Michele Masneri, IL 19/12/2013, 19 dicembre 2013
GAIA TRUSSARDI IL LEVREIRO E’ MIO E LO GESTISCO IO
Erede di una dinastia dei guanti che meriterebbe forse una piccola Pastorale bergamasca, Gaia Trussardi come la sua omologa del romanzo di Philip Roth è un po’ ribelle – un po’ meno, non mette bombe negli uffici postali, si limita ad avere un passato rocchettaro londinese e a fare collezioni per una donna moderna e lavoratrice e soprattutto per uomini con esterni in pelle; ha esordito proprio con la collezione uomo primavera/estate 2014, scatenandosi con la pelle in tutte le sue declinazioni, omaggiando così le origini di casa. Gaia è pronipote di Dante, fondatore nel 1911 di un guantificio che meglio del Newark Maid rothiano scala tutte le posizioni novecentesche dell’accessorio per signora fino a diventare fornitore della Real Casa, ed è figlia di Nicola, che come Seymour lo Svedese di Pastorale americana dà il nuovo corso aristocratico e wasp alla dinastia. Nel 1970 Nicola prende – come si dice – le redini dell’azienda e si butta sugli anni Ottanta producendo vaste simbologie col cane levriero assurto a marchio nel 1973: non solo portafogli e borse e cravatte, ma anche profumi, biciclette e un telefono brutalista che rimane uno degli oggetti più misterici di quel decennio. Diventa anche il volto sartoriale del socialismo, capisce lo show business prima degli altri sponsorizzando un palazzetto per primari concerti voluti dal sindaco immaginifico Tognoli, e al PalaTrussardi si svolgerà un fondamentale rito di passaggio degli anni Ottanta, il concerto di Frank Sinatra nel 1986, presenti Craxi, Roger Moore e Liza Minnelli. Con la incresciosa scomparsa automobilistica di Nicola nel 1999 cresce anche la dimensione kennediana-tragica della famiglia (nel 2003 muore in un incidente anche il figlio Francesco) e oggi a lavorare in azienda ci sono Beatrice, ad e presidente del gruppo e della fondazione, e il fratello Tomaso, belloccione, famoso per essere fidanzato con Michelle Hunziker, in realtà cervello del core business dell’azienda, a partire dalle licenze. Poi lei, Gaia, terzogenita, che esordisce nell’estate scorsa come direttore creativo e stilista unico del marchio di famiglia dopo essersi occupata delle linee Tru Trussardi e Trussardi Jeans, e succedendo al designer Umit Benan, responsabile delle collezioni per gli ultimi due anni. Sconosciuta ai più, laureata a Londra in antropologia e sociologia, trentaquattrenne, già sposata con un aitante ispano-svedese, è un caso abbastanza unico di figlia-di-famiglia, testimonial e stilista, tutto dello stesso marchio e dello stesso nome. E, oltre al nome, ha soprattutto una faccia. Probabilmente la più bella in una famiglia già esteticamente avvantaggiata. Tra Kate Moss e Arielle Dombasle giovane, grandi occhi esistenzialisti, che brillano in uno spot milanese (ma sembra una Parigi alla Truffaut) di un profumo che non casualmente si chiama My Name, regia di Gabriele Salvatores. Due figli, Nicola (come il nonno), e Isabella, è decisa e forse un po’ aggressiva, senza complessi, sembra dire, come il marchese goldoniano: «Son chi sono, e mi si deve portar rispetto». All’esordio, dice: «Mi sento superpronta, sono cresciuta in azienda e sono un archivio vivente», e la leggenda rothiana vuole che abbia imparato ad andare in bicicletta tra le fabbriche di famiglia. Il lato londinese-esistenzialista-hipster vien fuori invece oltre che col cinema (le piacciono i Coen, Lynch e Tarantino) soprattutto con la passione musicale, molto coltivata a Londra, dove ha un passato di cantante, e che adesso la vede sovrintendere alle colonne sonore di sfilate e spot: predilige l’indie rock, e a Milano quest’estate il Caffè Trussardi – sul quale decide sempre lei – ha ospitato la presentazione del disco degli Editors. E si dice che attualmente abbia perfino un fidanzato musicista; però col côté ribellista convive quello kennediano-wasp: l’uomo Trussardi è elegante e chic e rilassato, e tutti si ricordano il matrimonio, nel 2006, con l’imprenditore ottico Ricardo Rosen, lei in velo bianco e diadema, lui in tight, tipo nozze dinastiche di monarchie illuminate nordiche in bicicletta, qui celebrate dal teologo molto protestante Ernesto William Volonté, della diocesi di Lugano. Il tutto a Marciana Marina, isola d’Elba, isola non stilistica e di lussi sobri non eoliani, feudo di dinastie lombarde amanti della privacy. La Martha’s Vineyard italiana, insomma, con una villa Trussardi comprata negli anni Ottanta, bianca, minimalista, con sculturone di Mitoraj e Consagra, e a bordo piscina un piccolo levriero, il cane eponimo della Pastorale bergamasca che quest’anno celebra i suoi primi quarant’anni.