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 2013  dicembre 19 Giovedì calendario

ANA, LA MOLDAVA ARRIVATA A PIEDI OGGI REGINA DEL PORTA A PORTA


ALL’INCROCIO tra i rapporti del Censis, le mappe di Ilvo Diamanti, i flussi demografici, la programmazione televisiva, il sogno e la realtà che viviamo c’è una persona: il suo nome è Ana Damian, 34 anni, nata in Moldavia ma residente a Parma, sposata con Sergiu, madre di due figlie, campionessa assoluta nella vendita di aspirapolvere porta a porta, 1510 nel 2012, premiata dalla Folletto nel 2013 durante una sfarzosa serata a Lisbona, capace di sbaragliare gli italiani che un tempo piazzavano la fontana di Trevi agli stranieri e ora si fan piazzare elettrodomestici da loro, di trasformare i “no” in “si accomodi”, di superare lo sconforto con l’aiuto della memoria, di fare 90 chilometri a piedi e scommettere sulla meritocrazia pur sapendo che questo Paese, l’Italia, non la riconosce.

LA SUA è una storia esemplare di questo tempo. Mi ci sono imbattutto per caso. Uscivo dalla visione del film di Checco Zalone “Sole a catinelle” e mi restava un solo dubbio: lui fa il piazzista di aspirapolvere, ma esiste ancora quel mestiere? La gente non se li compra on line? Proprio in rete ho verificato: i venditori esistono eccome, fanno festa, eleggono una regina: Ana. L’ho rintracciata e mi sono fatto raccontare la sua avventura.
Come tanti, dalla Moldavia ha scelto di andarsene a vent’anni, già sposata e madre di due bambine di due e quattro anni. Lei e il marito Sergiu han deciso di lasciarle con i nonni e partire. Per dove? Per l’Italia. Perché? Sempre colpa di quella canzone di Toto Cutugno, “L’italiano”, che ha fatto venire gli incubi a molti nati qui e i sogni a tanti nati lontano. Tempo del viaggio: due anni. Non un giorno di meno. Sono stati truffati due volte prima di partire, dando i soldi per il visto a qualcuno che se li è intascati e poi è sparito. Una terza volta ricapiterà strada facendo, durante uno dei tanti dirottamenti. La strada da Chisinau a Parma ha infatti preso pieghe impreviste, conosciuto tappe assurde: il Marocco, Mosca, Praga, la Germania. Lei e Sergiu sono stati divisi a Villach, in Austria. Ana ha proseguito da sola, camminando verso il confine italiano o quel che pensava lo fosse, senza sapere se il marito era ancora vivo, né dove. Ha proseguito attraverso i boschi, sotto i tunnel delle autostrade, avanzando contromano perché i fari la inquadrassero, salendo e scendendo la montagna. Senza un soldo. Con un solo paio di mutande. Fino a Tarvisio e di lì a Udine, giorno e notte, per novanta chilometri. A quel punto si è fermata, ha chiesto un pasto caldo e un tetto alla Caritas, prima di proseguire per Parma dove l’aspettava una lontana parente.
«Adesso mi chiedono: ma non ci resti male quando ti sbattono una porta in faccia? E quello sarebbe un problema? Con tutto quel che ho passato? Una volta stavo spiegando l’aspirapolvere a una signora, è arrivato suo marito, ha preso la mia valigia con tutti i pezzi, l’ha buttata di sotto, in cortile, e mi ha spintonato fuori dalla porta. Io sono scesa in cortile, ho rimesso insieme i pezzi, sono risalita, ho suonato alla porta di fronte e ho venduto due aspirapolvere, a due sorelle. Il fondo l’ho già toccato, di che cosa dovrei avere paura? Di un “no”? Questo è il mestiere dei no. E di chi sa trasformarli in sì».
A Parma Ana ha iniziato lavorando come domestica. Dice che se adesso è la miglior venditrice, allora era “la miglior colf, amata da tutte le signore”. Quel mestiere aveva un problema: sei pagata ad ore, le ore più di quelle in un giorno non possono essere, più di tanto non puoi guadagnare.
«Facevo duemiladuecento euro netti al mese, ma volevo di più. Giorni di trentasei ore però non ne esistono».
La cosa strana era questa: ogni volta che chiedeva a una delle brave signore di Parma dove avesse comprato l’aspirapolvere che le piaceva, non rispondevano. O lo facevano in modo vago. Non c’era mai un negozio, un grande magazzino, un indirizzo qualsiasi. Finché un giorno bussò alla porta una venditrice. La padrona di casa disse: “No”, e chiuse l’uscio. Ana dal fondo dell’ingresso urlò: “Aspetti!”. Rincorse la venditrice, le chiese un appuntamento. Quella era incredula: mai venduto un aspirapolvere a una domestica. Si presentò a casa di Ana. C’era anche Sergiu. Erano già convinti, pagarono in contanti. La venditrice cercò di arruolarla. Quella volta, era il 2007, lei rispose no: aveva bisogno di un guadagno fisso, contributi e tutto, le figlie erano alle elementari, non poteva rischiare.
L’occasione si ripresentò quattro anni più tardi. Venne offerta al marito. La portò con sé al colloquio. Presero lei. Un corso di preparazione: tecniche di vendita standard. Una settimana di affiancamento a un collega esperto. Poi via, in acqua da sola. Tempo un anno e ha fatto il record. Battuto non soltanto i maschi, ma tutti gli italiani, colleghe incluse. Dice che ha un suo metodo, in aggiunta agli insegnamenti del corso. Che è fondamentale capire il cliente. Che non gli racconta mai di essere stata una colf e quindi sapere per esperienza che cosa pulisce bene. Le signore di Parma vogliono comprare da una signora come loro, ben vestita, attraente, che parla perfettamente l’italiano, perfino con accento locale. A usare l’attrezzo provvederà una come Ana, ma Ana di nove anni fa, quella che guadagnava 2200 euro al mese, ma non era soddisfatta. Le hanno detto che cambiando lavoro avrebbe ricevuto in proporzione a quanto sarebbe stata brava, ci ha creduto e si è lanciata. Ora guadagna tanto di più, ma se scendesse, tornerebbe a fare la colf e a usare l’aspirapolvere per le signore emiliane sovrappeso. Si è fidata perché l’azienda le pareva seria, tedesca, meritocratica. Dice che il successo dipende dalla testa, dagli obiettivi che ci diamo. Lei li ha sempre raggiunti, distassero 90 chilometri o 1510 ordini di elettrodomestici. Impegnarsi, sostiene, non basta: c’è chi s’impegna di più e rende meno. Contano le capacità e si esprimono in percentuali. La media quotidiana dei venditori è: 50 campanelli, 3 appuntamenti, 1 ordine. Quella di Ana: 28 campanelli, 5 appuntamenti, 5 ordini. Se entra, è fatta. Quando non piazza la merce, è un miracolo al contrario. Aveva scommesso con il presidente della Folletto che avrebbe battuto tutti dopo un solo anno e ha vinto.
Mentre racconta la premiazione sembra parli di Miss Universo o dell’Oscar come migliore attrice. Dice: «All’inizio non ti rendi conto, poi ti senti esplodere una soddisfazione immensa, capisci che ce l’hai fatta, davvero». Nel filmato su YouTube la si vede scendere uno scalone vestita da diva. Ad attenderla, oltre ai vertici aziendali, marito e figlie. Le due, diventate ragazze, frequentano il liceo scientifico. Il marito “scrive”. In che senso, Ana? “Scrive saggi”. Cioè, mantieni tutti tu con il tuo lavoro, i 28 campanelli, i 5 ordini e quei 90 chilometri a piedi alle spalle? Silenzio. Il silenzio dell’umiltà, il silenzio del rispetto, che non si impara ai corsi aziendali, ma in quei due anni dirottati, se hai l’intelligenza di ricordarti come poteva finire altrimenti e stare al fianco di chi ancora cammina nel buio.
Dice il Censis che sarà l’energia degli immigrati a smuovere la nostra economia. Dicono le elezioni che crediamo ai piazzisti. Dice l’esperienza che soltanto chi ha perduto tutto almeno una volta non ha paura di vincere. Dice Ana che forse farà carriera interna, forse tornerà in Moldavia dove si è già costruita una casa, ma “un giorno”, adesso si gode la serenità. Quando c’è polvere a catinelle chi si lamenta della servitù e del destino soffoca, chi si dà da fare credendo in se stesso ne esce pulito.