complicato, anzi sospetto che affermare «bisogna andare più lenti» significa aumentare velocemente i propri introiti. Una volta l’ho visto con i miei occhi. Uno che sostiene la lentezza – bello e ruspante – fare una scenata al direttore editoriale della casa editrice, perché il suo libro non vendeva abbastanza. Un termometro, sì. Ci vuole.
Lo storico dell’economia Robert Fogel ha elaborato un singolare diagramma. Mostra la crescita della popolazione in rapporto all’innovazione tecnologica. Parte da lontanissimo, diecimila anni fa. Benché fossero praticate l’agricoltura e la metallurgia, nonostante fossero state poi scoperte la matematica e la stampa, l’irrigazione, insomma, le innovazioni non mancavano, la popolazione era stabile. Diecimila anni fa, data di (presunta) fondazione dell’agricoltura, eravamo dieci milioni. Quanto la Lombardia (9.939.000, per la precisione, dato 2011). Un mondo di soli lombardi. Dobbiamo aspettare il 1800 per arrivare a un miliardo. Momento clou. Il reverendo Malthus fece spaventare un po’ di persone: non ce la possiamo fare, troppa gente. Sì, va bene, l’innovazione aumenterà la torta, per cosi dire, ma ci saranno tante persone che si fionderanno sulla torta. Poi inizia la rivoluzione industriale e la popolazione comincia a crescere più velocemente. Quindi 1900, due miliardi; 1960, tre miliardi. Altro momento clou. Si comincia a parlare di bomba demografica. Non ce la possiamo fare. Troppa gente.
Per il 2000 si prevedevano carestie e malattie ad libitum, esaurimento risorse e, insomma, un casino. Poi 1974, 4; 1987, 5; 1999, 6; finché, nell’ottobre 2010, | abbiamo dato il benvenuto alla bambina numero 7. Sette miliardi. Il Ventesimo secolo è stato meraviglioso sottolinea Fogel – come meraviglioso? due guerre, un genocidio meraviglioso – si, perché abbiamo sconfitto la fame e la malattia. Fateci caso, in classifica non ci sono i miei testi, ma molti libri che trattano argomenti culinari. Nonostante la delusione e la frustrazione da scrittore (per questa incredibile e incresciosa deficienza), tendo a prendere bene classifiche siffatte. Vuoi dire che il cibo ce l’abbiamo. E tanto anche. Solo qualche decennio fa tutta questa abbondanza non c’era. Abbiamo sconfitto la fame (sostanzialmente con quattro innovazioni: concimi, diserbanti, agrofarmaci e miglioramento genetico delle piante) e le malattie (con un paio di antibiotici, fognature, acqua corrente, bagni piastrellati e migliore igiene). Va bene, grazie tanto. Ma ora? Sette miliardi. Le risorse finiranno, già quando resti bloccato nel traffico ti viene il sangue amaro, pensa se rifletti sulla crescita della popolazione. Panico. Che rispondiamo? Mi sembra logico: cambiarne modello di sviluppo. Cosa, tra l’altro, che mi piacerebbe pure fare.
La Gapminder Foundation di Hans Rosling ha da poco pubblicato uno studio: quello che pensiamo sul mondo e quello che invece abbiamo misurato. Per esempio, domande: nell’anno 2000 il numero di ragazzi (da 0 a 14 anni) ha raggiunto i due miliardi. Quanti ne sono attesi per il 2100? Ho fatto pure io il test. E ho risposto che sono attesi 4 miliardi di ragazzi. La metà degli intervistati la pensava come me. Sbagliando. Ne sono attesi due. Ma solo il 6 per cento ha centrato la risposta. Ho indovinato, invece, la domanda sull’aspettativa di vita media, 70 anni. Ma la maggioranza ha risposto 60 anni. Ho sbagliato la domanda più importante: negli ultimi trent’anni la percentuale di persone che vive in povertà è aumentata, rimasta la stessa o diminuita? Rimasta la stessa. Così ho scritto, come il 33 per cento degli intervistati. Invece è diminuita, ma solo il 10-12 per cento delle persone ha indovinato. La maggioranza (più del 50 per cento) pensava fosse aumentata – perciò siamo così nervosi. E soprattutto ho scoperto di non sapere nulla sul Bangladesh – ero rimasto a un album di George Harrison and Friends, concerto per il Bangladesh, del 1971 anche lì l’aspettativa di vita ha raggiunto i 70 anni (solo il 6 per cento ha indovinato) merito dei progressi della medicina e dell’aumento del benessere (meglio stiamo, meno figli facciamo). Le famiglia sono composte da 2,5 figli, in media (due figli anche in Brasile, in Vietnam e in India). Tuttavia la maggioranza degli intervistati pensava che ogni donna avesse 4,5 figli a testa.
I risultati, sottolinea Hans Rosling, sono deprimenti: «Nonostante avessimo segmentato gli intervistati tra laureati e non laureati, entrambe le categorie sapevano le stesse cose sul mondo, frutto di impressioni vecchie e mai rettificate, tanto fallaci che se uno scimpanzè avesse tirato a caso avrebbe indovinato più cose». In realtà il mondo è cambiato e sta ancora cambiando. Probabilmente siamo noi che invecchiamo e tendiamo a guardare verso il passato.
Charles Kenny, nel suo Va già meglio (Bollati Boringhieri) ci mostra alcuni parametri. Possiamo riassumerli così: tre buone notizie. Primo: tasso di mortalità infantile in calo. Dati del 2000. Ebbene, dei 187 Paesi per i quali disponiamo di dati, soltanto 19 avevano un tasso di mortalità neonatale superiore al 10 per cento. E il Paese con la performance peggiore del mondo, la Sierra Leone, presentava un tasso di mortalità neonatale più o meno uguale alla media europea di un centinaio di anni prima. Sempre nel 2000, infine, 46 Paesi presentavano tassi di mortalità neonatale inferiori all’1 per cento. Alcuni Paesi hanno raggiunto risultati davvero spettacolari. Nel Cile del Ventesimo secolo, per esempio, la mortalità è scesa dal 25 per cento all’l per cento tra i neonati, mentre in Giappone è passata dal 25 per cento allo 0,3 per cento negli stessi cento anni.
Seconda buona notizia: crescita dell’istruzione. A livello globale, durante gli ottant’anni compresi fra il 1870 e il 1950, la percentuale mondiale della popolazione in grado di leggere e scrivere è cresciuta da un quarto a metà e dal 1950 al 2000 è arrivata a quattro quinti. Il progresso è stato particolarmente incoraggiante per le donne. Fra il 1970 e il 2000 il rapporto medio globale tra l’alfabetizzazione femminile e quella maschile si è spostato dal 59 all’80 per cento. Tanto per dire, i tassi di alfabetizzazione nella regione sub-sahariana sono passati infatti dal 28 per cento al 61 per cento soltanto fra il 1970 e la fine del secolo. Uno dei fattori principali alla base della crescita del livello di alfabetizzazione globale è da ricercare in una più ampia diffusione dell’accesso all’istruzione.
Terza buona notizia: i diritti civili: negli ultimi duecento anni, siamo passati da un mondo in cui il 38 per cento della popolazione si trovava in condizioni di schiavitù – negli Stati Uniti meridionali fino al 1865 – a uno dove tale condizione è considerata ovunque fuorilegge. Negli ultimi tre decenni, la schiavitù è stata bandita anche da Paesi come lo Yemen, la Mauritania, l’Arabia Saudita e il Qatar. Certo la vita è lontana dall’essere perfetta, e tante storie recenti mostrano un rallentamento di alcune dinamiche. Ma non c’è dubbio che, rispetto a qualche anno fa, si vive meglio.
Siamo sette miliardi e si vive meglio. Un miliardo nelle Americhe, un altro miliardo in Europa, un altro ancora in Africa. E siamo a tre. Gli altri quattro in Asia. Rosling a questo proposito inventa anche una scala grafica (per grandi numeri). Due miliardi vivono ancora in povertà e possono permettersi le scarpe. Tre miliardi rappresentano i Paesi emergenti, comprano la bicicletta o la moto. Un miliardo ha la macchina e un altro miliardo viaggia in aereo. La disparità tra ricchi e poveri è grande, ma se il tenore di vita migliorerà la crescita della popolazione rallenterà e ci potremo avvicinare. Come? Con regole nuove, prospettiva globale e sguardo lungimirante. Fatti i calcoli e ipotizzato il meglio (aumento del benessere), nel 2100 il mondo dovrebbe ospitare undici miliardi di persone. Un miliardo nelle Americhe, un miliardo in Europa, cinque in Asia e quattro in Africa. Poi la crescita della popolazione si interromperà. Nel frattempo cambieranno consumi e cittadini, cambierà il lavoro, si perderanno un sacco di competenze, perché saranno sostituite dalle macchine (quanti dolori), anzi dovremo evolverci insieme alle macchine e allora chissà in quanti potranno prendere l’aereo e chissà che scarpe porteranno i nostri nipoti. Chissà. Ma ci vorranno nuove fonti energetiche, più efficienza e minor impronta ecologica. Se non studiamo, verifichiamo, integriamo le conoscenze, se non cambiamo la percezione della realtà, come possiamo poi cambiare il mondo? Questo dico a mia figlia mentre beve il latte riscaldato a 37 gradi. Poi vado a comprare il giornale, leggo gli articoli e noto un sottofondo di depressione e scoraggiamento. Sono vecchi questi, penso, guardando il mondo da una prospettiva vecchia, o dall’alto del loro benessere. Il mondo cammina, perché quelli che hanno le scarpe sono ambiziosi e un viaggio in aereo ci tengono a farlo, prima o poi. Altroché. Poi esco e vedo mia figlia camminare veloce. Sta pure vestita leggera. Fa freddo, le dico, copriti. Ma fa caldo, mi dice. Ci sono 11 gradi, grido. E lei: ma io ho caldo, certo che stai invecchiando.