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 2013  dicembre 19 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL SERIAL KILLER EVASO DA GENOVA. UN ALTRO EVASO A PESCARA


CORRIERE.IT
Era in carcere a Pescara per scontare una pena definitiva per evasione, sabato mattina è uscito beneficiando di un permesso orario e la sera non è rientrato. L’evaso è un collaboratore di giustizia, Pietro Esposito, 47 anni, che è ricercato da domenica, quando dal carcere di Pescara è partito l’allarme per il mancato rientro del detenuto.
FINE PENA GIUGNO 2014 - Esposito avrebbe finito di scontare la pena a giugno 2014. L’uomo è stato condannato per l’omicidio di Gelsomina Verde, 22enne, avvenuto nel 2004 nell’ambito della faida di Scampia. Ricerche in corso da parte delle Forze dell’ordine, assicurano dalla questura.

REPUBBLICA.IT
PESCARA - Pietro Esposito, 47 anni, pentito di camorra accusato di due omicidi, non è rientrato da un permesso premio di 8 ore al carcere di Pescara. Il caso segue di 24 ore quello di Bartolomeo Gagliano, ora ricercato in tutta Italia.
C’è quindi un altro killer mafioso che è evaso dopo un permesso premio, questa volta dal penitenziario di Pescara. Esposito è finito in carcere per essere stato complice di due omicidi: l’ultimo è quello di Gelsomina Verde - nel 2004 - una giovane di 23 anni torturata e uccisa nella faida di Scampia. Per quel delitto aveva appena finito di scontare una pena a 6 anni di reclusione. Ora era in carcere per scontare un’altra di una lunga serie di condanne, questa volta per evasione. E proprio a lui il giudice di sorveglianza di Pescara Maria Rosaria Parruti aveva concesso un permesso premio di 8 ore il 14 dicembre scorso. Quando non è rientrato è scattato l’allarme. Ora la polizia penitenziaria e la squadra mobile di Pescara stanno battendo a tappeto la città. Ed è scattata la caccia all’uomo..

ULTIME SU SEBASTIANO GAGLIANO
Continuano le ricerche e i posti di blocco a Genova e in tutta la Liguria (specialmente sull’Aurelia e ai caselli autostradali), ma non ci sono al momento tracce di Bartolomeo Gagliano, il serial killer che due giorni fa non è rientrato al carcere di Marassi da un permesso premio di due giorni a casa della madre a Savona.

La fuga inizia dal casello di Genova-ovest - Una telecamera del casello di Genova Ovest mostra la Panda Van verde chiaro targata CV848AW sottratta al panettiere savonese mentre imbocca l’autostrada, a poche centinaia di metri dal punto in cui - in via de Marini, ai piedi della Lanterna - l’uomo è stato fatto scendere dopo che Gagliano lo aveva sequestrato a Savona e, sotto la minaccia di una pistola, si era fatto portare a Genova.

Decine di segnalazioni: "Venite a prenderlo: è qui nel mercato" - Mentre si sta estendendo la psicosi - decine e decine le telefonate di segnalazioni che stanno giungendo alla Squadra Mobile di Genova, per indicare possibili spostamenti dell’uomo - le ricerche sono state estese anche all’estero: Gagliano potrebbe infatti aver raggiunto Francia o Spagna. Una segnalazione è arrivata nella notte da Lavagna, nei pressi dell’ospedale ma i carabinieri del Nucleo investigativo hanno visionato, insieme ad agenti della polizia penitenziaria, le immagini delle telecamere a circuito chiuso e i riscontri somatici escluderebbero che si tratti di Gagliano.

Una segnalazione era arrivata anche da Recco. Altre telefonate hanno parlato di un uomo somigliante al fuggitivo sia nel centro di Genova, nell’affollato Mercato Orientale, che a Firenze, Pisa, Savona. Un automobilista ha chiamato la Mobile genovese per indicare di aver visto un’auto simile a quella su cui Gagliano è fuggito sulla A15 della Cisa, ieri pomeriggio.

Il fratello: "Era giù perché senza permesso a Natale" - Intanto il fratello, Natale Gagliano, intervistato dall’emittente ligure Primocanale, ha rivelato che il congiunto - che proprio lui avrebbe dovuto riaccompagnare in carcere a Genova - era contrariato per non aver avuto conferma del permesso già annunciato per il 24 e 25 dicembre. "Io sono andato a prenderlo a Genova domenica mattina - ha raccontato Natale Gagliano - e dovevo riportarlo martedì, ma poi alle 7 ha chiamato mia madre e lui non era più in casa. Quello che è successo l’ho saputo tramite la stampa. Non sapevo avesse sequestrato una persona per farsi portare a Genova".

"E’ meglio se ti costituisci" - "Era tranquillo come un papa, aveva quasi finito di scontare la pena", continua il fratello. "E’ stato definito serial killer, ma non esiste, è una cosa inumana, ci sono dottori specialisti che l’hanno seguito. Se era a posto perché non dargli i permessi". Per concludere, Natale Gagliano lancia l’appello: "Se mi stesse ascoltando gli direi di costituirsi, di tornare a casa. Non fare cavolate - ripete - ma soprattutto, non fare male alle persone".

Un appello è stato lanciato in queste ore anche dal legale dell’uomo, Mario Iavicoli. "Bartolomeo, se cambi idea, chiamami. Sono a tua disposizione e a disposizione della tua famiglia". E’ l’appello lanciato a Bartolomeo Gagliano dall’avvocato penalista genovese, suo difensore dal 2011. Iavicoli ha chiesto agli organi di stampa di diffondere questo suo appello sperando che Gagliano lo contatti al più presto.

Il procuratore: preoccupazione comprensibile - "La preoccupazione dell’opinione pubblica è comprensibile, solo che in ogni caso bisogna tenere presente anche il volume, la quantità di questo tipo di provvedimenti, e non soffermarsi soltanto sul singolo provvedimento che ha avuto un certo tipo di esito rispetto agli altri, molti di più, che hanno esiti, risultati molto diversi. Non è l’eccezione che deve focalizzare, in via generale, l’interesse". Lo ha detto il procuratore di Genova, Michele Di Lecce.

Il Guardasigilli riferirà in Parlamento - Ieri il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ha parlato di un "fatto gravissimo", su cui "è necessario fare chiarezza" per non mettere in discussione quanto si sta fecendo per rendere più umane le condizioni di vita nelle carceri. Sulla vicenda, il ministro Cancellieri riferirà domani in aula.

Il pm: "In carcere il riferimento solo alla pena che sta espiando" - Quanto alla questione se nel carcere di Marassi fosse conosciuto l’intero curriculum di Gagliano e non soltanto la parte relativa ai reati contro il patrimonio per cui stava scontando la pena, Di Lecce ha spiegato: "Evidentemente, quando un soggetto è in espiazione di una pena, il riferimento è al titolo per il quale il soggetto sta espiando. In questo caso è chiaro che il soggetto stava espiando una pena diversa da quelle che, peraltro in misura molto limitata a causa delle sue condizioni mentali, gli erano state date in passato. Nell’immediato certamente era presente soltanto il titolo di carcerazione relativo ad altri fatti. Il curriculum ovviamente esiste".

"Permesso legittimo" - Il permesso a Bartolomeo Gagliano "è stato rilasciato su basi legittime, dopo un lungo studio delle relazioni che riportavano da tempo una compensazione del disturbo psichiatrico, lucidità, capacità di collaborare, tranquillità e nessun rilievo psicopatologico". Lo ha detto il giudice del tribunale di sorveglianza Daniela Verrina, che ha firmato il provvedimento. Il primo permesso premio orario concesso a Bartolomeo Gagliano "è stato firmato nell’agosto di quest’anno. Si trattava di un permesso premio orario subordinato all’accompagnamento da parte del cappellano del carcere".

C’era stato un altro permesso invece, concesso a maggio, ed era un permesso per necessità per seguire la madre anziana. L’aggancio con il dipartimento di salute mentale - oltre al buon esito del primo permesso - con lo studio delle relazioni medico-psichiatriche, ha portato al secondo permesso in regime di detenzione domiciliare con l’accompagnamento del fratello in tutti gli spostamenti. Entrambi i permessi premio prevedevano un appuntamento prefissato al dipartimento di salute mentale di Savona.

Tribunale di Sorveglianza: "Il caso Gagliano uno dei più studiati" - "E’ normale, a fine pena, aiutare i detenuti a reinserirsi nella società - ha detto il presidente del tribunale di Sorveglianza Giorgio Ricci -, riavvicinarli al territorio e ai servizi che dovrebbero averlo in carico quando finisce la pena. Ed è opportuno che vi si avvicini gradualmente. Non possiamo farli stare in carcere fino all’ultimo giorno e poi buttarli per la strada". Il ’caso’ di Gagliano "è stato uno dei più studiati in quest’ufficio - ha concluso Verrina - e alcune delle istanze del detenuto vennero rigettate per le gravi difficoltà che allora palesava".

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"Non aveva dato segnali di aggressività" - Nella casa circondariale di Marassi Gagliano era detenuto in una cella singola al secondo piano, sezione sesta del Marassi, un’area in regime aperto in cui sono reclusi soggetti classificati come "particolari" controllati da agenti esperti. In buone condizioni di allenamento fisico, non aveva dato segnali di aggressività con gli altri detenuti e gli agenti di custodia.

"Sociopatitoco, narciso, disprezza le leggi" - Secondo le perizie compiute sull’imputato, Bartolomeo Gagliano è sociopatico, narciso, convinto di essere ’qualcuno’. Il disturbo antisociale di personalità è caratterizzato dal disprezzo patologico per regole e leggi della società, da un comportamento impulsivo, dall’incapacità di assumersi la responsabilità e dall’indifferenza nei confronti dei sentimenti degli altri. A questo si associa la mancanza del senso di colpa o del rimorso.

La paura delle prostitute -Da Genova a La Spezia è terrore tra le prostitute dopo l’evasione del serial killer Bartolomeo Gagliano, già responsabile
di tre assassinii e di un tentato omicidio tra ’lucciole’ e transessuali. Presidi a ’luci rosse’ la notte scorsa sono rimasti a Chiavari, a Lavagna, e in alcuni quartieri di Genova, oltre a quelle che lavorano nei caruggi del capoluogo ligure. La voce della fuga di Gagliano in poche ore ha fatto il giro nell’ambiente e molte prostitute hanno iniziato a diffidare dall’accettare incontri con clienti non conosciuti. Una sorta di psicosi che si sta diffondendo anche nelle regioni limitrofe.


PEZZO DI BIANCONI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
È disarmante l’affermazione del direttore del carcere di Savona, dal quale il serial killer Bartolomeo Gagliano è evaso senza alcuno sforzo dalla porta principale, grazie a un permesso-premio: «Non sapevamo che avesse quei precedenti, per noi era un rapinatore». Invece nell’ormai lontano 1981, a soli 23 anni, aveva ucciso una prostituta, e dopo otto anni di manicomio criminale scappò e ammazzò un transessuale. Ripreso, fu giudicato incapace di intendere e di volere; condizione che gli evitò altre condanne per lesioni, aggressioni e una sfilza di ulteriori reati. Questo risulta dalle notizie circolate dopo la nuova fuga, ma il responsabile del luogo di detenzione di Gagliano sostiene che ne era all’oscuro: «L’abbiamo valutato in base al fascicolo di reato che risale al 2006 e lo indica come un rapinatore». Quanto alla presunta pazzia, «era diventato una persona tranquilla, seguito da un pool di esperti; credevamo di poterci fidare».
Buona condotta dall’ultimo arresto, fine pena nel 2015, dunque per la burocrazia tutto era a posto. Del resto l’evaso aveva già usufruito di un precedente permesso, dal quale era puntualmente rientrato. Tutto in regola, insomma. Forse. Ma, se davvero le cose stanno così, che regola è quella secondo cui il capo di una prigione ordinaria non conosce i precedenti di un detenuto scontati in un ospedale psichiatrico giudiziario? E che informazioni ha avuto il magistrato di sorveglianza che ha firmato il provvedimento di uscita di un assassino (e pare che nel conto ci siano pure un paio di tentati omicidi)? Ora ci saranno le dovute inchieste per accertare le responsabilità, e magari la rapida resipiscenza del fuggitivo di cui si mostra convinto il direttore del carcere — in contrasto con l’allarme sulla sua pericolosità lanciato dagli investigatori — eviterà altri guai. Speriamo. Ma quel che è accaduto, e la candida (e probabilmente improvvida) ammissione di ignoranza del direttore, non lascia tranquilli. Anzi, lascia allibiti.
Anche perché tutto s’è consumato mentre il governo varava un decreto per contrastare il sovraffollamento delle galere destinato ad allargare le maglie dei benefici ai reclusi. Perché di questo necessita la vivibilità dei penitenziari che scoppiano, come ricordato ieri dal sindacato degli agenti di custodia: chiedono che l’evasione non metta in discussione i permessi-premio, istituto utile di cui le pochissime violazioni rientrano nella normale fisiologia. Ma quando derivano da disfunzioni come quella svelata dalla fuga del serial killer, è difficile che non ci siano conseguenze. A danno di tutti, purtroppo.
Giovanni Bianconi

DELITTO DI GIUSEPPINA VERDE
CRONACA DI REPUBBLICA 22/11/2004
NAPOLI - Gelsomina Verde è stata ’punita’ perché frequentava un uomo che apparteneva ad uno dei due clan in guerra a Napoli. Aveva 22 anni: l’hanno trovata ieri notte a Secondigliano, carbonizzata nella sua auto con un colpo di pistola in testa.
E’ la vittima numero 114 della camorra a Napoli dall’inizio dell’anno. Negli ultimi due giorni sono state uccise sei persone nella provincia campana.
La guerra che si combatte a Secondigliano in queste settimane, è scoppiata tra due diverse fazioni che prima facevano parte di un unico clan specializzato nello spaccio della droga. Da una parte alcuni ex fedelissimi di Paolo Di Lauro, 53 anni, detto Ciruzzo ’o milionario’, latitante da due anni, ritenuto il capo incontrastato dell’organizzazione dedita allo spaccio di droga, deciso a mettersi in proprio. Dall’altra un gruppo di ’scissionisti’ che vuole intercettare il cospicuo flusso di denaro raccolto ogni giorno dai pusher che spacciano lungo le strade di Scampia.

WIKIPEDIA SU GELSOMINA VERDE
Gelsomina Verde (Napoli, 1982 – Napoli, 21 novembre 2004) fu una vittima della camorra, torturata e uccisa a 22 anni nel pieno della cosiddetta faida di Scampia; il corpo venne poi dato alle fiamme all’interno della sua auto. Era il 21 novembre 2004[1].

Il suo nome ha designato il processo svolto contro alcuni esponenti del clan Di Lauro.

Si è ipotizzato che il cadavere della giovane donna, uccisa con tre colpi di pistola alla nuca dopo ore di torture, sia stato bruciato per nascondere agli occhi della gente le tracce dello scempio inflittole. Infatti, l’omicidio di questa giovane, colpì notevolmente l’opinione pubblica per le sue modalità efferate e per il fatto che Gelsomina era del tutto estranea alle logiche dei clan: operaia in una fabbrica di pelletteria, era solo stata legata affettivamente ad uno degli scissionisti, e la relazione si era interrotta alcuni mesi prima dell’assassinio della ragazza.
Il processo

La famiglia di Gelsomina Verde si è costituita parte civile nel procedimento penale che si è concluso il 4 aprile 2006[2] con la condanna all’ergastolo di Ugo De Lucia[3][4] (classe 1978, considerato uno dei più efferati sicari del clan Di Lauro) ritenuto l’esecutore materiale e la condanna ad anni sette e mesi quattro di reclusione del collaboratore di giustizia Pietro Esposito.

Si legge nella Sentenza depositata il 3 luglio 2006:
« Si badi, ed è il caso di sottolinearlo con forza che, a fronte di decine e decine di morti, attentati, danneggiamenti estorsivi e paraestorsivi, lutti che hanno coinvolto persone innocenti che non avevano nulla a che fare con la faida in corso, ma che hanno avuto la sventura di trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato, finanche anziani e donne trucidate impietosamente, ebbene di fronte a tale scempio, fatto di ingenerato ed assurdo terrore, non vi è stata alcuna costituzione di parte civile, ad eccezione dei genitori di Gelsomina Verde.

In altre parole, pur non indulgendo in considerazioni sociologiche, o peggio, moraleggianti (omissis) non può non rilevarsi che nessun cittadino del quartiere di Secondigliano e dintorni, nel corso delle indagini, e prima ancora che esplodesse la cruenta faida di Scampia, abbia invocato, con denuncia o altro modo possibile, l’aiuto e l’intervento dell’autorità. Sembra, e si vuole rimarcarlo senza ombra di enfasi, che ad alcuno dei superstiti e parenti delle vittime, specie se ancora residenti a Secondigliano, è mai interessato chiedere ed ottenere giustizia, instaurare un minimo, anche informale, livello di collaborazione con le forze dell’ordine, tentare, in vari modi, di conoscere i possibili responsabili, ma è evidente che solo arroccandosi tutti dietro un muro di impenetrabile silenzio, hanno visto garantita la propria vita »

Il 13 dicembre 2008, Cosimo Di Lauro, 35 anni, è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Gelsomina Verde, perché ritenuto mandante dell’omicidio[5][6].

L’11 marzo 2010, lo stesso Di Lauro, pur non ammettendo la responsabilità del delitto, ha risarcito la famiglia di Gelsomina Verde con la somma di trecentomila Euro, importo che aveva incassato da un premio assicurativo per un incidente occorsogli quando era adolescente. In seguito al risarcimento, la famiglia della vittima ha rinunciato a costitursi parte civile.[7]

Nel dicembre del 2010, Cosimo Di Lauro è stato assolto dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio.[8]

PINO BRUNO (REPUBBLICA.IT)
"FATTI di questo genere non possono e non devono accadere", tuona la ministra della Giustizia, Annamaria Cancellieri, a proposito dell’evasione di Bartolomeo Gagliano dalla Casa circondariale di Genova-Marassi. È più probabile il contrario, purtroppo. Questi fatti continueranno ad accadere. Il problema non è il singolo episodio ma l’approccio complessivo.
Cioè i documenti, i fascicoli, i faldoni, le carpette. Una montagna di carta, un mix di burocrazia e inefficienza analogica che soffoca la Giustizia. La mancanza di una macchina organizzativa e amministrativa moderna, snella e "in rete" non è certo l’unica causa del collasso. Nel caso in questione, comunque, se per il detenuto Bartolomeo Gagliano fosse esistito il Fascicolo Elettronico, forse sarebbe andata diversamente. Il direttore del carcere e il magistrato di sorveglianza avrebbero potuto consultarlo online, per decidere diversamente.
Già, perché il direttore del carcere di Marassi, Salvatore Mazzeo, ha dichiarato al Secolo XIX: "... sapevamo dei precedenti per omicidio di Bartolomeo Gagliano ma non conosciamo l’esatto contenuto del fascicolo relativo alle sue precedenti carcerazioni, quello per capirci rimasto all’ospedale giudiziario... No, la sua pericolosità, non era negli atti che sono a nostra disposizione. Non sapevamo che fosse pericoloso, questo no. Ripeto, per noi era un detenuto con un fine pena di un anno". Esiste o no una Banca Dati del Ministero della Giustizia con le informazioni aggiornate sui singoli detenuti? Nel sito ufficiale del Ministero c’è una pagina dedicata all’Anagrafe detenuti:
si tratta del "registro delle persone detenute negli istituti penitenziari italiani. È una delle applicazioni del sistema informativo SIAP AFIS che consente la gestione automatizzata sul territorio nazionale di tutte le informazioni relative alle persone in esecuzione penale. È uno strumento essenziale di conoscenza dei soggetti affidati all’Amministrazione penitenziaria ed assicura un importante servizio di informazione agli uffici giudiziari ed alle Forze di Polizia, sia per esigenze processuali sia per esigenze investigative o di polizia giudiziaria".
Stando a queste informazioni del sito del Ministero, lo strumento ci sarebbe. Bisognerebbe capire se funziona e, in caso affermativo, se è stato consultato. Qualcuno dirà che, con le carceri che scoppiano, quello dell’informatizzazione capillare è l’ultimo dei problemi. Forse. Intanto ci saremmo risparmiati quest’ennesima dimostrazione di presappochismo e inefficienza.
E comunque anche quando gli strumenti sono disponibili e ci sono reti telematiche e computer, la differenza la fanno gli uomini. Come interpretare altrimenti la notizia pubblicata oggi dal Corriere del Mezzogiorno? Riguarda la Corte di Appello di Bari. Scrive il quotidiano: "ci sono ancora giudici che si rifiutano di usare il computer e depositano in cancelleria le minute delle sentenze, ossia manoscritti che hanno bisogno di essere ricopiati in forma originale per avere valore giuridico. Ma in Corte d’Appello non ci sono nemmeno i dattilografi. Quindi i provvedimenti sono di fatto bloccati: alcuni risalgono ad aprile del 2011, ma ce ne sono altri ancora più datati".