Dagospia, 19 dicembre 2013
1 - DAGOREPORT
Pagina 96 del rapporto del centro Studi Confindustria, presentato stamane da Giorgio Squinzi. Titolo di un capitoletto seminascosto "Costoso il capitalismo pubblico" dai contenuti sorprendenti. A fine 2012, risultava che la pubblica amministrazione, nelle sue diverse articolazioni istituzionali, possedeva partecipazioni in ben 7.712 società pubbliche o miste pubblico-private.
Sangalli Squinzi e MogliSangalli Squinzi e Mogli
Quest’anno poco è cambiato. Anzi la tendenza dello Stato padrone si è sempre più allargata e come dimostra il caso Acea o quello dell’azienda di trasporto genovese basta un accenno alla privatizzazione che si alzano le barricate.
Secondo la banca dati Consoc del ministero per la Pubblica Amministrazione risulta che il mantenimento di questi organismi partecipati costa alla PA, e quindi a noi attraverso tasse e balzelli vari, circa 22,7 miliardi di euro l’anno, ben l’1,4% del Pil.
Mr. spending review, Cottarelli, dunque, dovrebbe studiarsi per bene questa banca dati. Si tratta, infatti, di cifre consistenti per società, enti, consorzi e quant’altro nati, a livello sopratutto locale, per aggirare i vincoli di finanza pubblica, in particolare il patto di stabilità che grava sui Comuni, ma soprattutto - dice Confindustria - come strumento per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro.
Che fare di fronte ad un tale groviglio di interessi e convenienze che se approfondito un po’ farebbe impallidire le inchieste sui Batman regionali di questi ultimi tempi? Sarebbe prioritario dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interesse generale.
La metà delle partecipate, infatti, cioè oltre 3500 società, non svolge attività di interesse generale, pur assorbendo circa 11 miliardi di costi pubblici l’anno. Inoltre, oltre un terzo delle partecipate ha registrato perdite nel 2012 con un onere pubblico di circa 4 miliardi. Il 7 per cento di questi organismi ha presentato bilanci in rosso negli ultimi tre anni (ma per molti di questi non c’è mai stato un bilancio positivo). Chiosa Confindustria: "Sono numeri straordinari che il Paese non può permettersi".
2 - TAGLI ALLA SPESA PER FARE COSA? LA DELUSIONE DI COTTARELLI
Antonella Baccaro per il "Corriere della Sera"
C’è chi ora ricorda a Carlo Cottarelli, terzo commissario alla spending review , le parole del ministro dell’Economia (e amico), Fabrizio Saccomanni quando, due settimane fa, la Commissione bilancio di Montecitorio dette via libera alla risoluzione sul Fondo per ridurre il cuneo fiscale che avrebbe dovuto accogliere automaticamente le maggiori entrate provenienti dal taglio delle spese, rispetto a quelle destinate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.
«È troppo presto per dire se le risorse individuate dalla spending review possano essere usate per ridurre il cuneo fiscale...» commentò allora con la consueta prudenza Saccomanni. Che ne sapeva di più. Perché in effetti la formulazione del subemendamento, che ha modificato all’ultimo istante la lettera della legge di Stabilità, provocando lo scontento delle imprese, recita che al Fondo per il taglio del cuneo fiscale è destinato l’ammontare dei risparmi derivanti dalla razionalizzazione della spesa pubblica, al netto della quota già considerata nella Stabilità, ma soprattutto «delle risorse da destinare a programmi finalizzati al conseguimento di esigenze prioritarie di equità sociale e di impegni inderogabili».
Ma quali sono queste «esigenze prioritarie di equità sociale» e questi «impegni inderogabili»? Dicono che a Carlo Cottarelli, che di bilanci pubblici ne ha sfogliati abbastanza per leggere tra le righe, quella formula non sia piaciuta affatto.
Dicono che l’abbia tradotta automaticamente in «spesa corrente» e che ne abbia tratto l’amara conclusione che tagliare 32 miliardi di euro in tre anni, coordinando 25 gruppi di lavoro e assumendo l’impopolare veste del «signor no», sia un compito troppo gravoso se poi i tagli della spesa corrente finiscono per finanziare altra spesa corrente. Perché nessuno finora ha negato che tra le esigenze prioritarie di equità sociale potrebbe esserci, ad esempio, quella di stanziare altri fondi per la cassa integrazione in deroga. E che certo non si possono lasciare i militari italiani in missione senza un euro, e quello di sicuro è un «impegno inderogabile».
Del resto Saccomanni, si spiega in via XX Settembre, non ha dubbi sul fatto che vada ridotta la pressione fiscale su imprese e lavoro ma ha anche la consapevolezza che per il 2014 questo intervento, sia pure molto contenuto, rappresenta un’inversione di tendenza. E mentre si vorrebbero ampliare le risorse destinate al taglio del cuneo, tuttavia «siamo in un sentiero stretto» in cui il governo si è posto tre obiettivi: rilanciare la crescita e rispettare il criterio del deficit e quello del debito.
L’emendamento così formulato, si spiega, consentirebbe a chi governa «un’opportuna flessibilità nella gestione del bilancio», insomma di «non impiccarsi a un unico obiettivo». Peccato che Cottarelli sin dal primo momento abbia voluto legare la spending review a un obiettivo chiaro come il taglio delle tasse, proprio per renderlo popolare. «Certo, il suo lavoro sarebbe stato più semplice - si osserva - ma non possiamo consentirci alcun automatismo nella destinazione delle risorse. Il commissario ne è consapevole».
3. PARTITE DI GIRO
la battuta è di Carnevale Maffé su twitter
@carloalberto: Cottarelli ha finalmente capito che i risparmi derivanti della spending review saranno usati "to review (current) spending". Partite di giro