Tommaso Cerno, L’Espresso 20/12/2013, 20 dicembre 2013
TUTTO CASERMA E POMPEI
Il suo curriculum sta chiuso in un caveaux. Una stanza in via Anicia 24, a Roma, quattro mura nascoste nella capitale barocca, che parlano di lui più delle stelline da generale che porta sulla divisa di carabiniere. Là dentro, in quella che sovrintendenti e storici dell’arte hanno ribattezzato la «stanza delle meraviglie» è custodito il tesoro d’Italia: migliaia di opere strappate ai ladri, ai ricettatori, al mercato nero. Quadri, vasi antichi, capitelli, tele, anfore, statue, bronzi. È il bottino di Giovanni Nistri, l’uomo che ha guidato fino al 2010 il cosiddetto "Tpc", il nucleo dell’Arma specilizzato nella tutela dei beni culturali. E che fra pochi giorni cambierà lavoro. Carabiniere sì, ma a Pompei. Scelto come super-direttore del ministero dei Beni culturali e spedito sotto il Vesuvio con una mission impossible: salvare gli scavi più famosi del mondo da incuria, tangenti, sprechi. E soprattutto dalle mani della Camorra.
Palazzo Chigi l’ha spedito laggiù, scansando nomi del calibro di Raffaele Cantone, magistrato antimafia, Umberto Postiglione, prefetto, Francesco Cirillo, vicecapo della polizia, proprio quando dall’Unione europea pioveranno 105 milioni di euro per mettere in sicurezza il sito. Denaro che fa gola a parecchi, alle cosche, ai soliti noti, a chi in questi anni ha sprecato soldi pubblici mentre Pompei crollava. E lui, 58 anni a febbraio, due figli, romano ma interista, gioviale ma sempre zitto, ha già fatto un primo, piccolo miracolo. Quello di trovare davvero una larga intesa nel governo Letta-Alfano. Dal premier al suo vice, dal neosegretario del Pd, Matteo Renzi, al ministro dei Beni culturali Massimo Bray, fino all’ex Sandro Bondi, è un coro di "sì". «Il salvatore di Pompei», fa uno. «L’uomo giusto», ribatte un altro. Tanto che i colleghi dell’Arma giurano di averlo visto, lui che è tutto ragione e regolamenti, fare le corna in ufficio, come s’usa fare proprio sotto il vulcano partenopeo.
Con questa rotta, infatti, Nistri lascerà il comando della Scuola Ufficiali Carabinieri, generale alla guida di uno strano esercito con i riflettori già puntati addosso. Venti uomini, fra esperti, archeologi, funzionari, ispettori. Una squadra ridotta all’osso, che lui dovrà trasformare nella task force salva- Pompei. Con uno stipendio di circa 100 mila euro lordi l’anno. E con l’aiuto di un vice, quel Fabrizio Magani, direttore generale dei Beni culturali d’Abruzzo, responsabile del progetto L’Aquila, passato in extremis sul diplomatico Giuseppe Scognamiglio e sull’archeologo Giuliano Volpe, ma non senza critiche. Quelle, interne al ministero, ma anche al sindacato, di chi avrebbe visto meglio un archeologo al fianco del generale più appassionato d’arte d’Italia. Già. Quando nell’Arma le stelline cominciarono a salire, e qualcuno gli chiese cosa mai avrebbe voluto fare nella vita, la risposta fu secca: «Cacciare i ladri di opere d’arte». E così fu. S’è messo ad arrestare i moderni Lupin, a ritrovare i tesori nascosti negli scantinati dei ricettatori, ad acciuffare i tombaroli. Gente che compra a pochi euro i ruderi antichi che i contadini ritrovavano nei campi, e poi li rivende a cifre a cinque-sei zeri a collezionisti e musei. Proprio come successe a Sant’Agata dei Goti, dove un bracciante fu pagato con un maialino e poche lire per il vaso di Asteas, del IV secolo avanti Cristo, poi finito al Getty Museum per 300 mila dollari. O ancora per le migliaia di opere d’arte sparite dall’Italia. Fra Svizzera e Stati Uniti. Quelle che gli hanno tolto il sonno per anni, ma gli hanno fatto guadagnare l’epiteto di «antifurto d’Italia» e coniare un suo motto: «Il recupero più bello è quello che deve ancora avvenire».
Il suo studio matto e disperatissimo è passato, certo, attraverso i codici e le leggi, come si conviene a un carabiniere. Tanto che, la frase che ripete più spesso fuori dalle caserme, è: «Io parlo soltanto con il permesso del Comando generale». Eppure nella sua valigetta, sempre, ci sono almeno due libri. Un saggio e un romanzo. Pallino prima dell’allievo ufficiale, poi del tenente e così via, lungo i gradi che salivano, fino a riempire la sua libreria da generale. Libri d’arte, questo sì, ma anche un certo pallino per i romanzi. Nella sua personale classifica, ci mette sempre Piero Chiara. Tanto che, come Benigni con Dante, il generale di Pompei si diletta a recitare a memoria lo scrittore lombardo, sciorinando pagine intere del suo "Vedrò Singapore" come fossero filastrocche. Romanzo, fra l’altro, che parla di carabinieri. Proprio come li dipinge il suo pittore preferito, Giovanni Fattori, il macchiaiolo toscano che ritrae soldati e compagni d’Arma d’altri tempi.
Pure Nistri in Toscana è di casa. Lì è stato prima comandante provinciale, poi di Legione. E ripetono tutti che proprio per questo il suo nome abbia convinto tanto il premier Letta, pisano, quanto il sindaco-rottamatore di Firenze. «Ma non per amicizie da salotto», avvertono sull’Arno. Perché, dopo le opere d’arte recuperate, Nistri ha un secondo record. Non ha mai partecipato a una cena. Nessun rapporto con i salotti. E a chi si domanda se uno esperto d’opere d’arte sia anche capace di combattere la mafia, che a Pompei non manca, ribattono gli ex colleghi fiorentini. Fu lui a guidare il primo sequestro antimafia in Toscana, nel 2003. Scovarono un’azienda agricola sulle colline fiesolane, tre imprese edili e una società commerciale, 148 terreni, 20 immobili e 11 conti correnti che foraggiavano Cosa Nostra. E poi titoli, depositi, conti correnti. Per un valore di 30 milioni di euro. Poi il presagio. La notte della Concordia, quel 13 gennaio 2012, quando capitan Schettino portò la nave sullo scoglio del Giglio e le indagini furono affidate ai suoi carabinieri. Un simbolo dell’Italia che affonda, pensò come molti quella notte. Un po’ come Pompei, gli ripetono oggi gli ex colleghi. «Genera’, senta a noi... è fatto apposta per Pompei».