Massimo Calandri, la Repubblica 19/12/2013, 19 dicembre 2013
E IN CITTÀ ORA TORNA IL TERRORE “QUEL PAZZO PUÒ UCCIDERE ANCORA”
Ieri sera era forse tra la folla natalizia che sale e scende lungo via San Lorenzo, e chissà se si è fermato per una preghiera in cattedrale. Perché è anche molto religioso Bartolomeo Gagliano, pluri-omicida evaso e ricercato. Magari avrà attraversato piazza De Ferrari — la grande fontana, Palazzo Ducale e la mostra di Munch, l’abete addobbato — camminando con quella sua aria stralunata, l’espressione sorpresa e divertita. L’andatura elettrica, il vizio delle mani in tasca. Confuso tra la gente. Sicuro che ha sbirciato tra gli scaffali di una libreria di via XX Settembre. Gli piacciono i romanzi di Lovecraft.
Un serial killer a spasso per il cuore di Genova e un cuore in tumulto, una città sull’orlo di una crisi di nervi. Perché Gagliano ha la pistola nella cintura e un demonio dentro, che nella ressa basta scontrarlo accidentalmente — mi scusi, non volevo, si è fatto male? — poi quello esce fuori e non lo tieni più. Dov’è il pericoloso assassino, il pazzo omicida, il tossicomane armato? Lo cercano in tutta Italia, hanno messo i posti di blocco in autostrada, controllano i treni, la casa dei genitori alla periferia di Savona è sorvegliata. Ma è probabile che non abbia mai lasciato la città. È proprio qui, nascosto tra chi esce dall’ufficio o cerca un regalo facendosi largo nel formicaio. I poliziotti scommettono che si sia intrufolato nei carruggi dell’angiporto, perché in quel labirinto ci sono vecchi amici e tutta la cocaina che gli serve per andare avanti. I genovesi lo sanno, che non c’è posto migliore del centro storico per far perdere le proprie tracce. E allora ripassano a memoria le immagini trasmesse in televisione, rilanciate online: quello di un uomo tra i quaranta e i cinquant’anni — ne ha 55, ma ne dimostra meno — piccolo di statura, capelli ancora scuri, il fisico asciutto, un accenno di pizzetto. Lo sguardo stralunato. Scrutano inquieti. Cercano un uomo tra la folla, sperando di non riconoscerlo. «Quel pazzo può uccidere ancora».
Da ragazzo assomigliava in maniera impressionante a Diego Maradona, e qualcosa ancora gli è rimasto nei tratti del viso. I capelli ricci, gli occhi neri, l’espressione sfrontata. Anche Gagliano giocava bene al pallone: «Un vero bomber. Veloce, con una tecnica eccezionale. Sempre in forma, un maniaco dell’esercizio fisico: centinaia di flessioni tutti i giorni, addominali, attento alla dieta in maniera maniacale. Ci tiene, perché vuole fare bella figura con le donne. Ma il problema è che gli piacciono anche le pistole». Così raccontava di lui Francesco Sedda, compagno d’evasioni e di delitti. «Siamo sempre stati sfortunati. Due perdenti nati. Dentro e fuori dai manicomi giudiziari. Ci hanno accusato di omicidi che non abbiamo mai commesso», giurava. Sedda è morto in carcere dieci anni fa. Bartolomeo lo considerava parte della famiglia. Insieme al fratello, alla mamma e al papà Natalino, che non si sono mai data pace per quel figlio così “strano” e così amato: «Siamo una famiglia umile, onesta. E lui è sempre stato un ragazzo rispettoso, educato. Ma quando all’improvviso perde la testa, diventa un altro. Da piccolo studiava, non ha mai dato problemi. Gli sarebbe piaciuto essere un dottore». Invece dopo le scuole medie si era messo a fare il muratore, e stava per sposarsi.
Era il 1981 quando una notte lo arrestano per l’omicidio di Paolina Fedi, prostituta tossicodipendente che voleva rivelare la loro storia clandestina alla fidanzata di Bartolomeo. L’ha uccisa sfondandole il cranio con un pietrone da venti chili. I medici dissero che era incapace di intendere e di volere, ossessionato dal sesso e dalla pornografia. Finisce nel manicomio giudiziario di Aversa, meno di due anni dopo approfitta del primo permesso per scappare. Lo trasferiscono a Montelupo Fiorentino, dove conosce Sedda, rapinatore e sieropositivo, anche lui infermo di mente. Nell’89 l’evasione e l’omicidio a Genova di un transessuale — Francesco Panizzi, “Vanessa” — oltre al ferimento di un cliente e di una giovane prostituta. Un’esecuzione apparentemente senza senso. Non c’è traccia degli assassini: i giornali rilanciano telefonate anonime che raccontano di un fantomatico “giustiziere della notte”. Lo sconosciuto dopo aver contratto l’Aids da una “lucciola”, vorrebbe vendicarsi uccidendo le ultime cinque con cui ha avuto rapporti. Gagliano viene fermato casualmente una settimana dopo a un posto di blocco con i bossoli esplosi in occasione del delitto, poi tocca a Sedda: la coppia viene anche accusata di aver ammazzato il mese prima un trans di origini uruguayane, trovato cadavere sull’autostrada Milano-Genova. Bartolomeo tenta il suicidio, ma un anno dopo evade di nuovo dal manicomio. Fa tappa a Genova, dove dicono nasconda diverse armi, e rispunta in un albergo di Firenze: durante un gioco erotico con la fidanzata, conosciuta in treno, gli è partita una revolverata che le ha trapassato la mascella. Torna all’ospedale psichiatrico dove si conferma ospite-modello: lavora e studia, legge molto, si occupa della biblioteca. E appena ottiene un permesso, scappa.
Nel 1998 viene prima sospettato della morte di una prostituta moldava a Finale Ligure, poi della strage della Barbellotta: due metronotte uccisi dopo aver sorpreso il loro assassino in compagnia di un transessuale. Ha un alibi solidissimo, e allora gli investigatori gli chiedono un aiuto: “Non posso dirvi niente. Ma sappiate che il colpevole è uno solo”. Un bluff? Qualche mese dopo viene arrestato Donato Bilancia, che confessa. Bartolomeo Gagliano intanto ha scontato la pena, e per un anno lavora come pony express a Genova: entra nelle case, consegna pacchi. “Farò il bravo”, giura. Sette anni fa, l’ultimo arresto. E l’altro ieri di nuovo in fuga. Un uomo tra la folla, lo sguardo stralunato.