Damiano Iovino, Panorama 20/12/2013, 20 dicembre 2013
L’ICTUS ALLA SBARRA
Una telefonata ti allunga la vita» era lo slogan di uno spot degli anni 90. Il 29 aprile 2011 ce ne sono volute una trentina per soccorrere Lamberto Sposini, il conduttore colpito da un ictus in uno studio della Rai poco prima che andasse in onda lo speciale sulle nozze tra William e Kate. Per questo, ipotizzando gravi ritardi nei soccorsi e qualche importante errore di valutazione, la famiglia di Sposini ha appena avviato una causa civile contro la Rai.
Tutto comincia alle 14.05 di quel giorno. Mentre l’erede al trono d’Inghilterra aspetta all’altare Kate Middleton, Sposini si accascia davanti ai colleghi che con lui aspettano il collegamento da Londra. Ci vogliono più di 40 minuti prima che l’ambulanza varchi i cancelli della Rai, al n. 66 di via Teulada a Roma. Poi il giornalista, che il 18 febbraio compirà 62 anni, viene portato all’ospedale Santo Spirito. Ma qui il reparto di neurologia è chiuso: dal 2010. Così, quando una tac accerta un’emorragia cerebrale, viene trasferito al Policlinico Gemelli. Un intervento di tre ore gli salva la vita, ma oggi Sposini difficilmente potrà tornare alla vita che aveva prima.
Daniel Toaff, vicedirettore di Rai 1 all’epoca dei fatti, era accanto a lui quel giorno: «Con Lamberto e Mara Venier, l’altra conduttrice della Vita in diretta, stavo parlando dello speciale che doveva partire alle 14.10. All’improvviso ha come una scossa, si allontana; poi sento Mara che grida. Mi giro e vedo Lamberto a terra: rantola. Penso a un infarto, esco dalle scale antincendio e corro all’ambulatorio interno. Trovo l’infermiera, le dico di cercare subito il dottore, c’è un’urgenza».
Dicono che il medico fosse a mensa. Toaff non lo sa, ma è sicuro sia arrivato «in studio circa un quarto d’ora dopo». L’azienda afferma che il medico arrivò in pochi minuti, altri testimoni parlano di un quarto d’ora. «C’erano i monitor che segnavano il tempo» dice uno di loro, che non vuole essere citato. «Anche Lucia Annunziata, uscita dallo studio accanto, protestava per il ritardo del medico».
Quando arriva, il dottore è senza camice; poi si saprà che è un odontoiatra: nel ricorso dell’avvocato della famiglia di Sposini, Domenico d’Amati, si legge che i presenti hanno disposto Sposini su un fianco e che, quando il medico lo mette supino per visitarlo, il giornalista vomita. Intanto qualcuno aveva già chiamato il 118: è una figurante del programma, segnala «un malore».
L’operatore del 118 assegna un codice giallo (cioè poco grave) all’intervento e cerca un’ambulanza. Ma è un giorno sfortunato, è la vigilia della beatificazione di Giovanni Paolo II e le ambulanze sono attorno al Vaticano dove ci sono decine di migliaia di persone.
Solo alla settima telefonata, che arriva alle 14.32, l’operatore del 118 riesce a farsi passare il medico. Per la prima volta viene segnalata la gravità della situazione, il dottore parla di un possibile infarto, con una diagnosi quindi che si rivelerà errata: «Vi dovete sbrigare, c’è bava alla bocca, è pericolosissimo. E un’urgenza assoluta, sennò mi muore qua sotto le mani». Queste sono le parole nella trascrizione agli atti del processo: intanto dal malore sono già trascorsi 27 minuti. Il codice di allarme passa da giallo a rosso, ma l’unica ambulanza disponibile è all’ospedale Nuovo Regina, a Trastevere: sono 5 chilometri, un inferno sul lungotevere intasato dai pellegrini. Mentre in via Teulada arriva un’altra dottoressa della Rai, il 118 è tempestato di telefonate: nessuna dalla Rai, sono gli amici di Sposini che fanno chiamare anche da polizia e carabinieri. La centrale dirotta sul posto anche un’auto medica, però il traffico è un muro di gomma.
All’arrivo in via Teulada, uno dei soccorritori spiega che sono partiti in ritardo perché hanno dovuto procurarsi una barella, dato che la loro era stata spostata come letto al pronto soccorso. L’equipaggio porta Sposini al Santo Spirito: individuato il danno cerebrale, il giornalista viene trasferito al Gemelli, dove arriva il neurochirurgo Giulio Maira, richiamato a Roma mentre sta andando in auto a un convegno a Firenze. L’intervento salva la vita di Sposini, ma apre la strada a un calvario di due anni tra ospedali e trattamenti per tornare alla normalità.
Come sono stati gestiti i primi soccorsi? La gravità della situazione è stata subito compresa dai medici della Rai ed è stata segnalata tempestivamente al 118? Quanto ha influito il ritardo sugli effetti dell’ictus che lo ha colpito? A queste domande, da giovedì 19 dicembre, è chiamato a rispondere il giudice del lavoro di Roma. Sotto accusa sono i due medici che hanno soccorso Sposini per primi, il coordinatore del servizio sanitario della Rai e la stessa Rai. L’azione è stata promossa dalla figlia di Sposini, Francesca, 41 anni, e dal rappresentante legale del giornalista; si è unita loro l’ex compagna di Sposini, Sabina Donadio, che agisce per conto della figlia Matilde avuta dal conduttore nel 2002.
L’avvocato d’Amati fonda la causa sul dovere del datore di lavoro di garantire al lavoratore soccorso e assistenza tempestivi, e «sull’esistenza di una collaborazione coordinata e continuativa» fra Sposini e la Rai, «che di fatto lo rende equiparabile a un dipendente». La Rai invece nega l’esistenza di un rapporto di dipendenza, definisce «corretto» il comportamento dei medici e, sulla base di una perizia medico-legale di parte, afferma che in incidenti come quello di Sposini è sconsigliato l’intervento chirurgico prima di quattro ore. Di diverso parere il medico legale della famiglia e il neurochirurgo Maira, che ha sempre sostenuto il contrario.
Intanto Sposini oggi vive in una casa alle porte di Milano, dove la figlia Matilde può andare a trovarlo. Panorama ha visto una sua fotografia recente: guarda verso la macchina fotografica e sembra chiedersi: «Perché proprio a me?».