Sara Gandolfi, Sette 20/12/2013, 20 dicembre 2013
«SARÒ UNA STAR DELLA MUSICA». COSÌ PARLÒ VIOLETTA, L’ARGENTINA CHE HA CONQUISTATO I CUORI E LE CAMERETTE DELLE BAMBINE
Ufficialmente ha solo 16 anni, anche se qualche malalingua ha messo in Rete la voce che ne abbia di più. Una minorenne con già cucito addosso il vestito delle star. Ci sono voluti cinque appuntamenti, fatti e disfatti in pochi giorni, prima di riuscire a sentirla all’altro capo del telefono. Martina Stoessel, in arte Violetta, sta girando la Spagna con il suo tour mondiale. Prossima fermata l’Italia, ai primi di gennaio, con ventun tappe in otto città, da Milano a Catania. La caccia ai biglietti è agli sgoccioli: al Palapartenope di Napoli ultimissimi posti in “piccionaia” (3° settore) per 44,85 euro, a Milano qualche genitore arriva a pagare 247,25 euro per regalare alla propria bambina la vista dell’eroina del momento dall’area Diamond del Forum di Assago. I più previdenti hanno acquistato online, mesi fa. Martina-Violetta sa come muoversi al centro di uno show-biz milionario, suo padre è un noto produttore tv. È molto compita al telefono da Bilbao, una lunga pausa dopo ogni domanda – qualcuno suggerisce le risposte giuste? –, tutte preparate in esclusiva per Sette da alcune sue giovanissime fans, le V-lovers, tra gli 8 e i 12 anni (vedi intervista a pagina 37). «Mi piace ballare, cantare, truccarmi, pettinarmi, essere alla moda», la quintessenza del successo della telenovela argentina più seguita nella storia della tv è tutta in queste parole della sua protagonista, Martina-Violetta. Prima serie tv coprodotta da Disney Channel Europa e Disney Channel America Latina, interamente girata a Buenos Aires, si sviluppa intorno a un mix di canzoni originali interpretate dal cast di teenagers (più qualche over come l’italiana Lodovica Comello, 23 anni) e alla solita storia di sempre, di stampo quasi ottocentesco. «C’è l’orfana, il padre, il sogno. Una volta li chiamavano “romanzi di formazione”: la bambina deve scoprire qual è la sua passione nel tempo in cui scopre se stessa; il padre prima la ostacola, poi accetta e condivide la passione della figlia adolescente», spiega Marina D’Amato, docente di sociologia e sociologia dell’infanzia all’Università di Roma Tre. Violetta è figlia di una logica antica ma anche di una contemporaneità che costruisce il successo sull’effimero, il canto, il ballo, l’apparire, la seduzione. Piccole lolite crescono: un modello globalizzato che funziona dall’Argentina alla Turchia. «L’immaginario collettivo offerto alle generazioni nate a partire dagli Anni Settanta, per la prima volta nella storia dell’umanità, deve essere ovunque lo stesso, in ogni angolo del globo. Prima le storie erano prevalentemente definite dal contesto; l’ultima in questo senso è stata forse Pippi Calzelunghe, la favola europea dell’emancipazione post-Sessantotto: una ragazzina che si ribella, che va contro le regole per crescere».
Violetta non si ribella e forse anche per questo piace alle mamme. «Non c’è violenza, è innocua», dicono in coro fuori dalle scuole elementari. Un immaginario che va bene a tutti, bambine e genitori, di tutte le latitudini, culture, religioni, ceti sociali. Pronto a essere venduto in pacchetti di 80 episodi, con il consueto e infinito corredo di merchandising, dai gadget ai concerti. Chi inventa a tavolino la fantasia per bambini riflette la mitica imperante fra gli adulti in quel determinato periodo storico. «Adesso siamo in un momento fluido, di valori alla deriva, di fine di grandi ideologie, di credo che non c’è più. Violetta è figlia di questo tempo, il mito non può più rappresentare la libertà o l’indipendenza, come era Pippi Calzelunghe. Non c’è più la trasgressione della regola, che da Freud in poi sappiamo essere il vero punto di svolta dell’adolescenza – l’uccisione del padre, della madre, delle regole – indispensabile per crescere», spiega la sociologa. «Il mito può essere al massimo accattivante».
L’insopportabile Puffetta. Violetta vuole il potere della fama, effimero e individualista. Ma non è l’unico frutto della fantasia costruita a tavolino dei tempi moderni. Fra le tweenagers spopola anche la protagonista del film Hunger Games (vedi sopra), moderna Amazzone che deve eliminare gli altri per esistere, eroina in un gioco fine a se stesso, senza ideali, in cui sopravvive chi vince la partita. È il potere dell’egemonia, che per la prima volta avvicina anche i piccoli telespettatori di sesso maschile a un personaggio femminile. D’altra parte, nei fumetti come nelle storie tv è ancora difficile uscire dagli stereotipi di genere, se non attraverso delle forzature violente.
Neppure nel magico e asessuato mondo dei puffi, i creativi sono riusciti a fare un’eccezione. «Tutti i puffi, e sono più di novanta, hanno una caratteristica che si evince dal nome: Pigrone, Tontolone, Quattrocchi, Inventore, Grande Puffo...», ricorda D’Amato. «Tutti eccetto una, con la vocetta insopportabile, che si chiama Puffetta. C’è un solo gnomo di sesso femminile e non ha alcuna caratteristica personale se non l’appartenenza di genere». Pippi Calzelunghe e i suoi due amici, maschio e femmina, che giocano agli stessi giochi e vivono serenamente le stesse avventure, sembrano davvero un secolo avanti a noi.