Federico Rampini, la Repubblica 19/12/2013, 19 dicembre 2013
GIOCHI DI GUERRA – QUELLA CAMPIONESSA DI TENNIS DIVENTATA UN’ICONA PER I GAY
Sarà una lesbica dichiarata e molto famosa, Billie Jean King, a guidare la delegazione olimpica americana ai Giochi d’Inverno di Sochi. È lo schiaffo di Barack Obama a Vladimir Putin, il persecutore dei gay. «Un colpo di genio», lo definisce Usa Today che dedica alla King l’intera prima pagina. Scelta magistrale, perché l’ex campionessa di tennis non è solo una militante gay, a 70 anni è una leggenda dello sport americano. È una combattente nata, già sfida Putin prima ancora di partire. «Abbiamo bisogno — dichiara la King — di un gesto alla John Carlos». Allude alla clamorosa protesta del velocista americano che segnò le Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. Il campione Carlos fu espulso perché, dal podio olimpico, mentre riceveva la medaglia alzò il pugno chiuso (insieme a Tommie Smith) per protestare contro le discriminazioni razziali.
Per Putin la dichiarazione della King equivale a un’istigazione sovversiva, un invito agli sportivi gay perché usino Sochi come platea per le proteste. E non è solo la capa-delegazione ad essere una lesbica dichiarata (dal 1981). Della rappresentanza ufficiale selezionata da Obama fa parte anche Caitlin Cahow, exolimpica di hockey su ghiaccio, anche lei dichiaratasi apertamente omosessuale e militante per la parità dei diritti.
Obama non fa mistero del messaggio che vuole mandare al leader russo. «Spero proprio — dice — che qualche atleta gay o lesbica porti a casa una medaglia, il che aiuterebbe a contrastare gli atteggiamenti ostili che ci sono in Russia. Se la Russia non vuole avere atleti omosessuali nelle sue squadre, avrà squadre meno competitive».
La figura che domina per il suo potenziale dirompente è la King. La sua carriera sportiva fu un susseguirsi di provocazioni. Nata nel 1943 a Long Beach, in California, è stata la più grande campionessa di tennis dei suoi tempi: vinse 39 Grand Slam, fu tre volte capitana della squadra Usa alla Federation Cup. Per una donna, ai suoi tempi segnò il record delle vincite: oltre due milioni di dollari di premi, somma considerevole nell’èra pre-Navratilova. Il centro nazionale di tennis di New York è stato ribattezzato col suo nome. E’ stata nominata nella Hall of Fame, tra le “persone dell’anno” di Time magazine, e ha ricevuto la Presidential Medal of Freedom.
Le sue battaglie sessuali e politiche sono altrettanto importanti dei trofei sportivi. Nel 1971 fece scalpore per un aborto pubblicizzato: lei era ancora sposata con il tennista Larry King, ma aveva già una relazione stabile con la sua segretaria Marilyn Barnett. Nel 1973 la King vinse la “Battaglia dei sessi”, uno dei match di tennis più controversi della storia. In piena epoca di femminismo militante, il 55enne ex campione Bobby Riggs voleva dimostrare la superiorità innata dei maschi sul terreno della forza fisica e delle prestazioni sportive. Accettò di affrontare la King, di 26 anni più giovane. Il campione fu umiliato, lei stravinse in tre set con un punteggio netto: 6-4, 6-3, 6-3. Già allora Billie Jean aveva un gusto pronunciato per le provocazioni: nel giorno del match, 20 settembre 1973, fece il suo ingresso all’Astrodome di Houston (Texas) come una moderna Cleopatra, su una portantina sollevata da quattro uomini seminudi, come schiavi egizi.
Anche come militante gay la King fu pioniera. Il suo “outing” risale al 1981, un’epoca in cui la stragrande maggioranza degli atleti gay erano costretti a nascondere la propria sessualità. In parte la sua scelta fu precipitata dalla separazione: la sua partner Marilyn Barnett le fece causa per ottenere gli alimenti, il primo processo di quel genere ad avere ampia pubblicità negli Stati Uniti. Forse la King avrebbe potuto evitare lo scandalo, pagando tanto e subito, per patteggiare con la sua ex ottenendo in cambio clausole di riservatezza. Ma lo scandalo non le ha mai fatto paura. Secondo alcune versioni un’altra tennista gay, Martina Navratilova, decise di uscire dalla clandestinità grazie all’esempio della King.
«Io penso — dice la King — che ci sono momenti di svolta, che diventano dei punti di riferimento. Spero che la maggioranza degli atleti gay si manifestino apertamente. I Giochi invernali di Sochi sarebbero un palcoscenico formidabile. Mi piacerebbe avere 21 anni, ed essere lì per gareggiare…». Anche il resto della delegazione è frutto di una selezione accurata di Obama. In Russia non andranno né il presidente né il suo vice né alcun ministro. Zero esponenti dell’Amministrazione: si avvicina quasi a un boicottaggio della cerimonia ufficiale di apertura. A guidare la delegazione non-sportiva sarà Janet Napolitano, donna single, femminista militante, ex ministro e attualmente presidente della University of California.
I Giochi di Sochi diventano così l’ultimo capitolo della tormentata saga Obama-Putin. Appena eletto per il suo primo mandato, nel 2009 Obama ebbe una sorta di idillio con la Russia, ma col leader “sbagliato”: l’allora presidente Dmitri Medvedev con cui firmò il trattato di disarmo nucleare Start 2. Con Putin i rapporti sono stati gelidi. Ultimo il G20 di San Pietroburgo dove il presidente russo manovrò per isolare Obama sulla Siria. In seguito forse Obama deve averlo ringraziato in cuor suo: la proposta di Putin sulle armi chimiche ha evitato all’America un intervento militare molto controverso, osteggiato dal Congresso e dall’opinione pubblica. I rapporti con Putin sono di nuovo in tensione sull’Ucraina, dove la Casa Bianca denuncia le interferenze russe. Sullo sfondo c’è anche la sfida energetica, con l’America che ha superato la Russia nella produzione di gas naturale e presto comincerà a esportarlo riducendo i prezzi mondiali e le entrate di Mosca. Sui diritti dei gay, Putin ha forse sottovalutato l’importanza che hanno nell’America di oggi: Obama considera la parità come uno dei lasciti più simbolici della sua presidenza, e spesso traccia un parallelo con le lotte dei neri per i diritti civili negli anni Sessanta.