Angelo De Mattia, l’Unità 19/12/2013, 19 dicembre 2013
CHI CONTROLLA UNA POTENZA COME BLACKROCK?
Verificheremo gli sviluppi della vicenda BlackRock e, in particolare, se le indagini della Consob approderanno a un procedimento sanzionatorio delle errate comunicazioni al mercato o se, accanto a questa eventuale iniziativa, la Commissione integrerà l’esposto che ha già inoltrato alla Procura di Roma sulle modalità del collocamento del convertendo Telecom con una sezione dedicata alle vicende del grande fondo Usa. Certo, il fatto che addirittura sia stato evocato, da alcuni, pur senza adeguate dimostrazioni, un disegno avvolgente tutta la vicenda Telco-Telecom di cui sarebbe stato parte anche l’emendamento governativo, poi ritirato, sull’aumento del numero dei componenti del collegio della Consob, da tre a cinque, impone ancor più che su questo caso sia fatta luce piena e che tutti i soggetti pubblici facciano fino in fondo la propria parte.
Certo è singolare che un organismo di amministrazione del risparmio qual è BlackRock, la prima società della specie a livello mondiale, con una gestione di circa 4 mila miliardi – una potenza in termini economici maggiore di tanti Paesi, se si tiene conto che la massa amministrata è pari a oltre due volte il Pil italiano – incorra, nei rapporti con imprese del nostro Paese, in «errori di calcolo» delle proprie partecipazioni che non commetterebbe neppure la più piccola banca monocellulare: è accaduto nel 2011 per la interessenza in Unicredit, si è ripetuto, con una serie di contraddizioni, per la partecipazione in Telecom. Unito ad altri episodi verificatisi in Italia (si pensi al caso Saipem), è sorto il dubbio che l’ultimo errore di calcolo potesse integrare una manipolazione informativa: naturalmente, saranno le Autorità a pronunciarsi sulla ricorrenza di tale ipotesi. Questa vicenda ha comunque riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica il ruolo di organismi di questo genere, il «peso» che normalmente – senza necessariamente pensare a comportamenti irregolari o illegali – sono suscettibili di esercitare nell’amministrazione di enormi quantità di risparmi che devono essere valorizzati ma che possono comportare anche situazioni di possesso delle azioni temporalmente limitate dei soggetti partecipati, con la finalità di una tutela dinamica dei fondi loro affidati dai risparmiatori. In molti casi organismi della specie, assumono funzioni ancor più direttamente speculative. Quanto al loro assetto proprietario, come per le società di rating, non è mai fugato il rischio di conflitti di interesse che dovrebbe essere oggetto sempre di attento monitoraggio. Naturalmente, sarebbe fuori luogo una pregiudiziale avversione al ruolo di questi fondi che, tra l’altro vengono costituiti nell’ambito della vasta categoria degli investitori istituzionali e beneficiano, nel paese di origine, di particolari trattamenti fiscali: come nel caso di BlackRock, alcuni di essi ipotizzano o effettuano investimenti in Italia per diversi miliardi, pur con la caratteristica della non garantita stabilità e spesso non con l’intento di esprimere primarie responsabilità di gestione.
Il debole capitalismo nostrano tuttora manca di una struttura adeguata di investitori istituzionali, in particolare di adeguati fondi pensione, e il problema si avverte quando, per esempio, si affronta il tema della proprietà delle banche, della mobilizzazione dei diritti proprietari, delle ricapitalizzazioni. La globalizzazione finanziaria e dei mercati, la potente finanziarizzazione hanno portato alle dimensioni enormi di diversi organismi di questo tipo, sollevando problemi di democrazia economica all’interno degli stessi fondi in ordine a chi decide e a come decide. Sono soggetti suscettibili di rischi sistemici e, pertanto, secondo gli indirizzi promossi dal Financial Stability Board andrebbero assoggettati nel paese di origine e di primo insediamento a normative e controlli peculiari, considerati, appunto, i problemi di stabilità aziendale e di sistema che essi possono provocare. Il tema della normativa e dei controlli, in specie quando si tratta di soggetti globali, è sempre attuale. L’Unione europea dovrebbe essere più attenta e sollecita su questo argomento e negoziare, in campo internazionale, adeguati raccordi, sia sul versante delle regole, della trasparenza e della correttezza, sia su quello dei controlli e fiscale. Non ci si può fermare alle affermazioni che sollevano problemi di democrazia, di confronto con gli Stati, del ruolo che questi fondi possono avere nelle scelte di politica economica e finanziaria e poi rimanere inerti sul piano della regolamentazione, da concertare, invece, con i paesi competenti ratione loci.